19 Luglio 2024. I Pippo Baudo Lost in time (PBLT), band cassinese che potremo definire – schematizzando, e dunque ‘falsando’ un po’, la realtà – “Alternative Hip Hop”, pubblicano il loro primo album ufficiale: Sanremo Greatest Hits. Dieci tracce, dieci canzoni ‘libere’, nate da un’intuizione, posta come un’intenzione: porsi in un futuro passato.
Sanremo Greatest Hits: il rap come minimo comun denominatore di tante esperienze diverse
All’inizio del viaggio, c’è un riff acido di chitarra. Che gira in loop. La voce che entra in punta di piedi, con disarmante semplicità, leggera. Un interrogativo – legittimo – che ci viene posto, e una domanda che ci avvolge (e coinvolge), e ci trascina nel mondo colorato dei Pippo Baudo Lost in Time, come una risposta musicale possibile all’eterno Grigio.
Con Le conseguenze, pezzo inaugurale di Sanremo Greatest Hits (e rielaborazione di un loro vecchio pezzo), è una poetica che si annuncia da sé. Un frammento che si espande, e che lentamente si evolve, spaziando, alimentandosi di influenze diverse, sintetizzandosi in versi che puntano a comunicare, più che a stupire:
hai mai pensato alle conseguenze di quello che fai?/Se rispondi seriamente alla domanda “Come stai”?
Quella domanda così banale, che ci viene posta e che poniamo come routine quotidiana della socialità, è il frammento, dal quale parte il disco. 2 parole, 8 lettere, e un’infinità di conseguenze come risposta. E <le conseguenze non sono mai coincidenze>, e viceversa.
Quel “Come stai?” viene portato ovunque: da Woodstock al Jazz Club, dal centro sociale all’illegale Tekno. Dalla canzone di protesta alla canzone Patinata, in perfetto stile sanremese. Si fondono Pop, Rock, Jazz, Funk; Percussioni, trombe, tastiere, chitarre – col rap di 1989 come collante – in quella domanda così semplice.
Sanremo Greatest Hits è tutto questo: il tentativo di creare una cornucopia di influenze, stili, concetti e visioni, servite in chiave di rap, suonando quell’unica corda, quell’unica nota come unica – e possibile – strada per arrivare a tutti. Perché, a causa della sua complessità, è la più semplice.
La grande truffa del rap
Per anni, il rap, si è chiuso nella sua nicchia. Dove, nonostante i germi dell’autocommiserazione proliferassero, ha saputo reagire con stoicismo. Da solo per anni, ha continuato a resistere, arroccato all’opposizione, contro un Sistema intero che cambiava in fretta.
Ha saputo reagire rendendo quella nicchia impenetrabile, perfettamente chiusa e soddisfatto nel suo linguaggio. La cultura ‘ufficiale’ lo ha messo al bando, e nell’isolamento ha prosperato di sé. Reagendo alle contaminazioni, si è perfezionato al punto da raggiungere un punto di non ritorno.
Lì giunto, per chi cominciava ad utilizzarlo, c’era un’unica strada percorribile, un obbiettivo difficile e necessario: contaminarsi senza snaturarsi. Chi, come i PBLT, si pone in questa direzione – utilizzare il rap come strumento ‘aperto’ alle sfide determinate da questa società in questo momento storico, e dunque contaminandolo con la ‘Cultura di Massa’ – ha davanti a sé un’impresa ardua.
Il rischio di sprofondare nel becero, e nel già sentito, era dietro l’angolo. Tuttavia, sono riusciti con maestria ad evitare l’incombente pericolo, con classe e semplicità:
<è importante come formuli le frasi/le parole fanno bene o male: le prediligo in entrambi i casi>.
Dai pezzi più “conscious”, riflessivi ed auto-motivazionali – vedi Ho chiuso ciao, o life is a Bitch, entrambi arricchiti dalla voce – bellissima e triste, coppia di termini che, per qualche oscura ragione, si sposano sempre troppo bene – di Aras Elativ, ai più ‘rilassati’ e visionari, come Vaporwave Tripe ’91, c’è sempre un fondo di malinconia, che è spesso ‘sociale’, cioè ‘politica’.
la denuncia sociale e come (dove) trovarla
A partire dal singolo Amore Tossico, dove si racconta la storia di un amore impossibile tra due ‘bucatini’, tossico-dipendenti da eroina, la cosa che mi ha impressionato dei PBLT è quella capacità non comune di arrivare dritti al punto, senza mai perdere la leggerezza. Il loro essere seri ma non seriosi, ironici ma non sguaiati.
L’ironia rende la pillola da ingoiare – la realtà – digeribile. I due singoli (Cash e Il ministro dello Sport), così come La 25esima ora, storytelling su un lavoratore ‘tipico’ (non garantito, sfruttato fino al pensionamento, castrante, alienante, logorante, che ci è così famigliare…), sono gli esempi della particolare denuncia sociale messa in atto dai PBLT.
Non arriva mai traumatica come uno sparo, ma liberatoria come un “Vaffanculo, la vita è questa, e la conosco, ed essendo consapevole vivrò male, e vivrò ancora peggio se penso a voi, che non ve ne rendete neanche conto”. Spiazzante perché imprevista e improvvisa.
Sanremo Greatest Hits si prefigura così come un disco che apre – in un certo senso – un nuovo ‘filone’ per il rap italiano. Una strada difficile da definire perché in corso di sviluppo, e dai contorni sfumati. Un rap contaminato in modo proficuo, finalmente coinvolgente perché anche e soprattutto ‘cantato’ e sentito profondamente.
Poche band ‘emergenti’ – termine insidioso, perché confuso spesso con ‘gratuito’ – si avvicinano ai PBLT. Forse gli Oddzilla, di Torino – recentemente fuori con Parzialmente Stremato, album certamente più ‘rock’ ma con un ovvio debito nei confronti del rap e della sua semplicità comunicativa (che gli altri generi non hanno) -, e pochi altri.
E, aspettando che gli esponenti di questo nuovo filone si conoscano (e riconoscano) naturalmente – dopo essersi cercati a lungo –, non possiamo far altro che goderci questo disco che, anche se non farà i numeri di roba più quotata ha un suo valore. Proprio perché nato a prescindere dagli stream.