Jeshi: la nuova generazione del rap uk – Intervista

jeshi airbag woke me up

Ci sono artisti che ci sembra sorprendente che non tutti conoscano. Pensiamo a Johnny Marsiglia ad esempio, uno dei rapper italiani più forti ma sicuramente non celebre all’estero (purtroppo). Immaginate di leggere una sua intervista rilasciata per un blog inglese, sarebbe incredibile. Ebbene sì, siamo riusciti a fare la stessa cosa, ma al contrario: abbiamo avuto l’onore di intervistare Jeshi, un giovane rapper che nel panorama inglese è già parecchio conosciuto e apprezzato, in occasione dell’uscita del suo ultimo disco AIRBAG WOKE ME UP.

AIRBAG WOKE ME UP: Jeshi ci ha raccontato in esclusiva il nuovo album

C’è stato un po’ di timore davanti a questa intervista. Raccontare un rapper già conosciuto all’estero ma non in Italia ha le sue difficoltà, e non solo linguistiche: bisogna far collidere due modi diversi di vivere la musica, bisogna fare le domande giuste e soprattutto bisogna avere la capacità di interessare un pubblico che non è abituato ad ascoltarlo.

Dal canto nostro speriamo di esserci riusciti, buona lettura!

Che parola useresti per descriverti al pubblico italiano che ancora non ti conosce?

«Non sono bravo a scegliere una categoria per la mia musica, forse non sarebbe nemmeno giusto farlo perchè risento di tante contaminazioni. Forse il termine adatto è UK New Generation. Alla fine racchiude quello che sono: un esponente della nuova scena inglese». 

Fai musica dal 2016 e non hai ancora 30 anni, qual è stato l’impulso che ti ha fatto amare la musica e come ti sei avvicinato al rap? 

«Mi sono avvicinato durante le scuole quando i miei amici hanno iniziato a scambiarsi dischi e hanno iniziato a scrivere le prime cose. È stata una cosa molto naturale, ho semplicemente seguito il mio istinto e da lì ho iniziato a registrare i miei primi pezzi e a caricarli su internet senza aspettative. Da qui in poi è stato tutto un crescendo».

Ascoltando la tua discografia si sente la contaminazione di tanti generi, eppure appare chiaro che hai già trovato il tuo suono identificativo, come ci sei riuscito? 

«In realtà seguo istintivamente quello che mi interessa e quello che in questo momento preciso ho voglia di fare. Tutto quello che ascoltate è il frutto di una cosa spontanea e naturale che nasce da una ricerca personale e dal mio desiderio di fare musica per bisogno. Per questo mi ritengo molto soddisfatto del mio progetto, perché la mia musica mi rappresenta appieno».

Hai sempre citato in maniera molto limpida gli artisti che ti hanno ispirato. Tra questi si sentono indubbiamente i Portishead, Dizzee Rascal o Massive Attack, ma anche i grandi rapper inglesi.  Se dovessi scegliere tre artisti che hanno segnato maggiormente la tua musica chi sarebbero?

«L’hai citato tu per prima e sicuramente partirei da Dizzee Rascal  perché è stato il primo rapper che ricordo di aver ascoltato e anche quello che per me rappresenta la figura del rapper inglese per eccellenza. Poi ovviamente i Massive Attack, le loro produzioni sono incredibili e mi piace l’idea di unire l’elettronica al rap.  Sono indeciso sul terzo, ma credo James Brown per il talento nella scrittura e la capacità straordinaria di song writing».

Anche sulle collaborazioni hai uno storico importante! Hai collaborato con artisti incredibili come Mura Masa, Fredwave e Celeste… Mi viene spontaneo chiederti qual è invece il feat dei tuoi sogni che non hai ancora realizzato.  

«Assolutamente Solange che per me è un artista incredibile».

Sono d’accordo!

«Speriamo si realizzi prima o poi».

Noi siamo qui per parlare anche del tuo nuovo disco che uscirà il 24 gennaio, AIRBAG WOKE ME UP. Cosa dobbiamo aspettarci da questo nuovo progetto? 

«AIRBAG WOKE ME UP è un po’ il continuo dello scorso album (Universal Credit, ndr) e non c’è un cambio drastico. In questo momento mi sentivo che la mia storia personale e la mia storia musicale in parte coincidono ed entrambe mi hanno portato dove sono oggi; ho deciso dunque di raccontare quello che vivevo in prima persona, senza finzioni, ma mettendo insieme tutti gli spunti che la mia vita personale mi ha dato. È una raccolta di canzoni che catturano i momenti precisi e sono costruite per avere delle reazioni da parte di chi ascolta e avviare conversazioni. Forse la differenza con Universal Credit sta nell’uso della voce: nello scorso disco la usavo in un solo modo, in questo invece sperimento e la uso in dieci modi diversi».

È più audace nelle ambizioni e costruito con un’energia rinnovata. Caotico, ma nel modo migliore. 

Mentre stiamo chiacchierando è uscito l’ultimo singolo SCUMBAG che anticipa il disco. 

«SCUMBAG è una creazione quasi ipnotica, a tratti folle, che nel suo ritmo incalzante racconta della mia città, Londra. Il brano è prodotto da JD REID e ha un campione di “Stand Up Tall” di Dizzee Rascal, appunto. Credo che sia il pezzo necessario che permette ai miei fan di completare il puzzle della mia visione artistica appena prima che droppi il disco».

E a proposito della tua città, tu arrivi da Walthamstow, un quartiere periferico a est di Londra. Cosa ti ha dato e cosa ti ha tolto artisticamente la tua zona?  

«Nella buona e nella cattiva sorte il mio quartiere mi ha dato l’immaginazione. Attraverso le esperienze che vivevo e le immagini che vedevo ho creato la mia musica e questo nel bene e nel male mi ha portato ad essere chi sono oggi, anche come artista».

Com’è stato per te affrontare il successo che ti è arrivato dopo la pubblicazione di Universal Credit (che ha raggiunto ottimi risultati nelle classifiche inglesi) dentro a un mondo fortemente contraddittorio e divisivo come può essere la Londra di oggi?

«Cavolo, che domanda difficile. In realtà non so come sia per voi in Italia, ma noi cerchiamo il meno possibile di vivere il successo in maniera pesante. Io non faccio musica perché voglio diventare famoso, io faccio musica perché è un’esigenza personale e credo che questa mia attitudine si rifletta anche nel mio modo di vivere.  Quindi io vivo Londra esattamente come la vivevo quando ero un ragazzino, con le sue cose belle le sue contraddizioni».

Le tue canzoni raccontano perfettamente la vita di una generazione abbandonata dalle istituzioni e del malessere sociale sempre più crescente. Come può il rap, e più in generale la musica, aiutare concretamente le persone?

«Banalmente sentendosi capiti. Il ruolo dell’artista è quello di raccontare delle esperienze private e di trasformarle in pubbliche attraverso delle parole che siano il più possibile condivisibili. Sentirmi dire dai miei fan che un mio brano è stato d’aiuto mi rende felice, perché la musica ha il potere incredibile di farti sentire rappresentato. E per la nostra generazione è fondamentale».

Il mio disco è il risultato di quello che accade quando una persona esce da un momento difficile e vuole vedere il mondo da una prospettiva diversa

Noi italiani viviamo la nostra musica come un circuito nazionale che non si apre quasi mai verso l’estero se non in casi eccezionali, e spesso  guardiamo alla musica inglese come un mondo che corre nel futuro da cui possiamo (quando riusciamo) a copiare qualche idea. Come lo vivi invece tu il panorama musicale uk? 

«Bhe di certo non mi posso paragonare ad artisti enormi soprattutto perché all’estero gli artisti che sono conosciuti sono principalmente artisti inglesi bianchi. Però piano piano le cose stanno cambiando, guardiamo ad esempio Stormzy o Little Simz. Anch’io mi sento parte di quel movimento che sta facendo conoscere la musica inglese all’estero, e sarei molto contento di arrivare anche in Italia anche se sono consapevole che parte del mio background raccontato nelle rime si perderebbe a causa della barriera linguistica». 

Vedo che uno dei tuoi mezzi per comunicare passa anche attraverso la moda, come hai scoperto questa passione e in che modo la moda arricchisce creativamente il tuo personaggio?

«In realtà per me un vestito è solo un vestito; semplicemente vedo nella moda un mezzo per comunicare quello che sono. Ma questo mio desiderio di comunicare quello che sono passa attraverso tantissime altre cose, i vestiti non sono altro che un continuo di me. Attraverso l’abbigliamento posso comunicare il mio ego, il mio pensiero e la mia personalità ma non sono certo accessori da vantare o da esibire con orgoglio». 

Purtroppo siamo giunti alla fine, avrei mille altre cose da chiederti ma credo sia necessario concludere con una bella notizia. Dopo la release dell’album ti aspetta un tour in tutta Europa che proseguirà anche in Australia. Cosa ti aspetti da queste date? Come pensi reagirà il pubblico non inglese?

«Intanto mi dispiace non passare per l’Italia ma dovete dirlo ai vostri promoter locali di chiamarmi che io non vedo l’ora! Per l’Australia invece incrociamo le dita (ride). Sono consapevole che un pubblico non inglese può far fatica inizialmente con la mia musica ma abbiamo costruito un bellissimo show ed è tanto tempo che ci lavoriamo e porteremo sul palco qualcosa di cui tutto il mio team e soprattutto io vado molto fiero. Spero di raggiungere più persone possibili per condividere insieme a loro la mia idea di musica e spero di arrivare presto anche in Italia».

Ringraziamo Jeshi per il suo tempo e vi lasciamo qui il suo nuovo album AIRBAG WOKE ME UP che merita di essere ascoltato: