In Neverland Mecna ha trovato il suo lato felice dentro la malinconia.
Difficilmente qualcuno assocerebbe la malinconia a Napoli. C’è una visione generalmente stereotipata legata al capoluogo campano, per cui ci si immagina le strade sempre animate, un vociare costante di venditori ambulanti, gente che suona il mandolino e fa le pizze per strada o qualcosa del genere.
Io, invece, se penso a Napoli e ai miei tre anni da fuorisede lì, mi ritrovo immediatamente a camminare tra i ricordi su una via Benedetto Croce deserta a notte inoltrata, con il buio e il freddo a rallentare quel moto perpetuo che c’è di giorno. A farmi compagnia, sempre, o 71100 o Bugie nelle cuffie. In quelle occasioni, così, il mondo reale lasciava il posto al mondo di Mecna, nel quale io mi affacciavo con orecchio teso e animo partecipe, ma dal quale mi sembrava fossero esclusi tutti gli altri, non abbastanza malinconici, troppo contenti per farne parte.
Quello della malinconia è un tema che è sempre ritornato nella discografia del rapper (?) foggiano, che ne ha fatto il proprio tratto distintivo che forse più lo ha legato ai suoi fan. Era presente anche in Akureyri, il primo singolo prodotto da Sick Luke, quando l’idea di Neverland forse ancora non c’era. Lì, Corrado – lo chiamo per nome sentendo una sorta di sdoppiamento della personalità – enunciava con precisione una cosa che tante volte io – e come me credo molti – ho pensato, senza mai riuscire a codificarla.
“Ho soltanto trovato quel lato felice dentro la malinconia, che a tutti spaventa a morte a tal punto da provare con ogni mezzo a scacciarla via”
La malinconia è sempre stata una costante, quasi una necessità, sia di Mecna che del suo pubblico, come se ci fosse la voglia di tenere una ferita sempre aperta per avere la sensazione di qualcosa che scorre dentro di sé, non fa niente se è sangue.
Prima dell’uscita di Neverland, il quinto disco ufficiale di Mecna, la malinconia era un pericolo. Lui, come artista, continua nella sua espansione, nel suo inglobare sempre nuovo pubblico, e questo, spesso porta i fan della prima ora a esclamare il più classico degli “Era meglio prima!”. La malinconia, appunto, che s’imputridisce e diventa nostalgia. In quel caso diventa compito del bravo artista far sì che ciò non accada, portando al suo pubblico un qualcosa che non debba necessariamente essere meglio di ciò che c’era prima, ma che sia nuovo. La nostalgia, quando entra in campo, segue meccanismi complessi per cui, tra due dischi simili, sarò sempre più legato a quello che mi ha accompagnato in un determinato periodo, che associo a certi ricordi e momenti. Se ci si trova davanti a qualcosa di realmente diverso, invece, la nostalgia resta esclusa. Mecna è riuscito a fare questo.
L’autore di Blue Karaoke, quindi, era arrivato all’appuntamento del disco nuovo con la necessità di reinventarsi e, per farlo, ha deciso di far collidere il suo mondo – quello malinconico, che mi aveva accompagnato nelle sere solitarie di Napoli – con quello di Sick Luke, in apparenza agli antipodi, quantomeno per background. Il risultato è, appunto, una terra che non c’è: Neverland. Anni fa mai ci saremmo aspettati di vedere questi due artisti insieme: l’uno era preso come modello di un certo tipo di rap introspettivo, l’altro aveva curato il suono della Dark Polo Gang, tutta – o quasi – proiettata verso l’esterno e focalizzata sull’apparire. Il diavolo e l’acqua santa, insomma.
In realtà Neverland ci conferma quanto, ormai, ogni divisione di genere, ogni schematizzazione musicale, sia priva di fondamento e inutile. Artisti che appaiono lontanissimi, anche come pubblico di riferimento, riescono a collaborare come se lo facessero da sempre, venendo l’uno incontro all’altro con naturalezza. A dirla tutta, in questo disco sembra essere stato più Sick Luke ad avvicinarsi a Mecna che il contrario. Sample vocali pitchati, suoni acustici, melodie malinconiche: tutti elementi ai quali i fan del rapper sono abituati, meno quelli che hanno sempre seguito il produttore romano. Ciò, d’altra parte, non vuol dire che ci sia stata una forzatura da parte del classe ’94, semmai, con questo lavoro, è riuscito a dare spazio a certe caratteristiche della sua produzione che si adattano meno agli artisti con i quali aveva collaborato in precedenza.
Un ruolo fondamentale, però, l’hanno avuto Alessandro Cianci – già noto ai fan di Mecna – e Valerio Bulla, musicista “indie” romano. I due, come ammesso anche da Sick Luke e Mecna stessi, hanno aperto ancora di più gli orizzonti dell’album, rendendolo musicalmente più completo.
Anche i featuring sembrano riprendere quest’idea dell’incontro tra mondi diversi per crearne uno che prima non c’era. C’è la title-track che ricorda, per numero di partecipanti, le posse track tipiche dell’hip hop, solo che gli ospiti provengono tutti da quei macro o microcosmi difficilmente definibili che chiamiamo urban e indie. Il pezzo, in realtà, forse è tra i meno riusciti del disco, ma è comunque un esperimento e, come tale, porta in sé la possibilità di non funzionare al massimo. Si baciano tutti con Coco è, invece, una piccola perla dal retrogusto classico che farà impazzire i fan dei due Corrado. Non dormo mai, infine, oltre che da un Luche sempre più “cantante” e un Generic Animal ormai onnipresente nei dischi rap, è impreziosita da una strofa di Tedua che si candida a essere tra le migliori dell’anno, per vividezza delle immagini e per impatto poetico.
Alla fine, Neverland, con il suo incontro tra universi differenti, dà vita sul serio alla terra che non c’è, la concretizza. Il mondo-Mecna è sempre lo stesso, a essere cambiato è il cielo su di lui, sia per merito di Sick Luke, sia per una nuova fase della carriera del foggiano.
La malinconia, ad esempio, c’è ancora, ma si muove su toni diversi. Quella presenza costante di cui parlavamo prima non è andata via, ma la si vive con più ironia, a volte leggerezza e spensieratezza, in generale con consapevolezza. Perché se in Canzone in lacrime mette subito in chiaro il suo mantra – “Non fare un disco se non stai soffrendo” – che lega tristezza e arte, per tutto il pezzo, in realtà, mostra la tranquillità di chi vive bene facendo quello che fa, secondo i suoi criteri, i suoi principi e il suo gusto. Sì, Fuori dalla città è una botta alla 31/08 che colpirà i fan di lunga data, ma la maggiore apertura e distensione del disco nella sua interezza avvicinerà chi prima col mondo di Mecna sentiva di averci poco a che fare. Sarebbe riduttivo e sbagliato ridurre tutto a una contrapposizione musica triste/musica felice, come se fosse un aut aut, ma con Neverland Mecna sembra sul serio aver creato un mondo in cui non è necessario ferirsi e far scorrere il sangue per sentirsi vivi, basta seguire il proprio fluire naturale.
Il disco, quindi, da una parte ci conferma lo spessore artistico di Mecna, che mostra ancora una volta di avere un suono proprio, una propria identità, che non perde la sua natura anche confrontandosi con artisti diversi. Dall’altra ci fa il punto sullo stato del percorso del rapper foggiano, che ha una consapevolezza e sicurezza nuova, più solida. In 🙁, ultimo brano del disco, citando Pratica, il primo singolo di Blue Karaoke, dice “Ora che ho fatto di me la mia cosa preferita giuro: non resto ad aspettare nessuno”.
Questo, ora, è il suo nuovo mondo, piacerà comunque ai suoi fan di vecchia data e attirerà a sé volti nuovi. In Neverland, così, c’è posto per tutti: ognuno può trovare il suo lato felice dentro la malinconia.