Dopo aver pubblicato l’album d’esordio, MONCADAS, con ‘La Victoria Records’, Turi Moncada (rapper palermitano classe ’98) si affianca a Luca Spenish e insieme sfornano Santos.
La formula – un mc e un produttore – è tradizionale ed efficace. L’incontro tra due generazioni è sempre proficuo. Il disco, è il fuoco. Al di là di come andrà a livello di ascolti – e dunque a livello ‘economico’- è la prova definitiva della maturità raggiunta da Moncada al microfono.
Santos di Moncada e Spenish: disco maturo, diretto e attuale
Franco Citti, all’interno di un discorso ben più ampio, disse: “il critico è un preservativo, che parla dell’atto sessuale“.
È scomodo fare il critico, ed essere destinato per sempre ad essere, nell’atto creativo, come un preservativo nell’atto sessuale. Indirizzare la lettura di un atto libero, e che per principio invita alla libertà, non ha senso.
Per questo si vorrebbe parlare il meno possibile dell’opera: perché ogni opera, va fatta propria. Va fatta propria, e richiede una partecipazione attiva, e una notevole capacità d’immedesimazione per chi ne fruisce. Così, immergendoci nelle liriche e nelle atmosfere del disco, è facilmente individuabile una maturità raggiunta.
Santos è dunque un disco maturo: maturità, in questo caso, intesa come equilibrio tra la ‘forma’ (lo stile) e i contenuti. Ma la maturità coincide, spesso, con un momento critico. Nel rap, questo, è facilmente riscontrabile (pensiamo, ad esempio, a Mr Simpatia di Fabri Fibra, che il disco in questione può richiamare fin dall’artwork di copertina).
Facciamo una breve digressione: Emblematica, in questo senso, è il pezzo Profondo rosso, la gemma dell’album.
Rappo pеr quello bravo, mi ascolta quello schizzato/Il randagio, lo sfigato che vuolе un colpo di stato/
Il mio amico che la vende, il suo acquirente.
L’immagine è, a suo modo, significativa. È la descrizione di un sentimento polemico e ‘generazionale’, perché si respira, si annusa un risentimento: il risentimento di chi, nato a cavallo tra la fine dell’analogico e l’inizio dell’era digitale – tra la ‘sindrome di fine millennio’ e la paura del ‘Millennium bug’ -, si sente diviso a metà, e lontano da tutto.
Parli della tua gente, ma la tua gente chi è?/Questo a quarant’anni è un emergente come me…
Maturità, dunque, come momento complesso. Ricco, variegato. Completo.
Il filo conduttore
La cosa che stupisce – e che forse a un primo ascolto può sfuggire – è una sana qualità, che va riconosciuta al disco: la capacità di abbracciare vari argomenti e ricondurli a una traccia comune, a un momento – storico, ed esistenziale – preciso.
Ho melodie tristi e parole violente/Oggi sai il prezzo di tutto ma il valore di niente/Pensavo di avere un dono e invece ho una maledizione/Ho dato il cuore a questi fogli più che a tutte le persone/Vissuto al mio quartierе, frate mi ha lasciato i punti/Ho traumi che non posso dire o rischio di scucirli tutti
Melodie tristi, e parole violente. Ritornello. Manifesto. Slogan. Entro e intorno a questo motivo, si sviluppa l’album, che a sentirlo, e a risentirlo, gira a meraviglia.
Per la produzione di Spenish, che effettua una sintesi perfetta tra il vecchio e il nuovo, il felice risultato di un naturale compromesso tra i suoi gusti e quelli del giovane MC (ad esempio nella title track Santos, o in Shaolin soccer), che nei momenti migliori raggiunge un livello altissimo (come in Dangerous, pezzo per la vostra playlist, ‘clubboso’, meraviglioso; o a Black, pezzo su questo ‘non colore’, su un’assenza di luce, così comune a tutti):
Già che sono marcio lasciami gli avanzi/Non esci dal barilе, siamo i troppi granchi
Per i feat mirati, e sempre piacevoli. In ordine di apparizione troviamo il ‘su di giri’ Nevra, rapper classe ’96 ospite in Vucciria; ‘l’esperto’ Eliaphoks, punto fermo MRGA che arricchisce il brano Fruscia bene; e l’assassino Big Effe in Nivure.
E, soprattutto, per la varietà della proposta, musicale e poetica. Come la ‘sbruffona’ Tinto, dove Moncada sta liricalmente ‘a casa a sua’; o la malinconica Stella cadente
Ammazzano i miei idoli nei modi più impensabili/I media sono insensibili, fatti ricompensabili;
La gelida, oscura e sbilenca Perdonalo, pezzo che sentirà suo chiunque stia riflettendo sulle storie che finiscono. Perché oggi finiscono sempre troppo in fretta. Oggi tutto è troppo veloce, e brucia. Ed è già cenere. E dalla cenere, restano solo poche parole mirate:
in fondo tutto passa resta solo l’alone/sembro solo cafone/se mi guardi in superficie, ma ero sotto il portone/ e ora fammi salire, se non ci fosse amore, solo scambio salive.
Conclusione a invito
Per concludere, possiamo dire che Santos è un disco maturo, e completo, per la qualità generale della proposta: una proposta, forse, a sprazzi poco personale – le influenze artistiche, nella voce e nelle rime, sono ancora troppo presenti- ma già degna di nota, a riprova di un livello che in Italia, è sempre più alto. E questo non è poco.
Oggi che il rap è un linguaggio popolare ed è stato pienamente accettato dalle masse, apprezzato dalle critiche e sfruttato dal mercato; oggi che il rap non è più l’alternativa aggressiva – ma il testo di ogni hit estiva! -; comunque, oggi più che mai, pur se infiocchettato, edulcorato, ingioiellato e dipinto, il rap fatto bene, continua ad esistere.
Sacche di resistenza – nuclei sparsi e ancora non comunicanti, ma in fermento – sono sparse per lo stivale. E noi, non potremo che continuare a seguirne i richiami.