L’Ultimo A Morire, debut album di Speranza, è un disco autentico e musicalmente vario.
Era uno degli album più attesi dell’anno e, diciamolo subito, non deluderà nessuno. L’Ultimo A Morire, pubblicato il 16 ottobre dalla Sugar Music, è il primo disco ufficiale di Speranza, rapper franco-casertano che sta facendo parlare di sé da almeno un paio di anni. In un panorama ricco di proposte, non sempre azzeccate, come quello italiano, Ugo Scicolone – vero nome dell’artista classe 1986 – spicca per l’unicità del suo progetto musicale.
L’hip hop è cultura di strada, ma per quanti rapper può (ancora) valere questa definizione? Un interrogativo che, per raccontare la musica di Speranza, è superfluo porsi. Perché quella dell’MC “emigrante al contrario” (cresciuto in Francia e tornato in Italia a 22-23 anni quasi per disperazione) è vera street music. Dura, cruda, ma lontanissima dagli stereotipi gangsta.
Nell’immaginario estetico di Speranza non c’è spazio per la roba firmata (“Se non mi posso permettere roba di Gucci non faccio video con un Gucci addosso“, una sua dichiarazione a Noisey, tratta dalla prima intervista rilasciata in assoluto); non c’è spazio per donne in abiti succinti o per le cascate di banconote. Speranza è vero, autentico, anche un po’ grezzo, talvolta, almeno in superficie. Ha la voce roca, urla e non si stanca mai di farlo. Impugna una sigaretta, una birretta, fa la dab col Tavernello in mano. E ti sbatte in faccia frammenti di verità.
Fotografa a modo suo, con uno stile inconfondibile e personale, la vita di strada: cronache dal rione, cronache dal carcere, le cose che non ti racconta nessuno. Ed è un puro, uno che non si è fatto condizionare, almeno finora, dalle lusinghe dello show business. Ma che non ti dà nemmeno l’impressione di poterlo fare. Il suo nome, come ha raccontato lui stesso in tante interviste, è arrivato in alto prima a Milano che nella sua Caserta.
Dopo circa due anni di intenso lavoro e una serie di singoli duri e potenti (Givova, Pagnale e Sirene su tutti, a giudizio di chi scrive), Speranza ha sfornato un album che non è un capolavoro ma è senz’altro superiore alla media, per qualità complessiva e varietà delle singole tracce.
Casertexas, breve brano d’apertura, mette subito le cose in chiaro: base dark trap e attacco alla Co’Sang (“P’e frate minacciate dall’autorità“) per raccontare uno spaccato di vita street. “Piglia chesta base / lievece ddoje barre / Due barre di silenzio per le vittime di Gaza“: perché Speranza non è solo la voce del rione, ricordando gli anni della giovinezza trascorsi a Behren 57, banlieue al confine con la Germania. È anche l’aedo di tutte le minoranze oppresse, dai palestinesi ai rom, dai berberi ai kosovari: tutte bandiere orgogliosamente sventolate sul palco del MI AMI Festival circa un anno fa.
“Hanno carenza d’hype
Io la grinta di sempre con la pace del Dalai
Sono un mostro nei live
Non ho ancora Spotify
Non mi mettono il ‘Segui’ ma però mettono like”(da “OMM I MMERD”)
Ottimi i singoli che hanno anticipato l’uscita dell’album, ovvero Iris e Fendt Caravan. Il primo singolo rappresenta un unicum nella produzione di Speranza: l’arpeggio di chitarra della strofa, l’inciso alla Enzo Avitabile contribuiscono alla creazione di una gemma dal piacevole sapore pop, di quello non scontato e non commerciale. Di segno completamente opposto Fendt Caravan: un altro gioiellino, di stampo quasi gotico (eccellente la produzione di Riley Beatz). Se Iris è il sole, Fendt è la luna.
“C’è chi fa contanti / Io faccio con pochi / Tony Montana sta in terra dei fuochi“: è una delle tante punchlines del pezzo e, nel complesso, del disco. La tracklist de L’Ultimo A Morire, che dell’opera prima ha quasi solo i pregi (pochissimi i cedimenti), si può suddividere essenzialmente in tre categorie: pezzi puramente trap (Casertexas, la stessa Fendt Caravan, Spall A Sott 4, Takeo Ischi…), pezzi di impronta dance (Chinatown, Omm I Mmerd, 100 anni, Russki Po Russki) e pezzi di stampo più melodico (la già citata Iris, A La Muerte e Camminante, traccia che fa un po’ storia a sé).
Tra i produttori è l’ottimo Simoo a fare la parte del leone, con ben otto brani al suo attivo. Night Skinny presta le sue mani d’oro per Chinatown, track dal beat spaziale, metà allucinato e metà erotico, che vede la partecipazione di Guè Pequeno, l’Ibrahimovic del rap italiano, tra i primissimi a sponsorizzare il talento di Speranza.
Crookers, forse colui da cui tutto è partito (suo il remix di Sparalo, primo brano in assoluto del rapper casertano), produce invece Takeo Ischi: particolarmente intrigante il contrasto tra la “pigrizia” della base e la raffica di parole proferite da Speranza in tandem con l’amico Massimo Pericolo. “Sei nato ricco, ricco sfondato / Io sono ricco perché ho sfondato / Siamo il meglio in Italia / Io con Speranza, tu senza Speranza“: un estratto dal flow del rapper lombardo.
Don Joe, per anni mente dei Club Dogo, è il responsabile dei suoni di Calibro 9, traccia che vede il featuring di Kofs, rapper francese amico del campione viola Ribery. In tutto il disco Speranza non perde quasi mai di incisività: Le Fief, scritta quasi interamente nel suo amato francese, è forse l’unico vero passo falso, non foss’altro perché sa di già sentito. Nel complesso, però, la rabbia è sempre quella giusta, dall’inizio alla fine.
Le barre graffiano, mordono, sono chirurgiche e spesso sboccate. E le basi, come detto, stupiscono per livello qualitativo e varietà di suoni. Omm I Mmerd (un titolo che è uno schiaffo in faccia, un po’ come lo fu, a suo tempo, quella Chiavt A Mammt che fece esplodere il fenomeno Speranza) è un brano danzereccio che mostra tutto l’eclettismo musicale del Nostro. Mentre Camminante, con la partecipazione del neomelodico Rocco Gitano, idolo del rapper, rappresenta – fatte le dovute proporzioni – il momento “Supernatural” (nel senso dell’album di Santana, che vent’anni fa fu un vero e proprio bestseller) dell’opera: un brano a forti tinte latin che sfiora il kitsch senza mai caderci del tutto.
Il lieve calo nella parte finale (interessante ma incompiuta l’ultima traccia Russki Po Russki, esempio di intelligent dance che non decolla mai del tutto) non pregiudica più di tanto la tenuta complessiva dell’album. Era attesissimo e non ha deluso. Ora, per Speranza, viene il bello (e il difficile): confermarsi. E non perdersi, come accaduto a tanti, troppi colleghi che hanno purtroppo dimenticato il vero significato dell’hip hop. Per finire, un post scriptum: quanto sarebbe bella una collaborazione tra Speranza e Salmo?