«Essere apprezzato per il proprio stile, è quello l’unico obiettivo» – Intervista a J.O.D

J.O.D.

La scena Hip-Hop italiana è veramente ampia e, ogni anno che passa, allarga sempre di più i propri confini e lo fa anche nel cosiddetto underground, dove talenti come J.O.D collaborano assiduamente con rapper a stelle e strisce.

Il beatmaker/producer pescarese, infatti, nel corso della sua carriera ha realizzato beat per strofe di MC del calibro di Benny The Butcher, Planet Asia, Tha God Fahim, Guilty Simpson e Hus KingPin, oltre che per diversi connazionali. Nonostante non gli dispiacerebbe affatto lavorare insieme a Johnny Marsiglia, Guè, Luchè, Ntò o Serena Brancale, la sua preferenza rimane per le collabo oltreoceano e, nel corso di una bella intervista, ci ha spiegato il perché di questa ormai abitudine, visibile ampiamente nel suo recente album, Place & Actions.

Buona lettura.

Intervista a J.O.D, producer di Pescara che collabora con i rapper americani

Ciao J.O.D! Come ti presenteresti ad un ascoltatore di rap italiano che ancora non ti conosce?

«Ciao a tutti, sono un beatmaker/producer e vengo da Pescara. Produco al 99% con i samples. Artisticamente nasco come rapper ma negli anni ho capito che la mia natura era fare i beats, anche se non ho mai abbandonato la scrittura e mi diverto ancora a registrare».

Come ti approcci a un beat e quali programmi/strumentazioni usi?

«Fin da piccolo ciò che mi ha fatto innamorare del rap è stato il ritmo. Da quando ho iniziato a fare i beats però ho sempre cercato prima il sample, ero focalizzato molto di più sulla melodia. Negli anni ho cambiato approccio ed ho iniziato a fare spesso prima il groove con le drums per poi costruirci il sample attorno. Ad ogni modo non ho un modus operandi preciso, faccio molto quello che sento di fare al momento. Come strumentazioni uso il PC con FL Studio come programma, una tastiera midi ed un MPD».

Tu hai prodotto basi per gente molto apprezzata da chi ascolta l’underground americano. Penso a Planet Asia, Tha God Fahim, Guilty Simpson, Hus KingPin o già affermati come il grande Benny The Butcher. Come sono nate queste collaborazioni? Sei riuscito ad incontrarti di persona con qualcuno di loro?

«Queste collaborazioni sono nate da me che mando i beats agli artisti che mi piacciono e con cui vorrei collaborare, alcune vanno in porto altre no. Nello specifico Planet Asia ricordo che scrisse un tweet dove diceva che stava lavorando al nuovo album e di mandargli dei beats, cosi gli mandai 3 idee di cui una fu quella giusta. Su quel brano, “Mansa Musa Medallions”, ci mise come feat. SmooVth e Hus Kingpin, e da li partirono le collaborazioni anche con loro. Con Benny e Guilty Simpson non ho lavorato direttamente, nel senso che erano ospiti nel disco di Left Lane Didon che ho interamente prodotto, quindi fu più Left a parlarci. Purtroppo non c’è stato modo di incontrarsi di persona, la maggior parte delle volte mi sento con gli artisti tramite e-mail/socials o call».

Cosa porta un produttore italiano a collaborare di più con artisti statunitensi invece che con i propri connazionali?

«Per quanto mi riguarda sono cresciuto ascoltando solo rap USA, mio fratello viveva a New York, da adolescente andavo spesso a trovarlo ed il mio gusto musicale si è formato più oltreoceano che in casa. Non è spocchia, è che non ho mai ascoltato il rap italiano da piccolo e quindi quando ho deciso di provare a far ascoltare i beats, ho pensato prima ad artisti statunitensi. In più c’è da dire che per il tipo di musica che faccio, in Italia c’è un pubblico ed un numero di artisti molto ridotto, ma sono fiducioso».

Tu vieni da Pescara, come The Ceasars, duo di produttori che da un po’ di anni vive di musica a Los Angeles. Li abbiamo intervistati pochi mesi fa e ci hanno detto che la differenza principale del lavorare con rapper americani rispetto a quelli italiani è la dedizione per il rap e le ore, se non giornate intere, passate in studio anche da parte di artisti sconosciuti. L’hai notato anche tu?

«Personalmente la più grande differenza che noto nel lavorare con gli artisti USA è la sicurezza che hanno nell’approcciarsi al beat, molto spontaneo e non troppo ragionato. In Italia una costante per ogni producer (credo), è che i rappers dicano spesso “bello il beat, suona molto tipo questo arista o quello”, oppure “facciamo una roba tipo quella”. So che lo fanno come complimento ma in realtà non lo è, almeno per me. Questa cosa non mi è mai capitata in America, anzi credo che se un beat suoni simile a qualcosa non venga scelto. Essere apprezzato per il proprio stile, è quello l’unico obiettivo, perchè a fare un beal beat non è cosi complicato. PS: un saluto a Paolo e Marco dei The Ceasars, miei fratelli e carissimi amici».

Il tuo ultimo album è Place & Actions, con dentro solo rapper americani e caratterizzato da un suono molto dolce, ha un mood chill e ci è piaciuto molto. Parlaci un po’ di questo disco.

«Grazie mille, mi fa piacere vi sia piaciuto. L’idea dell’album nasce da una serie di singoli che avevo pubblicato e senza volerlo mi ero reso conto che avevano un vibe simile. Quindi ho chiuso un paio di tracce nuove e ho deciso di pubblicare il tutto come album. I rappers presenti sono tutti artisti con cui avevo già lavorato o con cui sto lavorando ad altri progetti al momento. Il sound del disco è molto jazzy/soulful, ma di nuovo, senza volerlo. Il jazz è la musica che ascolto di più oltre il rap ed è sempre stata molto presente in casa dei miei genitori, quindi mi è molto naturale andare su quel tipo di atmosfere. Il titolo “Place & Actions” è per dire che le azioni che una persona compie spesso sono il frutto del luogo in cui vive o da cui proviene, ecco perchè come foto di copertina c’è uno scatto di Times Square sul front e Little Italy sul retro (foto mie del 2003), perchè quel sound/città insieme a Pescara, mi ha formato musicalmente e come persona».

Degli artisti coinvolti in Place & Actions ce ne è qualcuno in particolare che ci consigli di tenere d’occhio?

«Sono tutti da tenere d’occhio, vi direi Aakeem Eshu, Dango Forlaine e Ronnie Alpha perchè sono quelli più giovani, ma tutti gli artisti presenti nel progetto sono fortissimi, da SmooVth a Traum Diggs, da Dro Pesci a SageInfinite a Challace».

In Italia invece hai collaborato nell’ultimo periodo con Egreen, Amir Issaa (bellissima Tempeste e Uragani pt2!), Creep Giuliano… c’è qualche altra collaborazione nostrana che bolle in pentola?

«In Italia ci sono diverse cose che dovranno uscire, il progetto a cui sto lavorando di più al momento e di cui sono contentissimo è il mio producer album. Ci saranno tanti nomi dentro e non vedo l’ora di chiuderlo. Non so quando ma spero di pubblicarlo al meglio e non troppo in là con i tempi».

E con chi ti piacerebbe collaborare in Italia o negli U.S.A.?

«Con tantissimi artisti, in Italia mi piacerebbe fare qualcosa di nuovo con Johnny Marsiglia, Guè, Luchè e Ntò, Serena Brancale e tanti altri. In America la lista è troppo lunga, Nas, Evidence, Skyzoo, Larry June, Action Bronson, Blu, Kendrick e davvero tanti altri. Mi piacerebbe produrre anche per artisti R&B».

Per concludere: nel 2024, come vedi il rap italiano rapportato a quello americano?

«Non lo vedo, nel senso che cerco di non rapportarli mai tra di loro perchè altrimenti si finisce per fare sempre un paragone per qualsiasi aspetto, ed è un paragone che non può reggere per tanti motivi. A volte mi sembrano quasi due generi musicali differenti. C’è una grande componente di emulazione quasi pantomimica che non condivido a pieno, ma la capisco sopratutto nei più giovani. Un aspetto che manca di sicuro in Italia e che in America è da sempre presente, è un dialogo ed interesse tra il mainstream e l’underground, underground inteso come estetica musicale e non come artista che non ha un seguito. I due mondi possono coesistere ed alimentarsi a vicenda, invece in Italia sembrerebbe di no. Detto ciò credo che ci siano tanti producers ed artisti stilosi in Italia e spero che chiunque riesca ad essere stesso senza cambiare ed omologarsi per piacere ai più».

Bisognerebbe fare tesoro di considerazioni come questa finale fatta da  J.O.D. Bisognerebbe anche dare più spazio a progetti piacevolissimi come Place & Actions. Ascoltatelo!