Jephté Kweto, in arte Jev., è un giovane rapper congo-canadese che solo nell’ultimo anno si è accattivato 2 milioni di ascoltatori su Spotify: un sound originale, fresco e alternativo da cui ci possiamo aspettare molto negli anni futuri.
Jev: un hip-hop alternativo che un po’ ci mancava
the color gray: versatilità e talento
Il fiore all’occhiello della discografia del giovane rapper è senza dubbio the color gray, album di otto brani che riassume perfettamente tutte le sonorità che jev. è stato in grado di portare.
I ventidue minuti di album volano, portando tracce conscious, R&B, e hip-hop più classico: si tratta di una continua sperimentazione di sonorità diverse, che non solo incuriosiscono, ma riescono sempre a funzionare.
Per quanto in questo progetto il punto forte sia il sound e il flow, più che la scrittura in sé, vi citiamo un paio di barre che ci hanno fatto impazzire, anche se l’esperienza complessiva merita decisamente di più:
“Came through the parliament
With the Taliban tanks from the parliament
Fuck a Lincoln, I’ma need a whole parliament
All my notes all sick in this parliament”
And then I got revenge (feat. Joshua Raw)
“Samurai, villainous, danger like syphilis
I know n*ggas built the pyramids
I know shit ain’t sweet but some licorice
Cause if you think outside the box they might put you in a box
Get down, they already throwing us rocks
I’m the type to catch it, throw it back like a SremmLife record”
Where’s the confetti?
when angles cry: un concious alternativo
Con when angels cry si passa a un livello di scrittura ben superiore.
Questo progetto dell’anno scorso, di tredici tracce, consacra jev. come una penna spaziale del panorama dell’hip-hop emergente. L’originalità del sound rimane, ma inserisce una marcia in più nella narrativa dei suoi problemi e traumi (senza venir meno, in alcune tracce, all’hip-hop più classico).
Si tratta di una esperienza d’ascolto intensa, completa, ben costruita.
Da qui ci sentiamo quasi obbligati a riportare le barre migliori ma fatevi un favore, ascoltate quest’album se volete qualcosa di diverso e di qualità:
“Remember all the pain then I put it in all my choruses
Where’s my getaway? my white rabbit, my mad hatter?
I never been to wonderland”
Alice
“Peace to all felons
Poppa died on 29/11
I survived a true fashion, ain’t no black boy heaven
What you need, a few lessons, couple therapy sessions
There was plottin’ in the back seat of the McLaren”
Save a spot for me
“Hold your applause
Translation
Put the choppa down
I’m seeing they get the message
It’s a hell of a show
Broke a couple of legs
Put the curtain down and roll the credits
Put the fear of god in n*ggas
My stage my presence similar weight
That’s the opening act
Just be patient and wait”
The samurai’s monologue
Jev. e la narrativa del rapper senza patria
Avendo vissuto nella Repubblica Democratica del Congo, in Sud Africa e in Canada, Jev. ribadisce spesso il fatto che non abbia una città natale specifica a cui rendere omaggio: gravita verso un senso di casa più astratto ed individualizzato di cui, attraverso la sua musica, ci rende ospiti.
Come “cittadino del mondo”, Jev. mira a riunire persone di ogni ceto sociale e nazionalità attraverso il suo messaggio dell’it’s okay to be different (va bene essere diversi) e attraverso la sua musica sperimentale, nei vari stili e generi esplorati.
Non siamo davanti solo a una gemma dell’underground, ma ad un esempio lampante di musica come linguaggio universale: il suo successo, sempre crescente, sta contagiando gli USA, l’Europa e l’Africa con una velocità impressionante.
Siamo convinti che il segreto del suo seguito sia il perfetto connubio fra tecnica, sonorità e morale dei suoi testi, una perfetta miscela che lo rende per natura globalmente orecchiabile.
Non lasciatevelo assoulatamente sfuggire.