Auto-tune theory è il nuovo libro di Kit Mackintosh per Nero Edizioni sull’innovazione evidente, ma sottovalutata, di generi recenti come il defraudato Mumble rap di Young Thug e il neologizzato Frag rap dei Migos.
Per Auto-tune theory l’innovazione non si è arrestata
O meglio, non si è arrestata con l’arrivo dell’auto-tune. Accessorio sonoro assurto a nemico giurato inter-generazionale, l’auto-tune come ci spiega l’autore non è semplice robot sound alla vocoder dei Daft Punk, non è metallizzazione della voce cristallina e ben scandita di Rakim e Nas, bensì lo strumento tramite il quale sono nati alcuni tra i generi più recenti e ascoltati a livello globale, spostando l’accento dal cambiamento strumentale a quello vocale.
La manipolazione digitale della voce infatti sfonda davvero solo nel 2007 con le prime tracce auto-tunizzate del cantante reggae Vybz Kartel: in quel periodo la faida giamaicana tra Vybz e Gully God si incentrava anche sull’uso dello strumento, finché il primo non ebbe la meglio. Dalle parole di Mackintosh:
Scardina la dicotomia soul/cyborg e utilizza la manipolazione della voce per aumentare l’espressività, riversando tonnellate di rabbia, energia, elettricità.
In sostanza dimostra come tramite l’auto-tune si possano comunicare emozioni e esperienze umane in modi prima inaccessibili, entrando in contatto profondo col pubblico. Da qui il discorso si sposta dal bashment giamaicano al rap, sfiorando la trap e andando verso il mumble di Future, Young Thug e affiliati come Lil Gotit (per cui l’autore ha una curiosa predisposizione).
Mumble e Frag rap
Mackintosh considera l’estetica fangosa e slimey dei mumble rapper, le strumentali distopiche, scure ma quasi pastorali, e ne trae un’anima mutante, artisti annebbiati che sprofondano nella gelatina e si danno voci pastose, elastiche. Una novità vocale unica, posta sotto il nome di psichedelia vocale. Ancora la parola all’autore:
L’autotune era nato per uniformare le voci, togliendo incongruenze e rigidità naturali, ma qua viene usato per destabilizzare l’enunciazione, accentuando tremolio, estensione e confusione.
Il saggio poi alterna momenti più esplicatori a convoluzioni luccicanti che fanno sembrare mumble e frag stelle accecanti nel buio stantio dell’avanzamento musicale moderno. L’autore in parte ci coinvolge nell’entusiasmo a tratti cultuale per i generi, mentre altre volte ci si chiede se abbia ascoltato lo stesso Huncho Jack o Playboi Carti che abbiamo sentito noi.
Proprio Huncho Jack sarebbe il punto d’approdo dell’esplosivo frag (fragmented) rap già nominato.
Il frag dei Migos non è melmoso come il mumble, bensì vaporeo, etereo, spacey: sembra il rovesciamento irrealizzabile dei panorami trap più scuri, un mondo dai ritmi binari, schematizzati sulle adlib, simili al flusso d’informazione digitale.
Brooklyn Drill e Trap Dancehall
Anche qui l’estetica che album come Culture e Die Lit hanno restituito agli ascoltatori si stacca dalle influenze precedenti per metodi e profondità di interazione tra le voci manipolate, passando da voci cavernose alla baby voice di Carti. L’impatto del frag, nonostante alcuni artisti capofila un po’ decaduti, è in radio e in altri generi, come la Brooklyn drill e la Trap Dancehall.
Con queste due emanazioni eccitanti ci si avventura ancor di più nel futuro energico e penetrante della psichedelia vocale associata a schemi passati: la Brooklyn drill ha rimasticato la UK drill secondo i dettami scattanti del frag, facendo con Pop Smoke numeri da capogiro, la Trap Dancehall si è modulata su artisti demoniaci e stridenti come Tommy Lee Sparta e Alkaline.
Per concludere, il libro di Mackintosh è estremamente moderno, eccitante, sopra le righe e futuribile; come scritto in quarta di copertina, è un calcio in culo alla retromania dato da un critico giovane ma informatissimo, che elabora intuizioni fulminanti in sermoni di potenza innaturale per un saggio.
Vedrete la scena musicale contemporanea con altri occhi.