Il poker di produttori Slait, tha Supreme, Low Kidd e Young Miles ha pubblicato Bloody Vinyl 3, un album che ha unito una quantità di voci e suoni fuori dal comune: l’esperimento è riuscito?
All’annuncio di Bloody Vinyl 3 mi sono subito chiesto se il casino visivo della tracklist (quella tutta scarabocchiata, per intenderci) non fosse un indizio sul risultato del prodotto. Sin dal principio ho avuto l’impressione che ci fosse una certa confusione nella composizione del progetto. Tanti produttori, moltissimi rapper, numerose tracce. Ma il punto è, tutta questa eterogeneità ha portato a un risultato positivo o negativo?
Una Royal Rumble musicale
Diamo un po’ di numeri. Quindici tracce, quattro produttori, una trentina collaborazioni tra voci e produzioni, per un totale di circa tre quarti d’ora di durata. Un progetto atipico, che vede una quantità esagerata di featuring e idee diverse – sia sul piano musicale che su quello lirico – intersecarsi fra loro al fine di comporre una vera e propria royal rumble musicale.
Ed è questa la sensazione che trasmette BV3. Avete mai visto il wrestling e nello specifico una Royal Rumble? Se la risposta è si allora condividerete con l’idea che spesso e volentieri risulta un evento molto confusionario, con tanti atleti sullo stesso ring che si tirano calci e pugni a destra e sinistra. Solo che la musica non è il wrestling e, se in quest’ultimo il risultato è divertente e entusiasmante, in un album risulta troppo anarchico e confusionario.
Innanzitutto c’è un problema alla radice. La scelta di chiamare così tanti ospiti era rischiosa già di per sé, ma Night Skinny (per citare il migliore in questo campo) ci ha insegnato che un’eccellente gestione artistica può unire tante menti creando omogeneità e compattezza nel prodotto. Quindi, arriviamo ai problemi veri, le gestione dei featuring e l’uniformità musicale.
Quattro produttori significa quattro concezioni diverse di musica. Inoltre, un conto è un rapper che sceglie diversi produttori per il suo album, in tal caso teoricamente si riesce a trovare ugualmente una giusta direzione artistica poiché il filo conduttore sarà indipendente dal produttore scelto. Se invece il discorso è al contrario, quattro teste che compongono basi per un intero disco, l’effetto finale può risultare ridondante. E così, secondo chi scrive, è.
Sotto un profilo musicale, se da una parte ci sono diverse produzioni che meritano veramente – ad esempio, Baby, 5G o Drilluminazione – nel complesso ci si sente frastornati da continui cambi di stile tra una traccia e l’altra, tra l’altro quasi tutti molto eclettici e originali. La percezione è quindi confusa, non si riesce a capire in che direzione va l’album. Se in un disco come quello di tha Supreme, nonostante sia noto a chiunque il suo stile particolarissimo e fin troppo pieno di stranezze – sia sonore sia liriche – il risultato era comunque coerente – poiché si capisce una direzione artistica unica – in Bloody Vinyl 3 non si può dire lo stesso.
Chi resta e chi cade dal ring
Tha Supreme è proprio uno dei punti più riusciti di Blood Vinyl 3, la sua dimestichezza con certi tipi di sonorità e il suo camaleontismo hanno funzionato bene dando al progetto una certa unione, che come detto prima non risulta sufficiente nel complesso, ma quel poco di coerenza che si può notare è soprattutto dovuta al giovane talento. Anche Salmo – reduce da collaborazioni ultimamente non particolarmente distinte – tira fuori dal cilindro una traccia che promuoviamo, specialmente per il fatto di aver trovato una giusta ispirazione nella intro del disco (Machete Satellite) con Taxi B.
Insieme a lui, senza voler passare per puristi, ne escono illesi le solite certezze: Jack The Smoker che conferma – come se ce ne fosse bisogno – la sua impressionante attitudine in questo genere riuscendo a rappare una strofa che non rinuncia nè allo stile nè alle liriche: Jake La Furia, Nitro e Fibra uniscono le forze per tirar fuori una traccia che, se non altro, è composta da tre strofe ricche di flow, punchline e rime.
Per Guè e Lazza invece si può parlare di ordinaria amministrazione poiché, premettendo che entrambi non fanno male, ci hanno abituati a livelli ben più alti. Parlando invece di MadMan, riesce a dare un buonissimo ritmo alla strofa grazie alla sua innegabile tecnica che gli regala la capacità di adattarsi a tutto. Anche Capo Plaza appare piuttosto ispirato in Telephone, sia dal punto di vista musicale che attitudinale. Dani Faiv, pur non brillando di originalità come suo solito si fa complice di uno dei banger dell’album: X1 MEX.
Gli altri nomi invece non convincono a pieno, tra emergenti semi sconosciuti che restano troppo anonimi e nomi più rinomati che però rimangono un po’ nell’ombra. Ad esempio Davido viene chiamato per un ritornello in inglese che non trova un senso preciso. Sir Prodige partecipa a due mezze strofe in Bloody Bars – Locked che sanno di già sentito, non riuscendo a distaccarsi dai soliti clichè, ma stiamo parlando di un ragazzo di soli quattordici anni. Rosa Chemical, beh, è difficile da commentare vista la sua tendenza a non prendersi sul serio neanche da solo. Hell Raton non lascia il segno, il suo apporto non aggiunge molto alle tracce, dando l’impressione di non riuscire a trovare una propria identità forte e di conseguenza restando troppo anonimo.
Ci sono poi alcune menzioni d’onore. Madame crea un bel ritornello con la sua solita dolcezza e un certo spessore contenutistico al quale ci ha abituati, Massimo Pericolo convince, tirando fuori dal cilindro una strofa che suona volutamente sporca e cruda, questo è il suo lato che ci piace di più. Infine Altalene è sia per il pubblico che per la critica una delle canzoni più riuscite di BV3, quindi un plauso sincero sia a Mara Sattei e Coez, sia a Tha supreme e Slait per la produzione. Il problema è che è anche il pezzo che c’entra meno col resto della tracklist e questo denota un problema, siccome uno dei punti più alti è quello che si discosta maggiormente.
Cosa ne resta?
Di questo progetto resta tantissima sperimentazione, che probabilmente renderà felice chi è ossessionato da questo aspetto e lo mette sempre in primo piano. Per chi invece nel rap cerca in ogni caso dei precisi stilemi, una certa attitudine e capacità liriche, Bloody Vinyl 3 risulterà ostico e confusionario. Forse col tempo questo album rischierà di passare in secondo piano, venendo dimenticato una volta passata la moda del momento.
Con questo non voglio dire sia un fallimento completo, dato che comunque si trovano numerosi aspetti positivi, ma non si può negare il fatto che potesse anche essere realizzato con un criterio differente.