Avevamo bisogno di Massimo Pericolo.
Lo dico subito, mi espongo: c’era bisogno di un disco come Scialla Semper di Massimo Pericolo. In questo preciso momento storico del rap italiano un album così – vedremo subito perché – è stato vissuto come necessario, quasi vitale. La riprova l’abbiamo guardando la ricezione del progetto del rapper di Brebbia, sia da parte degli addetti ai lavori, sia da parte degli ascoltatori. Massimo Pericolo è riuscito, in pochissimo tempo e senza chissà quali strategie di marketing, a catalizzare intorno a sé un’attenzione enorme.
Soprattutto, però, ha fatto sì che gli ascoltatori capissero la sua essenza, la sua visione. Lo ha fatto con pochi singoli solo su YouTube – quasi un’operazione anti-storica di questi tempi – che sono serviti però a creare un’aspettativa enorme intorno al suo disco. Hype assolutamente non tradita.
Ma qual è il trucco? Che ha di particolare Massimo Pericolo? La risposta è nella musica.
Faccia pulita
Per capire come un artista viene recepito, bisogna guardare il contesto in cui si muove. Ora, non si deve scadere in inutili sproloqui generazionali, ma un’analisi generale va fatta. Non credo, perciò, di dire un’eresia sostenendo che del rap italiano attuale – almeno quello che mette su numeri discreti a livello di pubblico – il 90% tragga la sua forza più da soluzioni melodiche interessanti, che dalla sua potenza comunicativa. O meglio, la sua capacità di comunicare risiede proprio nell’orecchiabilità, nella pulizia del suono, che permette a questi artisti di essere apprezzati da un pubblico maggiore. E, si badi, questa osservazione non ha nessun giudizio di merito al suo interno, ma presenta un dato di fatto credo abbastanza condivisibile.
Il rapper medio, inoltre, è cambiato nella presentazione del proprio personaggio e nel suo ambiente di riferimento e ha scelto per sé posizioni più “comode”, o comunque accomodanti. Anche gli esperimenti più stravaganti, più apparentemente fuori dagli schemi, seguono sempre codici accettabili. Tutto il genere ha subito un’operazione di pulizia, anche nelle sue posizioni più estreme, che a volte lo sono solo di facciata. Il tutto ricorda un po’ la famosa locura di Boris.
I rapper si sono puliti la faccia. Questo – ripeto, lo dico senza polemica – ha permesso loro di essere presenti in pianta stabile in cima alle classifiche così come alle sfilate dei grandi marchi. A tutti gli effetti è stata una mossa vincente per il genere, che per imporsi – non riuscendo a farsi comprendere come cultura, come è successo negli USA – ha dovuto adattarsi alla società. Ed è stato anche il modo migliore, per noi ascoltatori, per avere una musica pop – intesa come popolare e largamente distribuita – che si allontanasse dagli schemi di sole, cuore e amore.
Massimo Pericolo, invece, ha vinto perché non ha fatto nulla di tutto questo.
Sporco
Venuto fuori più o meno dal nulla, Vane è riuscito a far girare parecchie orecchie verso di sé proprio con il suo essere diverso, si è posto al di fuori di un ambiente che a volte sembra saturo. L’ha fatto con un rap sporco, sia nel suono che nei modi d’espressione, che non cede nulla a certe tendenze un po’ patinate che ogni tanto compaiono qua e là. Ma la formula vincente è risultata proprio il non farsi guidare da nessuna formula. Questa crudezza musicale non è calcolata, non ha nulla di posticcio, ma è la derivazione perfetta delle esperienze di vita dell’artista lombardo. Il rap qui viene usato esclusivamente come mezzo per raccontare la realtà, la sua realtà, in maniera completa.
A toglierci ogni dubbio è giunto proprio Massimo Pericolo con un’intervista pubblicata poco prima dell’uscita del disco, all’interno della quale afferma, senza giri di parole, che per lui la cosa importante è il testo. È su quello che si concentra ed è quello che più gli interessa. Il nocciolo del suo successo è proprio questo. Massimo Pericolo ha delle cose da dire, le dice bene e senza pensare a come renderle più facili da mandare giù, né a come impacchettarle meglio tra loro. Il “pezzo d’amore” del disco, ad esempio (Ramen girl), alterna frasi romantiche alla sua maniera ad altre che con l’argomento non c’entrano nulla. Massimo Pericolo è questo: un microcosmo che si autoregge ed autoregola solo su se stesso.
Scialla Semper
Oltre ai pezzi già usciti prima del disco – 7 Miliardi, Ansia e Sabbie d’oro – le due tracce che spiccano di più sono nettamente la title-track Scialla Semper e Amici. Sono due pezzi diversi da loro per tematiche, ma che mostrano benissimo le capacità evocative del rapper di Brebbia, il suo saper raccontare.
Il primo di questi due pezzi è per certi versi toccante. È una delle cose alle quali si fa sempre riferimento parlando di questo artista ed era prevedibile che venisse fuori in maniera corposa dal disco. In due minuti e quaranta Massimo Pericolo ripercorre la sua esperienza in carcere. Quello che ne viene fuori è quasi un documentario, con una canzone che per impatto emotivo colpisce come non succedeva da tanto nel rap italiano. Le quotable sono tante e fanno tutte venire fuori una capacità critica del rapper assolutamente acuta, che non va fatta passare in secondo piano rispetto alle sue uscite più stravaganti. Non solo ha cose da dire, ma sono conclusioni complesse, che possono nascere solo da chi certi eventi li ha vissuti in prima persona, li ha compresi dall’interno e poi li ha buttati fuori.
L’altro pezzo è Amici, che sarebbe la colonna sonora perfetta per un film sulla boxe. A venir fuori è tutta la grinta di Vane, tutta la sua voglia di farcela, di uscire da un posto che è uno schifo, che lo soffoca e che lo costringe a evadere con la mente. Non credo ci sia nulla di sbagliato nel dire che, per questa fame che trasmette, abbiamo tra le mani un pezzo tremendamente hip-hop. Sì, proprio quelle due paroline che non vengono usate mai. Perché, alla fine, se andiamo a vedere, di quello si tratta. Stare in giro con gli amici, passare attraverso situazioni più o meno spiacevoli e fare di tutto per uscirne usando la musica.
La produzione di Phra Crookers e Nic Sarno accompagna lo storytelling di Massimo Pericolo alla perfezione, fino a un’esplosione vera e propria all’ingresso deciso della batteria che fa venire fuori tutta la grinta del pezzo. I due sono una manna dal cielo per il rapper di Brebbia. Sono loro ad aver curato tutte le produzioni dell’album – eccezion fatta per Sabbie d’oro di Palazzi D’Oriente e le varie co-produzioni di Fight Pausa e Xqz – e sono riusciti a creare un suono adatto a Vane. Il tutto rientra in un’estetica comune, tanto grezza da sembrare quasi non ragionata, ma che invece è calcolatissima.
Al di là della “estrema” – anche per sonorità – 7 Miliardi, tutte le produzioni mantengono lo stesso sapore sporco che è proprio del rap di Massimo Pericolo. I due elementi si combinano e rendono ancora più credibile e coinvolgente la narrazione. Non per questo però si scade nella monotonia – 7 Miliardi e, ad esempio, Cocco sono agli opposti – ma è proprio questa la difficoltà: creare un discorso musicale coerente nonostante i diversi momenti e mood dell’album. Cadere nella ripetitività sarebbe stato facile, ma non è successo.
“E non mi ero mai sentito così: come se nessuno c’ha tutto e io sì, come se non mi fossi mai perso niente e non avessi più niente da perdere. Potrei anche andarmene adesso e chiudere questa partita, senza mettermi in fila con gli altri e aspettare che vinca la vita”
La forza di Vane
La forza di Massimo Pericolo è questa. Non voler lasciare che la vita vinca, non volersi accomodare, non voler diventare più pulito sperando di piacere agli altri. Tutto questo, come una sorta di grinta naturale, lo lascia passare nel suo rap.
Sì, certamente, all’interno del disco ci sono anche momenti un po’ meno convincenti, ma è normale per un lavoro d’esordio. Quello che rimane, però, è un album con un’anima, capace di comunicare qualcosa alla sua maniera, non come tu ti aspetteresti che lo faccia. La sua forza sta tutta qui.
Il viaggio di Massimo Pericolo è appena iniziato ed è riuscito a far salire su tante persone non fermandosi a nessuna fermata, ma tirando dritto per la sua strada, consapevole che solo così, alla sua maniera, sarebbe andato più forte degli altri.