Dopo la pubblicazione del singolo Musica Eterna realizzato assieme a Clementino, Grido ha reso disponibile oggi il suo nuovo album ufficiale, intitolato proprio come il singolo estratto qualche settimana fa.
Dopo un periodo dedicato ad altre passioni, Grido è tornato in studio per un progetto tutto suo, con una visione molto chiara della musica che può ancora fare. Sebbene il disco sia ricco di spunti e di ospiti di rilievo – Jake La Furia, Fabri Fibra, Tormento, Vacca, Nerone, Inoki e non solo – durante la nostra chiacchierata telefonica abbiamo cercato di ripercorrere il suo percorso artistico e ciò che ha portato alla realizzazione di questo album. Abbiamo così toccato tantissimi temi, dal celebre dissing con Fabri Fibra alla loro rappacificazione, dalla sua nuova etichetta al rapporto con le nuove generazioni, dall’orgoglio di presentarsi come rapper over 40 alla soddisfazione di aver creato un proprio studio per fare musica.
Un uomo estremamente entusiasta di quello che sta facendo, che non rinnega il suo passato e che ancora riesce a gasarsi come da ragazzino per l’hip-hop. Pensiamo possa essere limitativo vedere Grido come il rapper dei Gemelli DiVersi, oppure, come il fratello di J Ax: leggendo la nostra intervista, magari possiamo fare capire il perché.
L’intervista Grido: nuovo album Musica Eterna e molto altro ancora
Volevo partire iniziando parlando un attimo del tuo ultimo singolo realizzato con Clementino. Prima domanda di rito: com’è nata questa collaborazione e com’è stato lavorare assieme?
«Clementino è un rapper che stimo da veramente tantissimi anni perché mi è sempre piaciuto il suo modo di essere appetibile per tutti. Ha sempre avuto la capacità di puntare anche a un pubblico che andava al di là di quello del rap, ma di porre sempre al centro comunque la lirica, la delivery, il messaggio, cioè tutte le componenti essenziali, che sono quelle che secondo me contraddistinguono un rapper come si deve. Sono tanti anni da quando ci siamo incontrati in questo mondo, ci siamo sempre detti: “dobbiamo fare un pezzo insieme”. Non era mai successo fino a questo momento. Quando io ho lavorato al brano, dato l’argomento, dato anche il modo e l’emotività con cui lo stavo scrivendo, mi serviva qualcuno che avesse fatto un percorso simile al mio. Che vedesse le cose anche stilisticamente in una maniera simile a me. E ho contattato Clementino, che in quel momento era nel nord Europa, in uno dei suoi viaggi. Mi ha risposto in tempo zero. Vedi la magia della tecnologia di oggi? Se vogliamo, siamo davvero connessi, no? Quindi tempo neanche un’ora mi ha risposto. Mi ha detto: “La traccia spacca, lo faccio”. Qualche giorno dopo è tornato in Italia, ci siamo incontrati qui in studio e veramente lui aveva già fatto la strofa, quindi è stato è stato super easy. Sembrava quasi che ci fossimo messi d’accordo da chissà quanto, ma in realtà è stata super facile la lavorazione del brano perché è un brano a cui entrambi teniamo. A partire proprio dal concetto, da quello che diciamo. Poi, quando lui ha fatto quella citazione alla mia prima rima in Un attimo ancora rigirandola è stato tutto figo, no? Sono anche contento di averlo fatto con lui perché, anche per il suo momento attuale, è uno dei rapper che stimo di più e fa cose che mi piacciono di più. Quindi collaborare con lui in questo momento, vale ancora di più che negli anni passati»
Quindi prima di questa collaborazione non vi conoscevate bene?
«No, no, ci eravamo già conosciuti. Diciamo che con questo pezzo siamo diventati proprio amici. Prima ci conoscevamo, ci rispettavamo, c’è sempre stato rispetto reciproco da entrambe le parti, ma ci è sempre capitato di incontrarci magari ad eventi dove c’erano, più artisti o concerti, o situazioni comunque legate alla musica. Siamo sempre andati d’accordo in realtà: il feeling a pelle è sempre stato positivo. Mettendoci a lavorare per fare questo pezzo siamo entrati più in confidenza e ci siamo conosciuti un po’ meglio. E anche in studio ci siamo scassati dalle risate. Cioè, Clementino è un animatore ovunque vada!»
Questo album esce per un’etichetta che si chiama Orangle Records, che è un’etichetta e una realtà abbastanza nuova. Volevo sapere un attimo come è nato il vostro rapporto con questa etichetta e come ti stai trovando a lavorare con loro.
«La connessione è stata Inoki. Perché è una realtà che Inoki ha partecipato a creare, in cui sta lavorando attivamente e quindi mi ha fatto conoscere questa etichetta indipendente. Io stavo facendo il giro… diciamo quello che viene chiamato “il giro delle campane” con il disco praticamente pronto. Mi è piaciuto il team e mi è piaciuta la loro visione perché stanno cercando di costruire una realtà legata al rap un po’ alternativa rispetto a quello a cui siamo abituati culturalmente in Italia. Vogliono fare le cose un po’ meno “mordi e fuggi”. Vogliono fare le cose un po’ più legate allo strato più profondo di questa cultura e parlando di questo mi hanno invitato a nozze! A me è piaciuto il team, sono contento di essere con una realtà indipendente di questo genere perché mi lascia la libertà di fare quello che voglio, ma al tempo stesso di confrontarmi con qualcuno che ha la mia stessa visione e di fare del lavoro di squadra.»
Però è un’etichetta che non si occupa esclusivamente di hip hop, giusto?
«Loro hanno un catalogo editoriale, fatto anche di nomi… Che ne so, da i Nomadi, fino a cose più recenti. Fino ad arrivare a un programma di pubblicazioni delle quali al momento non posso dire niente, che adesso è una strategia che si sta costruendo a partire anche dal mio disco. O potrei farti un esempio: quello di Skizo prima di me. O Inoki e Clementino che hanno fatto il singolo insieme, che è stato pubblicato in vinile da Orangle. La connessione nasce così. Dall’entusiasmo di un team nuovo che ha voglia di fare cose.»
Bello, questa è una cosa estremamente positiva!
«Eh sì, anche perché, sai, io arrivato a questo punto, anzi, già da un paio di dischi, non cercavo la produzione di un disco. Mi spiego, una delle cose che mi fa più piacere nel mio percorso discografico, è che insieme a MasterMaind, ho creato una realtà indipendente dove possiamo creare musica dalla A alla Z, e anche tutto quello che ne deriva, ad esempio il videoclip, eccetera eccetera. Quindi avere la libertà di poterti mettere tu a fare il disco con le tue economie, le tue cose e poi poter trovare un partner di distribuzione, per quello che è il mio profilo adesso, mi fa anche più piacere che essere sotto una Major. Dove comunque rientri in alcuni meccanismi che lasciano meno libertà, diciamo così.»
Hai parlato di MasterMaind. Infatti la domanda successiva riguardava proprio lui, dato che il singolo è prodotto da MasterMaind. Volevamo chiederti: qual è il vostro rapporto, come prosegue e qual è il suo ruolo nell’album: ci saranno anche altri producer?
«Con MasterMaind siamo amici per la pelle. Non dico fratelli, perché nel rap questo termine è troppo inflazionato: noi siamo veramente amici. Tre anni fa abbiamo proprio avuto questa visione comune. Partendo banalmente dal rimettere a posto lo studio e creare una stanza nuova, questo ha creato un asset nel nostro studio, che è il Loft 107 che ci ha portato a dire: okay, dobbiamo creare un nostro suono, una nostra identità, un nostro iter, una nostra routine che fonda la nostra vita al nostro fare musica. E così abbiamo fatto. E da questo sono nate le produzioni del mio disco che sono a quattro mani. Ovviamente poi il producer è lui. Ti posso fare un esempio, anche se musicalmente distante, va preso con le pinze: un po’ come quando c’è stato Macklemore e Ryan Lewis. C’è stato proprio un lavoro sulla musica di intesa da due persone che genera qualcosa. Sai, a volte la somma di uno più uno fa più di due! Abbiamo fatto questo per creare il disco come approccio, sia come producer, che come liricista, contaminandoci. Quindi veramente abbiamo creato un modo di fare musica (che credo sarà il mio sempre) insieme e tutto il disco è prodotto quindi da MasterMaind a quattro mani con me. Abbiamo fatto anche altri prodotti, a partire dal disco di Sewit, che è la moglie di MasterMaind, che è la testa social del nostro studio. È stato un po’ come un gioco: cercare di cambiare tutto senza cambiare niente. Quindi mantenere le nostre identità ma suonare totalmente diversi. Una versione 2.0. Era un po’ che cercavo di fare queste cose, ovviamente da quando è finita l’esperienza con i Gemelli, io ho dovuto un po’ cercare la mia strada per fare la musica da solista. Quindi, non dico che i due dischi che ho fatto da solista post Gemelli DiVersi non mi piacciano, ma io riascoltandoli sento sempre una ricerca (soprattutto nell’identità musicale) che era ancora molto frutto del passato in cui producevo le canzoni insieme a THG (Takagi). E la sua visione era avantissima! Aveva proprio un ruolo da producer, già ai tempi in cui in Italia noi non sapevamo cosa fosse, lui aveva quel modo! Quindi staccare mi dà quello: trovare un modo totalmente mio. È stato all’inizio un esperimento, ovvero i primi due dischi, a volte più con brani più riusciti, a volte meno. Invece in questo disco sento proprio di aver fatto il percorso. Prima per trovare questo suono insieme a MasterMaind e poi di esserci divertiti veramente tanto a fare le canzoni perché avevamo qualcosa che suonava diverso, ma che fosse fottutamente Grido.»
Bello! Vedo un sacco di entusiasmo, ti vedo veramente carico. E mi piace un sacco questa cosa!
«Sì, perché è un disco che nel quale la visione è stata chiara sin dall’inizio. Quindi è un disco che pensavamo di fare abbastanza in fretta. Poi ci siamo accorti, man mano che la cosa cresceva, non che noi eravamo lenti, ma che volevamo dedicarci più tempo, perché stava diventando forse più grosso, più denso di quanto anch’io stesso mi aspettassi dalla mia creatività. Ci siamo lasciati trasportare. Ci abbiamo messo un anno e passa. E domani sono in studio ancora. Capito?»
Una volta trovata la quadra del come fare certe rime, nel come divertirmi davvero, mi è tornata una fotta incredibile come una volta! Il Grido sedicenne sarebbe orgoglioso di come sto scrivendo adesso
Se guardiamo la tua carriera recente, diciamo post Diamanti e Fango, abbiamo visto che hai realizzato pochi brani ma sono stati molto mirati e spesso in collaborazione con degli esponenti della scena hip hop. Questa roba qua mi ha un po’ stupito perché insomma, se penso a Grido degli anni ’00 o degli anni ’10, era abbastanza impensabile vederti affiancato a certi nomi! Volevamo sapere: com’è il tuo rapporto ad oggi con la scena hip hop italiana?
«Era impensabile! Io ho fatto esattamente quello che hai detto tu, ovvero negli ultimi 2/3 anni ho deciso di fare proprio questo. Di pubblicare meno ma pubblicare in maniera più pensata. Quindi ho fatto i brani, nel frattempo, a scadenza regolare, mi divertivo con i freestyle su YouTube (le Delivery), che era un uno strumento che mi permetteva veramente di divertirmi, di fare quel cazzo che volevo, partendo però dal fatto che devi fregartene veramente di fare la gara dell’hype. Devi veramente voler comunicare qualcosa e far vedere chi sei. Perché altrimenti, se devi far la gara dell’hype (a partire dalla cadenza) devi fare un certo tipo di pubblicazioni veloci. Cioè, quel mondo lì va veloce, no? Allo stesso modo, il mondo che va dietro alle opinioni delle persone: se tu vuoi avere una strategia super-attiva sui social e stare dietro a quello che pensa la gente. Io ho iniziato a fregarmene. Ho voluto fare un percorso in cui mi sono detto: aspetta, andiamo alla ricerca veramente di cosa pensi tu e cosa vuoi tu. Da lì riparti. E quindi sono tornato a fare quei pezzi che, come dici tu, magari era impensabile, ma che in realtà è il contrario. Ti faccio un esempio, con Ted Bee erano anni che ogni volta che ci vedevamo dicevamo “perché non lo abbiamo ancora fatto?”: era assurdo non averlo fatto prima! Fino ad arrivare anche al pezzo con Fibra che è stato un super piacere, per di più farlo dal vivo al suo concerto al Carroponte! Quando sono sceso, Paola Zukar mi ha detto “sembrava di vedere la scena di un film”. Fosse stato il dissing alla “Temptation Island” come siamo abituati adesso non sarebbe diventata quello che è diventato. Nella mia vita mi sono riappropriato, a partire dalla nascita di mio figlio, del mio tempo, del mio stare bene, del mio fare quello che mi piace. E poi ovviamente non lo nascondo: se fare quello che mi piace mi porta a fare un disco, ovviamente, come qualunque rapper, voglio che questo disco arrivi a più persone possibili. Voglio guadagnare i miei soldi per sfamare mio figlio e il resto della mia famiglia, è chiaro! Non bisogna essere ipocriti. Però questo non deve andare a discapito del proprio benessere. Io spesso vedo persone che seguono questo sogno che poi finiscono per essere al primo posto in classifica, ma in depressione. Finiscono per avere il traguardo che volevano raggiungere, ma farsi terra bruciata con tutte le persone che invece erano i loro rapporti, che li hanno fatti arrivare dove sono. È capitato anche a me, per fortuna in maniera non disastrosa, di fare questo errore. Ora io voglio essere un grande rapper, ma senza cadere in quel tranello. Capito? Quello che intendo è che non voglio cadere nella gabbia dell’hype. È bello quando sei in hype. È bello quando le cose girano a mille all’ora e devi saperlo cavalcare. Ma non deve essere quello lo scopo. Perché sennò è una vita di merda. Ne conosco tantissimi che fanno i ricchi, i più chiacchierati del mondo, ma poi devono prendere le pastiglie per dormire. Io preferisco essere felice, fare quello che faccio, essendo orgoglioso. Poi se arriva un successo che non mi aspetto ben venga, non sono ipocrita. Però non devo togliermi i sassolini dalle scarpe o dimostrare più di quello che non voglio mostrare.»
Torniamo un attimo sull’argomento del dissing con Fibra perché sai, io sono proprio di quella generazione ed ero rimasto flashato da quel dissing! Adesso se ne parla tanto di dissing, ce ne sono stati anche recentemente alcuni molto famosi. Ma quello vostro è stato una roba epocale che è nato secondo me, correggimi se sbaglio, quasi per caso. Cioè, avevate del rancore fondato per qualche motivo?
«Diciamo che si collega a quello che dicevamo prima, in un certo senso. Questi brani, queste collaborazioni e i featuring che avrò nel disco, sono anche frutto del fatto che cambiano i tempi. Passano tanti anni, cambia anche la percezione su certe cose. E magari quella che all’epoca era una percezione giusta è sbagliata oggi e viceversa. Quindi all’epoca sì, si leggeva soprattutto da parte delle fanbase la rabbia, la rivalità. Si sentiva forte quel sentimento. Uno nella mia risposta al dissing di Idee Stupide; due nell’esibizione storica agli MTV Days con Fibra vestito da pagliaccio. Quindi all’epoca eravamo molto più giovani, ma la cosa si fomentò ed era autentica! Era una battaglia a suon di rime. Quando la cosa ha cominciato a degenerare abbiamo detto basta. Ma anche da parte dei miei fan, che magari venivano di fieri a dire: “Oh, sai che ho fatto a botte con un fan di Fibra”. A me quella cosa poi non piaceva, perché io non volevo degenerasse in un sentimento di quel tipo. Che la rabbia prevaricasse la sfida di talento. Altrimenti avrei risposto ai 10mila dissing che mi erano stati fatti dal basso prima di Fibra. Era un gioco diverso. Poi negli anni, ovviamente, le cose si sono evolute. C’è stata una storia sia da parte mia che da parte sua. Finché si è arrivati ad avere la maturità come persone e come rapper di dirsi sia da una parte che dall’altra cose che all’epoca non avremo potuto dirci, altrimenti finiva il rap game. Ma io sono sempre stato suo fan! Cioè, nel senso dell’essere comunicatore in quel modo di Fibra, io sono sempre stato fan. Poi ovviamente ti sta sul cazzo se ti dissa nei pezzi. Però di certo non puoi non riconoscere il talento, capito? Se hai un po’ di onestà intellettuale, anche se uno ti sta sulle palle perché ti ha dissato, se è bravo a fare qualcosa, lo devi riconoscere. Se spacca perché sta comunque portando questa cultura in maniera autentica in certi contesti, lo devi riconoscere. Ed è stato reciproco. Allo stesso modo, nel suo gioco dell’epoca, era “Io sono il rap”, il rap è un’altra cosa, loro sono una boy band… Era su quello che doveva marcare perché era dove trovava terreno fertile. In realtà, per sua stessa ammissione, lui era consapevole che faceva roba che spaccava e vedeva noi, che avevamo spazi dove voleva esserci anche lui, ne era, nel senso buono del termine come lo possiamo essere tutti, “invidioso”. E quindi attaccava chi vedeva al primo posto. Questo, in un certo senso, era anche un riconoscimento di merito. Ci sono voluti anni perché sbollisse anche la rabbia dei fan, perché hanno avuto peso anche loro. Da parte mia, la cosa è partita perché io non ce la facevo più a dover rispondere al telefono e dire: “sì, lo so che mi ha detto sta cosa…” “Eh ma non dici niente? Ma non fai niente?”. Ti giuro dopo due settimane ho detto, “Vabbè, facciamolo”. Tornando al giorno d’oggi la consapevolezza di poter ammettere questa stima reciproca, addirittura in un contenuto pubblico dove io e lui siamo lì, ci stringiamo la mano e ci diciamo queste cose, ci ha fatto dire: “Cazzo, è fottutamente hip hop, questo!” Capisci? È la cultura che ti ha portato a fare musica, a pensarla in un determinato modo che va al primo posto. E quindi il rancore, lo screzio, il motivo, la gara, la competizione che c’era… passa tutto in secondo piano di fronte all’intelligenza intellettuale di dire “Cazzo, però tu spacchi nel tuo e hai sempre spaccato!” e viceversa. E celebrarlo, come ti dicevo prima, in una super esibizione davanti a ottomila persone. Tipo scena del film con Fabri Fibra e Grido che s’abbracciano sul palco!»
Era impensabile nel 2006, però che figata! Viva il rap! Viva l’hip hop!
Altra domanda: quando vediamo le riviste e i magazine che parlano dell’hip hop, della storia dell’hip hop italiano, soprattutto degli anni ’90 e ’00 ho notato che si tende sempre un pochino a “escludere” quello che hanno fatto i Gemelli DiVersi. Ma in realtà tu con la Spaghetti Funk è dagli anni Novanta che sei presente, così come attraverso il writing. Pensi che la scena ti abbia riconosciuto i giusti meriti?
«Allora, io non so mai come comportarmi quando qualcuno (parlo dei miei fan ma anche di chi non mi conosce o mi ha solo come un ricordo…) sente le mie robe o ascolta quello che sto facendo e mi dice “Cazzo, sei The Most Underrated!”. A volte ti fa incazzare, a volte ti fa super piacere. Se sei nella giornata positiva dici vabbè, ci sta: magari è un attimo passare da “most underrated” a “GOAT”. Devi sapere tu cosa ti senti? No? O viceversa, da “GOAT” a “most underrated”. Quindi io dico: come mi sento? Io sento che sto spaccando. Io sento che sono contento di quello che adesso sto facendo e del disco che verrà. Poi ovviamente, quando pubblicamente ti riconoscono dei meriti ti pompa l’ego. È normale. È così per tutti. Se la scena mi ha mai riconosciuto negli anni il mio valore non sta a me dirlo. Non me ne frega neanche più di tanto. Io so che mi interessa avere rispetto di alcuni personaggi e quello so di averlo. Va al di là delle interviste. Te ne potrei citare tantissime in un gap molto ampio che va da Neffa a Tony Effe, per farti un esempio di due persone che ho incontrato sul palco settimana scorsa. Il rapporto che ho, le cose che ci diciamo e il rispetto reciproco dimostrato con i fatti e dalla conoscenza che hanno dei miei brani, quello mi pompa l’ego, mi sostiene. Mi fa pensare di fare giusto di più dell’hype o della super certificazione che ti pompa in quel momento, in quel sistema, in quella vetrina. Il Grido sedicenne è più contento di essere rispettato da tanti artisti, da Neffa a Sfera Ebbasta. E magari poi arriva un giorno in cui se ne accorgono anche tutti gli altri. A me interessa viverlo, della gente che pensa che io sono famoso, mi interessa poco. Oggi l’essere famoso fa schifo. È un concetto che è cambiato. Però indipendentemente da quello che pensa la gente io se esco per strada qualcuno che si gira e mi fa “Oh, bella Grido!” lo trovo. Quello cosa vuol dire: essere famoso? Quello che ti chiede la foto vuol dire che sei famoso? Non lo so. Non mi importa più a questo punto. Sono in uno strato più profondo, proprio dell’essere un rapper. Com’era il ragazzino che doveva dimostrare che il rap era musica. Ora sono un uomo e non voglio scomodare la parola “pioniere” parlando di me stesso, ma ora sono io (insieme ad altri), un “pioniere” del dimostrare che il rap e l’hip-hop si possono fare e non c’è niente di strano a farlo a quarant’anni. In America, ne esistono già altri che lo hanno fatto e spacca. Quindi così com’eravamo i primi da sedicenni, siamo ancora i primi. In Italia ci sono i quarantenni che di nuovo dovranno approcciarsi a questo, trovando un sistema culturale che non è pronto. Adesso non metto le mani avanti dicendo “sto per aprire le porte”, ma i vari Sfera Ebbasta, se non saranno diventati imprenditori ma vorranno ancora fare musica a quarant’anni, sarà anche frutto del lavoro della mia generazione. È un’evoluzione che mi piace perché ti tiene attivo, ti tiene sveglio e ti dà sempre voglia. C’è sempre quella la fiamma del dimostrare che il rap vale più di quanto pensa la gente. Che non si spegne mai. Anche se non sei più di un ragazzino. Perché secondo me, chi pensa che un quarantenne non possa fare rap fa aging. Sul corpo si fa body shaming, sull’età delle persone si fa aging in Italia. Dobbiamo stare attenti. Cioè cosa vuol dire? Vuol dire che allora mi devo mettere le New Balance, il colletto della Polo e comportarmi come se fossi più vecchio di quello che mi sento? Io voglio rappare. Hai capito? Spacca! Clementino? Spacca! Marracash? Gué? Spacca! Fibra? Spacca! Capito? Son quelli che pensano che sia strano a quarant’anni fare il rapper che non hanno ancora capito niente della nostra cultura. E ti dicono: “Eh, ma tirare i figli di mezzo nei dissing?” Ragazzi, ma li avete sentiti i Biggie e Tupac che cazzo si dicevano? O Kendrick e Drake, senza fare il boomer. E vedi questa cosa, magari con te che lo capisci ti fai una risata, ma a me tiene accesa la fiamma. C’è ancora tutto da dimostrare culturalmente e io sta roba la amo talmente tanto che ne ho voglia»
Se pensi un attimo a quando hai iniziato, ti saresti aspettato quello che è diventato il rap e l’hip-hop in Italia e nel mondo?
«Più che aspettarmelo, me lo auguravo. La visione c’era. Poi ti dico, anche a livello mondiale la cosa è diventata assolutamente più grande di quanto ci si aspettasse all’inizio. Per noi è sempre stato il genere più figo e il genere che ascoltavamo più di qualunque altro da quando è arrivato, da quando te ne innamori. Magari a passare dall’”emarginato sociale”, al genere effettivamente più ascoltato e più gradito del mondo… Sì, me lo auguravo, ma non mi aspettavo assolutamente che succedesse davvero. E per certi versi il fatto che sia successo davvero, ai miei occhi che non si aspettavano un espansione così gigante, è anche un po’ quando le cose “stroppiano”. Anche nel rap americano, con il passare del tempo, certe cose hanno iniziato a non piacermi più. Ha cominciato a sembrarmi del rap “che non era più rap”. Però appunto gli anni passano, i cicli cambiano. Facciamo l’esempio dei Gemelli DiVersi. All’inizio erano quelli che andavano nelle radio a spiegare cos’era il rap a rappare. Poi c’è stato un cambio di percezione ma i Gemelli DiVersi, hanno sempre continuato a fare quello che c’erano all’inizio: ovviamente c’era tanta sperimentazione musicale. In Italia non esisteva quella roba certo e non c’era neanche internet, quindi non era così facile avere la reference, il type-beat come oggi. Detto ciò noi abbiamo continuato a fare quello che facevamo, ma è cambiata la percezione e c’è stato un decennio (sintetizziamola così) in cui, come dici tu, nella narrativa del rap italiano erano un po’ “esclusi”. Noi come per certi versi i SottoTono, come per certi versi alcune cose che hanno fatto gli Articolo nel primo periodo. Dopo di che dal 2016 questa cosa è un po’ cambiata. Perché da quando è arrivata la nuova generazione dei ragazzini come Tony Effe che dice apertamente “Tu Corri e è la canzone rap (quindi lui lo identifica in quello) mia preferita”. “Il mio primo disco rap è Fuego dei Gemelli DiVersi” cit. Tedua Ghali che all’inizio fa la band e nelle interviste dice “Noi ci riferiamo un po’ a quel modello di fare hip hop alla Gemelli DiVersi e Black Eyed Peas”. Negli anni la percezione è cambiata. Anche perché pure in America è successo che prima fare tornelli di cantanti era un’eresia e poi invece sono tutti a cantare le hit con i tornelli cantanti. Noi lo facevamo, prima lo facevamo dopo. Quindi anche adesso è tornata un po’ una narrativa dal 2016 di ragazzini che certe pippe certi asti, certi interessi, a volte anche nel raccontare una narrativa diversa non ce l’hanno, non gliene frega niente neanche di sapere se è successo. Raccontano come l’hanno vissuta loro e i Gemelli DiVersi e Grido tornano fuori a livello emotivo nella crescita di gente a cui piace questa roba. Perché io ho sempre fatto questa roba, anche se a volte ho fatto strofe meno serie e a volte strofe che tutt’ora mi chiedo come ho fatto a scrivere quando ero ragazzino (con quelle skills e quelle robe…) ho sempre rappato! Ho sempre cantato quando era un esperimento interessante, ma avevo dei riferimenti americani e mi è sempre sembrato un cretino chi mi diceva che era fuori dai canoni. Il centro per me rimaneva il messaggio. Poi ci hanno attaccato per decenni perché noi facevamo le canzoni d’amore. Stendiamo un velo pietoso su questo. Se dobbiamo fare “Indovina chi” a tirare giù le love songs… adesso rimane in piedi solo Ghali, che è uno che stimo. Anche perché, vedi, adesso per uno come Ghali, fare un singolo che non sia una love song è comunque una scelta coraggiosa nel sistema di oggi. Io me ne fotto un po’ nel sistema. Magari sono un incosciente. Magari sarò un nuovo pioniere di qualcosa. Ma mi fa stare meglio e mi ha fatto venire fuori musica più figa, secondo me.»
Tornando un attimo al presente volevamo solo chiederti qualche aneddoto sul disco e se ci puoi anticipare qualche mossa del tuo futuro: c’è già un tour in programma, se farai degli in-store?
«Si tratta di un disco di sedici tracce, quindi piuttosto lungo. Probabilmente è il disco più denso e profondo che io abbia mai fatto, perché ho cercato veramente di rimettere insieme tante cose della mia vita. Mi sono veramente aperto tanto e ogni pezzo è come se fosse un capitolo della mia storia, della mia vita, chiaramente non per forza in ordine cronologico della mia biografia. Però c’è veramente un percorso che si evolve all’interno del disco sulle argomentazioni. Non ti dico “è una seduta dallo psicologo”, ma scava tanto dentro e spero possa raggiungere quel grado di profondità in chi lo ascolta. Per chi ha tempo di ascoltare i dischi e non solo per i dieci secondi su TikTok. Che poi c’è qualcuno potente anche in quello, però io di solito faccio le canzoni, che è più bello. Poi nel caso è il team che se ne accorge. Io sono concentrato sul film. Mi avevi chiesto anche riguardo al live: ho grossi progetti ho una bella visione anche su questo ma al momento non posso dire niente»
Ringraziamo Grido per il tempo che ci ha dedicato per questa intervista. Dal link sottostante potere streammare l’album Musica Eterna, prodotto da Willy L’Orbo e distribuito da Orangle Records.
Buon ascolto!