Ho conosciuto Froz credo vent’anni fa a Milano, io e lui siamo diametralmente opposti per quanto riguarda il Breaking ma molto simili per quanto riguarda determinazione e impegno nell’inseguire i propri ideali. È andato contro tutto e tutti, ci ha sempre messo la faccia in quello che faceva, prendendosi una fetta di mercato che ancora era libera. Ha seminato ed ora sta raccogliendo i frutti. In questi giorni l’ho contattato per farci una chiacchierate a 360° sulla sua carriera, che l’ha perfino portato a diventare giudice di Amici.
Buona lettura!
La nostra intervista a Froz
Bandits è la tua crew, che significato ha per te la crew e quanto è importante per la crescita di un bboy?
«Bandits è la mia crew dal 2004, anno in cui mi sono trasferito a Milano. Quando sono entrato a far parte di questo gruppo, era già un gruppo formato, consolidato e conosciuto. Infatti, avevano già vinto il Bboy Event nel 2001 e fatto il terzo posto al Battle Of The Year Italia. La crew è la vera espressione della nostra danza, dove il lavoro comune crea un risultato individuale. Il gruppo mi ha permesso di sviluppare il mio potenziale come bboy e, sebbene fossi già abbastanza sicuro di me, la crew mi ha fatto diventare quello che sono oggi. A questo percorso hanno partecipato molti Bandits ed Ex Bandits che con i loro consigli mi hanno aiutato a crescere e diventare successivamente il campione che sono stato. Oggi il gruppo continua a significare molto per me, perché è parte indissolubile della mia storia e io sono diventato parte indissolubile della storia della crew. Questa storia continua e continuerà».
In tempi non sospetti aprivi break-dance.it, prendendoti uno spazio non da poco: quali sono state le difficoltà nell’anticipare quello che oggi è alla portata di tutti?
«È vero nel 2002 abbiamo debuttato con break-dance.it, il primo portale dedicato alla breakdance in Italia. È partito tutto da un mio amico, che era appassionato di siti web, nel periodo boom dei siti web, era la novità assoluta. Aveva già un dominio chiamato breakdance.altervista.org dove postava foto e video ed io avevo visto la potenzialità nel renderlo un sito della portata nazionale anziché locale. E così fu. Iniziamo a fare i primi tutorial di domenica mattina (perché lui non andava in università e io non andavo a scuola), lui si faceva 20 km per venire da me registravamo questi tutorial a casa mia dopo un cappuccio e una brioche. Lui lo faceva perché era appassionato, io per gli altri ballerini perché sapevo cosa significava cercare informazioni senza mai trovarle. Infatti i video ebbero una grandissima risonanza e interesse in tutta Italia, si parla di 14 mila iscritti al sito e decine di migliaia di views a video. Per i tempi erano numeri da capogiro. Ho anticipato tutti ma non per competizione per passione. Oggi sembra diventato un must fare dei tutorial e forse dovrei tornare a farli».
Hai avuto una carriera non da poco: quanto ha influenzato il vivere a Milano e che consiglio daresti a chi vuole trasformare una passione in lavoro?
«Ho iniziato a ballare nel 2001 a Conversano provincia di Bari. La magia è scattata guardando su MTV il videoclip musicale dei Bomfunk MC’s, Freestyler. Alla fine del 2004 mi sono trasferito a Milano e questa è stata, col senno di poi, la svolta nel mio breaking anche se allora non si parlava di carriera o futuro, ma solo di passione e divertimento. A Milano erano avanti anni luce, c’era tutto, i club, gli spazi per allenarsi e soprattutto i bboys e le bgirls, insomma la gente che balla. Qui si respirava il vero Hip Hop con molti meno scazzi che nel Sud e con molta più voglia di fare. Milano era ed è la capitale economica d’Italia e di conseguenza una città europea, dove confluivano le varie influenze di stili di breaking. Al Muretto ho conosciuto i Bandits e Twice, che sono stati i miei insegnanti nel percorso del breaking. Proprio a Milano ho iniziato per la prima volta a lavorare con il breaking e, quando mi pagarono per la prima volta dopo aver ballato al Rolling Stones a una serata Five Stars la bellezza di 80 Euro, non ci potevo credere, era il futuro e stava succedendo davvero. Ho avuto il piacere di conoscere vari artisti come Max Brigante, Club Dogo, Big Fish che mi hanno fatto comprendere un modo diverso di approcciarsi all’Hip Hop. Milano era super commerciale, molto più di qualsiasi altro posto in Italia in quel momento. Infatti, anche oggi, la maggior parte dei rapper vengono tuti a vivere a Milano proprio per le possibilità che offre questa città. Da allora è passato molto tempo, con i Bandits abbiamo fatto molta strada e anche nel mio ho avuto molte soddisfazioni e, tutto questo, è anche grazie alla città nella quale viviamo. I consiglio che do a quelli che vogliono trasformare la propria passione in lavoro è quella di fare qualsiasi cosa li faccia star bene nonostante il giudizio altrui è sempre dietro l’angolo, anzi dietro un social. Andare avanti per la propria strada è il segreto».
Se potessi tornare indietro nel tempo, invece, che consiglio daresti a te stesso?
«Se potessi tornare indietro nel tempo il consiglio che mi darei è quello non avere degli idoli ma solo ispirazioni, ma come spesso capita nel nostro ambiente si guarda tanto l’essere artista e poco la persona, finendo poi per giustificare ogni cosa in nome dell’arte e della “piramide” gerarchica dell’Hip Hop. Mi darei il consiglio di farmi Instagram prima di vincere i vari BC One, ma ero persino contro lo smartphone all’inizio, figuriamoci Instagram. Oggi lo uso ogni giorno. Ero anche contro il breaking in TV, oggi invece giudico Amici. Insomma se potessi tornare indietro nel tempo con il senno di poi cambierei in meglio il mio futuro come fece Biff Tannen in Ritorno Al Futuro».
Il breaking è alle Olimpiadi: che futuro prevedi?
«Sono sempre stato a favore sin dall’inizio, non ricoprendo alcun ruolo istituzionale a riguardo. Sono sempre stato a favore perché è un passo in avanti a livello di prestigio per una danza che non può e non deve essere associata SOLO alla strada o ai centri sociali. È giusto che il breaking sia passato dalla strada, dai portici, dai centri sociali, ma è anche giusto che non ci rimanga. Oggi il breaking è fenomeno socio-culturale a livello globale ed essere alle Olimpiadi è la ciliegina sulla torta dopo le pellicole di Hollywood, gli show teatrali dei Flying Steps e due decenni di Red Bull BC One. Il coronamento di un percorso lungo e difficile, ma oggi abbiamo l’approvazione mondiale come danza, che pur non essendo uno sport, è quella che riflette al meglio, una certa disciplina sportiva. La gente ogni giorno si fa il mazzo in sala per prepararsi alle battle non di certo per chillare, ma per spaccare e portare a casa un certo risultato. Le Olimpiadi non sono diverse dalle altre battle con la differenza che agli occhi di tutto il mondo il breaking, a ora, gode del riconoscimento globale. Nel 2026 ci saranno i giochi giovanili a Dakar ed alcuni talenti italiani potrebbero aspirare a qualcosa: nel frattempo stiamo a vedere queste Olimpiadi di Parigi e speriamo bene!».