Sulle orme di Nicki Minaj, Cardi B sta rapidamente emergendo come il nuovo fenomeno femminile hip-hop. Analizziamo il personaggio e traiamo le dovute conclusioni.
Quando Nicki Minaj fece del tutto perdere l’entusiasmo a chi sperava in una nuova Lil’ Kim con il raccapricciante singolo “Stupid Hoe”, la domanda che sorse più spontanea fu: “quanto ancora saremo in grado di raschiare il fondo?”.
Nonostante sia sacrosanto affermare che non ci sia limite al peggio, è probabile che oggigiorno Cardi B ci fornisca un ottimo esempio di quanto in là si possa spingere l’asticella dell’indecenza.
Per chi ancora, nel nostro bel paese, non si sia accorto di lei (ma fidatevi, è solo questione di minuti, permeabili come siamo alla glorificazione del nulla), Carbi B è considerata l’erede della sopracitata Minaj, ammesso e non concesso che la colorata rapper di Trinidad e Tobago abbia davvero accumulato un’eredità artistica da lasciare ad un degno successore.
Cardi B è giovane (classe 1992) e viene dal South Bronx, lo stesso borgo dal quale KRS-One e Scott LaRock, negli anni ’80, mostrarono letteralmente la via dell’hardcore a tutta la East Coast, facendo proseliti che hanno poi diffuso il verbo per almeno i due decenni successivi e stabilendo canoni d’efferata competizione (le Bridge Wars sono ormai materiale didattico) che, tutto sommato, seppur in forme differenti, nell’universo hip-hop odierno esistono ancora.
Di origini dominicane e trinidadi (dev’esserci qualcosa di piuttosto inquinato nell’aria che si respira laggiù), il background di Cardi è talmente contraddittorio e privo di solide radici che definirlo tragicomico sarebbe riduttivo: membro della gang dei Bloods dai tempi della prima gioventù (anche se nessun OG si è mai espresso sull’autenticità di questa notizia, ma abboniamogliela), ha cominciato ad esibirsi come stripper nei locali per adulti all’età di 19 anni, adducendo a questa scelta professionale la necessità di “scappare dalla povertà” e di “raccogliere soldi per pagarsi gli studi”; peccato, però, che una volta racimolato il denaro necessario, la sventurata Cardi non l’abbia reinvestito per affrontare con successo la carriera universitaria, bensì per riempirsi di plastica seno e deretano, forse – chi può dirlo? – improvvisamente appagata dall’educazione ricevuta negli anni della scuola superiore.
Fatto sta che, assunta la forma romboidale che accomuna un po’ tutte le giovani donne con poca qualità ma tanta ambizione (la vista degli uomini si annebbia con una facilità disarmante), Cardi B ha scelto il mondo dello spettacolo per dar libero sfogo alla sua frivola personalità, forse consapevole di come lo show business – e la scena hip-hop attuale, in particolare – non aspetti altro che personaggi come lei per inebetire ulteriormente una generazione già martoriata da anni di corrosivo imbarazzo.
Anche se volessimo lasciare ai rotocalchi rosa le considerazioni più superficiali sulla sua persona, l’analisi della sostanza non cambia il penoso verdetto: ci troviamo di fronte all’ennesima rapper priva di argomenti, crogiolata nella celebrazione del lusso più inverecondo e senza un briciolo di vergogna, una linea comportamentale probabilmente più onesta rispetto alla farsa della povera studentessa in cerca di un’opportunità nella spietata società civile. Quante chiacchiere.
D’accordo, spezziamo pure una lancia in suo favore e affermiamo che i suoi primissimi passi nel major rap non furono del tutto spregevoli (vedi “Red Barz”, rilasciata ad aprile di quest’anno, due mesi dopo la firma del contratto con la Atlantic Records), ma è con “Bodak Yellow”, una canzone che definire tale è già un invidiabile atto di coraggio, che il nome di Cardi B è planato sulla bocca di tutti, e non è possibile ricercare unicamente nel disonesto lavoro dei programmatori radiofonici le colpe di un successo tanto immotivato: se, nel 2017, rime del calibro di “Lil bitch, you can’t fuck with me if you wanted to / These expensive, these is red bottoms, these is bloody shoes” sono davvero in grado di fare ancora breccia nei cuori del pubblico, allora abbiamo abbracciato sul serio la concezione più infima del “trash”, spalancando le porte ad un palcoscenico sul quale tutto è permesso ed ogni ignominia è applaudita.
Cardi B, oltre ad essere un personaggio di per sé sgradevole, danneggia ulteriormente una cultura già in ginocchio, svenduta a chi di rap non capisce nulla come un teatrino di marionette innocue, sul cui talento effettivo si può chiudere un occhio “purché la scimmia balli”.
In realtà, non si tratta di un discorso confinato al solo ramo hip-hop; lungi da chi scrive millantare onniscienza sul significato di buono e cattivo esempio, dovrebbe comunque esistere un limite che non deve essere oltrepassato, poiché non stiamo parlando dell’incarnazione del sogno americano, del reietto che non aveva nulla e ha ottenuto tutto né del genio incompreso, ma di una ragazza priva di coscienza alla quale solo la mancanza di dignità personale ha permesso di eccellere: un esempio da non seguire.
Basti pensare al rapporto di Carbi B con la religione: dichiaratasi “orgogliosamente cristiana”, la giovane ha inoltre affermato di credere che sia stato proprio Dio a “mostrarle la via degli strip club”, parole che – da sole – valgono un posto letto assicurato presso una qualsiasi struttura ospedaliera specializzata nella cura di malattie psichiche.
La cosa peggiore è che questo clone (riuscito a metà) di Nicki Minaj si considera un’agguerrita femminista, e qui, è tempo di dirlo, ci siamo rotti un po’ le palle di vedere strumentalizzata una causa tanto delicata come quella del femminismo da signorine che se ne servono soltanto per sbandierare la propria turpe disinibizione sessuale (ad Amber Rose, probabilmente, fischieranno le orecchie).
Non sarà certo questo articolo a convincere un’intera generazione di adolescenti che Cardi B non è un role model, ma l’averne parlato nei termini che l’argomento merita ci permette almeno di andare a letto con la coscienza pulita. Trattatevi bene.