Rap francese, rap italiano, razzismo, streaming, integrazione e… Sfera Ebbasta: intervista a Gab Morrison.
Ho sentito parlare per la prima volta di Gab Morrison la scorsa estate, quando mi sono ritrovato su Instagram alcune stories dei rapper della mia città che raccontavano la loro musica ed i loro quartieri a questo ragazzo, sbarcato direttamente dalla Francia. Da lì è stato naturale approfondire la questione per provare a scoprire di più.
Primo passo: andare a sbirciare sul suo canale YouTube, che oggi vanta più di 70.000 iscritti; secondo passo: stupirsi di fronte agli infiniti luoghi e comunità che Gab raccontava all’interno di centinaia e centinaia di video; terzo passo: individuare le chiavi vincenti del suo progetto, che possono essere sintetizzati nel viaggiare e nel raccontare il mondo attraverso gli occhi delle comunità Hip-Hop. Gab Morrison collabora anche per Rap Elite – uno dei magazine di settore di punta sul suolo francese – ed ultimamente il suo lavoro ha attirato anche l’attenzione di media più grossi, come Konbini, che ne ha realizzato un’intervista.
Mosso da una sincera curiosità ho deciso allora di scrivergli per proporgli una chiacchierata sui temi più disparati, con un occhio di riguardo per il rap francese; dall’altra parte ho trovato una persona super disponibile, che non ci ha pensato due volte ad accettare e con cui è stato un piacere parlare. Vi proponiamo quindi questa conversazione informale, che vi darà un punto di vista diverso su tanti argomenti che ci riguardano, alcuni da vicino ed altri un po’ da più lontano.
Ah, l’intervista si è svolta in Italiano dato che Gab parla senza alcun problema diverse lingue, tra cui proprio l’italiano.
Ciao Gab! Parlarci un po’ di te: raccontaci chi sei e cosa fai precisamente.
«Ciao! Sono Gabriel Chavito, classe 99’. Vivo in Francia, nella città di Nogent sur Vernisson, e faccio interviste intorno al mondo sul mio canale YouTube Gab Morrison (Italia, Spagna, Inghilterra, Marocco, Portogallo, Cuba…) ; inoltre lavoro anche per Rap Elite, un magazine sul rap molto conosciuto in Francia».
Come è nato il tuo format e quando hai iniziato? Qual è il tuo obiettivo? E quali traguardi hai già raggiunto?
«Ho iniziato nel 2014 con delle interviste telefoniche, ma ho iniziato veramente a muovermi in tutti i quartieri nel 2017, quando ho lasciato la scuola. Il mio obiettivo è quello di presentare ai francesi i quartieri ed i rapper di tutto il mondo. Ora ho più di 75 000 iscritti nel canale ed è un orgoglio per me avere fatto tutti questi viaggi e tutti questi scoperte».
Sei stato anche in Italia. Cosa ti è piaciuto della scena italiana? Cosa la distingue rispetto agli altri paesi?
«A parte il rap, amo l’Italia perché ci vado spesso; amo anche il rap italiano. Ascolto molto Sacky, Paky, Capo Plaza, Neima Ezza, Shiva… È un stile diverso, meno ripetitivo che in Francia, e mi piace la lingua italiana. Trovo che i rapper italiani siano reali e autentici. Nei video – clip si sente che il rap in Italia è pura strada».
Cosa manca invece secondo te al rap italiano? Credi che abbia un’identità ben definita?
«Secondo me, il rap italiano ha creato piano piano un proprio stile: è un mix tra Italia e Francia. Vedo tantissimi rapper italiani dire parole francesi come “banlieue”, “frère” o “wesh”; mi fa piacere di vedere che altri paesi apprezzano tanto la Francia, più particolarmente al nord. Al sud d’Italia il stile è più “puro italiano”, ci sono tantissimi rapper che cantano in dialetto napoletano per esempio, ed è una cosa che solo possiamo vedere in Italia. In Francia non ci sono rapper che cantano in dialetti locali».
Ci sono dei punti in comune tra il rap francese e quello italiano? E quali differenze?
«Il rap italiano è vicino del rap francese, siamo cugini. Ci sono tanti analogie: per esempio, il quartiere di San Siro a Milano è la zona “più francese d’Italia”. Tutti i rapper di questa zona si vestono come in Francia, scrivono in francese sui muri, ascoltano rap francese… Nei video clip è come in Francia: tute di calcio o Lacoste, borselli Louis Vuitton, cappellini Gucci, una folla dietro il rapper, scooter e motocross… E’ molto simile, però mi piace vedere questo. Preferisco che l’Europa sia ispirata più della Francia che dagli USA. In Francia ci sono molti più stili di rap (drill, trap tipo NLE Choppa, rap dance tipo JUL, afro trap…)».
Il tema del razzismo è molto attuale in Francia come in Italia. Il tuo lavoro è una testimonianza di come il Rap non conosca diversità. Quale è la tua opinione al riguardo?
«In Francia c’è razzismo come in tutti i Paesi, ma nel rap non c’è razzismo. Puoi essere bianco, africano, arabo, latino… Non c’è problema. Nei quartieri di Francia viviamo tutti insieme, non importa le origini. Mi piace vedere che anche in Italia è lo stesso, tanti quartieri con africani, arabi, albanesi, rumeni… In Francia tante persone vedono l’Italia come un Paese razzista perché ci sono tantissimi problemi – per esempio – negli stadi di calcio (come i cori razzisti contro Balotelli o Koulibaly). Mi piace mostrare che l’Italia non è solo questo, e che anche lì c’è tolleranza tra bianchi e persone di altri origini».
La scena francese e quella belga sono accomunate dall’uso della stessa lingua. Possiamo considerarle una cosa sola? Cosa distingue il rap francese da quello belga?
«È quasi lo stesso. In Belgio ci sono due parti diverse: una che parla francese e una che parla olandese. Nella parte francese (Bruxelles, Liège…) ci sono i rapper che cantano in francese come Damso, Hamza, DAV… Non sono francesi però fanno parte della scena rap francese perché cantano in francese. Hanno tanti ascolti in Francia, fanno concerti in Francia, spesso lavorano in Francia, fanno feat con rapper francesi… Hanno lo stesso stile che in Francia».
Quali sono i tuoi rapper francesi preferiti? E perché? Chi invece credi che meriti più attenzione di quella che ha?
«I miei artisti francesi preferiti sono JUL, Sofiane, 4Keus, Naps e Soso Mannes. JUL è fortissimo, sa fare tutti i stili di rap, e – a parte il rap – è un bravo ragazzo che dà forza a tutta la sua città. Di Sofiane mi piace il suo stile di “mangiarsi il beat” (non so come si dice in italiano), e perché è un ragazzo che unisce le persone: è uno che riunisce molti rapper per fare dei bei progetti. 4keus mescolano musica africana e rap, sono fortissimi e sono i migliori in questo stile. Soso Mannes racconta con perfezione la vita di strada, possiamo sentire la sua esperienza nei suoi testi. In Francia credo che ci sono tantissimi rapper che meritano più visibilità. Penso che gli italiani dovrebbero ascoltare Mehdi YZ, è un rapper di Marsiglia che ha uno stile unico al sud di Francia. Dovrebbero ascoltare anche JVN NGT è un rapper del mio quartiere che sa mixare rap e melodia; lui è fortissimo».
Da interno, ci sai spiegare l’influenza che il rap francese ha effettivamente sulla sua società in questo momento? Per esempio il lavoro che hanno fatto i PNL negli anni.
«In Francia, il rap ha aperto la mentalità di alcune persone. Grazie a quello, alcune persone si rendono conto che la gente dei quartieri popolari non sono solo coglioni o banditi, ma anche brave persone. In Europa, il rap francese ha ispirato tantissimi rapper: ormai, possiamo vedere rapper con il stile francese in Italia, Spagna, Portogallo, Olanda. Mi piace vedere che il rap francese è un punto di riferimento in Europa».
In Italia da un po’ di tempo diamo molta importanza – forse troppa – ai numeri, ai dischi di platino, agli streaming, e spesso passa in secondo piano la musica. Anche in Francia è così?
«Sì, in Francia chiamiamo questo « la guerre du streaming » (la guerra dello streaming). Ci sono tantissime pagine Instagram che confrontano le vendite dagli album. Penso però che la musica dovrebbe riguardare la musica e non gli streams: un rapper deve essere ascoltato per il suo talento, non per la sua fama».
Ad esempio, conosci il progetto Sfera Ebbasta? Hai ascoltato il disco?
«Sì, ho ascoltato il progetto. Mi piace Sfera, è il primo rapper italiano che ho scoperto grazie alla sua collaborazione con SCH nel 2016. Quello che rimprovero al suo progetto sono i featurings: ha scelto tanto rapper americani o latini (Future, Offset, J Balvin) che sono molto conosciuti internazionalmente. Avrebbe potuto scegliere rapper emergenti italiani per farli conoscere di più. Gli unici italiani presenti nel progetto sono Marracash & Guè Pequeno, ma sono rapper della scena italiana già conosciuti».
Mi piacerebbe che ci raccontassi qualche aneddoto sui tuoi viaggi, quali sono stati i posti che ti hanno colpito di più.
«Avrei tantissimi aneddoti da raccontare. Sinceramente, devo dirti che il paese che ho preferito è l’Italia: è un paese che ha una verità identità, ogni città è diversa ed anche i quartieri sono reali. Sono stato a Scampia, a lo ZEN, a Quarto Oggiaro… È diverso dalla Francia, c’è più rispetto in Italia. Il posto che mi ha segnato di più invece è Cuba, nei quartieri di Alamar, a l’Avana. Ho visto bande di fronte ogni palazzi con i machete.. Per fortuna l’intervista è andata bene, abbiamo realizzato un bel video lì».
Secondo te è ancora quello USA il rap che influenza maggiormente?
«Prima si, ma adesso no. Non abbiamo bisogno di essere influenzati da loro. Ecco perché non ci sono più collaborazioni con loro… Ormai in Francia ci sono solo collaborazioni con italiani, spagnoli, inglesi ed olandesi».
Consigliaci degli artisti che non possiamo non conoscere che hai conosciuto in giro per il mondo. Di qualsiasi nazionalità.
«Ho visto fortissimi artisti intorno al mondo. Per me, il più sottovalutato che ho visto in Francia è un gruppo che si chiama La Coza: sono due ragazzi di Marsiglia che fanno afro – trap. Anche in Italia, ho visto tantissimi artisti sottovalutato e pieni di talento, in particolare in Sicilia: Kilo KG, Ohdio, Peetrash, Shaka Muni… In Spagna, mi piace molto Delarue, un rapper marocchino di Madrid che fa rap in spagnolo e un pò in francese. In Portogallo c’è Carter245, un ragazzo di Setubal. In Inghilterra: Lil Rass , un rapper di UK Drill, il movimento predominante in Inghilterra. E in Marocco trovo invece che Marouane sia fortissimo. È un artista della etichetta CB4 Gang, una delle più grandi etichette in Marocco».