In Italia il rap segue la tendenza e ha ancora paura di dettarla.
Siamo arrivati già alla metà del 2019, e questi primi sei mesi hanno regalato al pubblico Italiano diversi titoli più o meno validi, più o meno seri, più o meno interessanti: Izi è uscito con Aletheia; Massimo Pericolo e Quentin 40 hanno esordito con il loro primo disco; Claver Gold è fuori con un nuovo lavoro; Lazza si è auto proclamato Re Mida e via discorrendo. Insomma di carne al fuoco ne è stata messa parecchia, e da qui alla fine del 2019 si prospettano altre uscite importanti – Marracash, Tedua e Jack The Smoker su tutti.
Come in Italia anche all’estero non si contano le uscite di spessore, con la scena inglese che ha tirato fuori quattro chicche di livello mondiale come gli esordi di Slowthai e Dave, Ignorance is a Bliss di Sketpa, e Grey Area di Little Simz. Senza contare la mole di dischi che gli USA producono quasi settimanalmente, ultimo della lista è il nuovo di Denzel Curry, ZUU. In mezzo a questa giungla di lavori, quello forse più interessante è arrivato tuttavia non da oltre oceano, ma da vicino, molto vicino, ovvero dai nostri amati/odiati cugini Francesi, si parla infatti del nuovo dei PNL: Deux Freres.
Deux Freres arriva a tre anni dall’ultimo lavoro Dans La Legende, un disco che in Francia ha addirittura ricevuto la certificazione di disco di diamante e che ha consegnato per davvero il duo alla leggenda. Ora, indipendentemente dal racconto del disco che si può fare – per il quale rimando all’ottima recensione fatta dal Guardian, o per chi non fosse bravo in inglese dai colleghi di Vice Italia – ci sono un paio di cose da notare riguardo questo disco che potrebbero e dovrebbero insegnare tanto ai rapper nostrani (non tutti, sia chiaro).
Il disco consta di diciasette tracce, per circa un’ora e un quarto di ascolto, non sono presenti collaborazioni all’interno, il brano che dura meno è di 3:09 e si può considerare l’eccezione in mezzo a brani che di media superano tranquillamente i quattro minuti.
Oltre a ciò si può notare come i singoli di apertura del lavoro siano A L’ammonique un brano di oltre cinque minuti con una produzione molto cloud e aperta ma altrettanto lenta e riflessiva, in cui i due fratelli riflettono sulla loro condizione di rapper di successo, passati dalla dimensione della giungla urbana alla solitudine del deserto. Questo concept sarà il filo conduttore del disco e anche del terzo singolo Au DD, dove dalla cima della Tour Eiffel, osservano Parigi con un misto di amarezza e solitudine. In mezzo 91’s, un singolo che rimanda alla Miami degli anni 80, con sonorità più facili (che, è il caso di sottolinearlo, non vuol dire fare il raggaeton). Bisogna poi aggiungere che i PNL non fanno promozione, non vanno in televisione e non fanno interviste – sono anche finiti sulla copertina di The Fader, senza rilasciare un’intervista – e sono indipendenti. In Francia al momento questo disco è già stato certificato doppio platino.
Ora, invito chi sta leggendo questo articolo a cercare un disco italiano degli ultimi anni che vada verso questo genere di maturità.
Non fraintendetemi, con questo non voglio dire che in Italia si facciano solo dischi da ragazzini, non sarebbe ne vero ne corretto. Tuttavia manca un po’ di coraggio da parte degli artisti nel prendersi davvero una responsabilità maggiore, nell’osare per davvero senza dover necessariamente cercare la tendenza. Questo di nuovo non vale per tutti, ma si nota soprattutto negli artisti di un certo livello, quelli che dovrebbero realmente alzare l’asticella. E non vale solo per il rap, ma è un difetto che riguarda tutta la scena pop italiana, e con pop non si intende solo coloro che fanno pop ma proprio tutta quella scena musicale che ha un pubblico ampio e che ad eccezione di pochi casi rimane stagnante sulle proprie posizioni. Ma senza stare a dilungarmi troppo su questioni che diventerebbero via via più ampie, mano a mano che vengono indagate con maggiore profondità, ecco che che degli esempi sono il modo migliore per spiegarsi.
Prendiamo per esempio Potere di Luchè, uno dei dischi più forti usciti negli ultimi anni (era forse da Status di Marracash che non usciva un prodotto del genere), ascoltandolo non si può che rimanere affascinati dalla scrittura del rapper napoletano, dalla ricercatezza sonora, dai passi avanti che ha fatto nell’interpretazione. Si tratta davvero di un disco ben fatto, e allora fa rabbia vedere come per attirare altri ascoltatori debba fare Stamm Fort con Sfera Ebbasta, che non è una canzone brutta ma sembra messa apposta per fare hype.
Un altro esempio che si può fare è Aletheia di Izi, una vera e propria lezione di stile per la cosiddetta nuova scuola Italiana, in cui il rapper genovese ha dato solidità al suo percorso, con un album profondamente introspettivo in cui il suo flow così ostico all’apparenza si dipana ascolto dopo ascolto fino a rendere limpidi i pensieri e i sentimenti del suo autore. E allora lascia un po’ l’amaro in bocca notare come abbia sempre rinunciato a fare una terza strofa, stando su brani in cui le due strofe si appoggiano sempre o quasi a bridge, pre ritornelli e ritornelli. Tutti elementi ben fatti, questo non si nega, ma non si poteva provare ad approfondire di più? Le potenzialità ci sarebbero state tutte.
Izi e Luchè sono solo la punta dell’iceberg, anzi il loro lavoro si distingue per maturità e coerenza molto più di quello di tanti altri. In ogni caso si nota la dittatura della tendenza, nel momento in cui una cosa funziona tutti corrono dietro al trend.
Quando Kanye ha fatto uscire i dischi in formato sette tracce, ecco che la lunghezza dei dischi diminuisce. Il latin trap diventa la moda e allora tutti dietro a provare a fare un pezzo più latineggiante. La soglia di attenzione si abbassa e quindi ecco che le canzoni diventano più corte. Sfera Ebbasta riesce a semplificare il linguaggio all’interno del testo rap ed ecco che tutti cercano di avere una scrittura più asciutta. Tutto questo denota mancanza di personalità da parte della scena che sembra sempre più schiava del suo pubblico. In un momento di grande libertà come quello attuale in cui c’è davvero un piatto adatto ad ogni palato, osare dovrebbe essere la parola d’ordine per gli artisti, che invece di provare a spingere il piede sull’acceleratore e di andare in corsia di sorpasso rimane in seconda corsia a viaggiare tranquilla.
Chiaramente in questo momento la tendenza macina risultati e sta pagando ottimi diventi per tutti, per cui queste possono risultare parole un po’ al vento, ma come disse Fabri Fibra una volta:
“nella scena l’avrà vinta chi va contro corrente”
Grafica di Mr. Peppe Occhipinti.