Vale sempre la pena ascoltare i dischi, prima degli artisti. Perché un’incognita può rivelarsi un’epifania, un’agnizione. Una vecchia regola sempre valida, che noi applichiamo come metodo di lavoro e che ci ha portato a conoscere Luce, EP di sei tracce pubblicato da Il Guru, rapper friulano con una lunga gavetta lontana dai riflettori.
Con Luce, l’illuminazione è nel riconoscere la maturazione di un uomo/artista, che riesce ad essere sincero con sé stesso e onesto con gli altri, e che in una ventina di minuti ha la capacità di condensare un lungo processo di autocoscienza, scritto e musicato per rimanere: lontano dai riflettori, ma nelle nostre (noi, pochi, ma sempre di più) cuffie.
Luce: il mantra di ogni Guru del Sotterraneo
Il Guru, nonostante soffra – come molti artisti dell’Underground italiano – di una scarsa attenzione mediatica (ma la nostra intenzione rimane quella di proporre un’alternativa possibile ai media tradizionali), con progetto si guadagna di diritto uno spazio.
Luce è un disco ‘fresco’, corposo ma leggiadro, semplice e complesso. Se la capacità d’ascolto media si abbassa, gli artisti – in uno spazio sempre più ristretto – stanno imparando ad alzare il livello, nel poco spazio concessogli.
Le atmosfere Jazz – che ci trascinano dentro una condizione di improvvisazione feconda, di velocità d’esecuzione e di libertà creativa –, con la voce calda del Guru, sono come caffè e sigaretta: sapori forti, complicati. Eppure, per chi li apprezza, sembrano essere nati per intrecciarsi.
Arrivederci, la prima traccia del disco, sancisce il connubio: parole semplici, che fotografano sensazioni. Un rap come flusso creativo che scava libero, perché “il talento non esiste, vive solo chi resiste”… e sopravvive chi ricomincia:
Una partenza non è altro/che un arrivo in un altro posto/dirsi addio è un arrivederci…anche se non lo vorresti:/io c’ho dedicato i testi
Con questo inizio, dedicato ad ogni fine, si apre il disco. La sua brevità ci permette di analizzarlo interamente, traccia per traccia. Tuttavia, nella convinzione che un’analisi non può trasformarsi in una vivisezione, faremo in modo che i nostri siano solo degli spunti. Semplici porti da cui partire, verso nuovi ‘arrivederci’.
La luce di un sorriso da sconfitto
La forza che trasmette Il Guru e che si rifrange in Luce è la sensazione di trovarsi ad ascoltare un ibrido, che per metà parla con la voce dolce e straziante del jazz, e dall’altra urla con la voce irriverente e arrabbiata della trap.
Questo strano –e riuscitissimo – esemplare emerge chiaramente in Luce nel buio: frase slogan, refrain (“dai luce al buio”) che parte sussurrato, cantato a bassa voce, quasi ‘soffocato’; per poi esplodere, strillato, come un’urgenza. È la rabbia della ‘trap’ (il suo prezioso lascito), sul jazz, e la sua apparente ‘felicità’.
Affacciandosi sul buio (“se mi amassi non scriverei”), si accede qualcosa. Pezzo dopo pezzo, il quadro che si forma all’ascolto è quello di un lavoro maturo, di un disco che in ogni sua sfumatura intende fornire una visione d’insieme. Luce è un attestato, una carta d’identità, uno specchio.
Ci sono le radici, il senso d’appartenenza ad una terra di confine: Cjacara, la ‘Cjacara furlan’, il dialetto friulano e il suo ‘particolarismo’, culturale e linguistico (e le radici, musicalmente, vengono tradotte in una boombapposa ballata di una notte d’estate, intonata intorno alla luce di un falò.
C’è la dichiarazione d’amore, con vari destinatari e plurime interpretazioni. Quello che il testo evoca – per noi- è l’immagine dell’amore più difficile e importante: quello con sé stessi. Ti voglio è il grido del disincanto, di chi scrive lettere d’addio, e attende il suo giorno (che sa già che, molto probabilmente non arriverà):
sono un sognatore cinico,/ tu sai che mi auto-limito e penso che mi auto-elimino/dirsi addio qua è un mezzo brivido, salvarsi pare un miracolo/ho fumato la mia vita sono qua che me la schimico
“L’obbiettivo è salvare me stesso”
Con Jazzmatazz, c’è la volontà di rendere chiari i riferimenti, l’ispirazione dalla quale si nasce. Non è certamente casuale il riferimento a chi – unendo il rap, la musica ‘nuova’ del tempo, al jazz – ha cercato di tracciare una discendenza, di ricostruire un albero genealogico.
Un nome già visto un disco già scritto/Guru (Guru), speriamo che l’epilogo sia un altro
E c’è un finale ad effetto, la firma, il segno distintivo. Se le tracce precedenti, nella loro originalità, seguivano comunque un filone, dei cliché argomentativi – magari utilizzati solo come spunto iniziale –, Corde tese è l’arrivederci che aspettavamo.
quando vedo che non va più a posto/faccio presto mi salverà un testo…/mi ci aggrappo come su uno scoglio/l’obbiettivo è salvare me stesso
Con quella tromba nel finale, a suggellare un testo sviluppato come uno storytelling onirico (nel quale Il Guru immagina un viaggio, tra la rievocazione e l’allucinazione), Luce si va a spegnere. Un breve lampo. Di quanto precederà il tuono?