Ape e Ill Papi: Lettere Mai Scritte, che aspettavano di essere lette (e ascoltate)

Ape

Un altro autunno. Freddo incombente, clima ostile, sensazioni strane. Tanta musica che esce, senza lasciare niente, in fondo. Sentiamo necessario il bisogno di qualcosa di più, di più duraturo. Per quelli come noi, che si fanno questi problemi, non c’è una cura, forse.

C’è una stanza buia, un vecchio film già visto, qualcosa da fumare. Scorrono i minuti come home, di tristi social network. E, a un certo punto, qualcosa. Un artista che stimi, un veterano, che torna con un nuovo album. C’è una notizia che arriva, inattesa, e sperata: Ape è fuori con Lettere Mai Scritte.

Un album intimo, breve ma intenso, dove emerge tutta la complessità della semplicità: un rapper e un produttore – rime su una base –  e dentro, la Vita. Quella di tutti i giorni, che ingoia lentamente. Ape ci porta dentro la sua, mostrandoci un uomo che si racconta. Semplicemente.

Le Lettere Mai Scritte di Ape: cosa racconta, e come

Non sempre quello che va detto, va per forza ascoltato. Regola che vale in un percorso terapeutico, come in ogni creazione artistica che vede il soggetto che la compie liberarsi, scavandosi affondo, attraverso le parole. In questo tipo di operazioni – che il rap, per sua natura, palesa – entriamo in contatto con l’artista in maniera diretta. E il suo percorso si specchia nel nostro.

Lettere Mai Scritte è un disco di Ape, al cento per cento. Per chi ha un minimo di confidenza con la sua biografia artistica, ritroverà tutte le caratteristiche salienti della sua penna: l’ironia caustica, la precisione rimica’, la costruzione ‘quadrata’ delle quartine, dove tutto torna, metricamente.

Un approccio ‘vecchia-scuola’, certo, che non lascia adito a dubbi su dove potenzialmente collocarlo. Le dieci tracce che compongono l’album testimoniano una capacità di sintesi che, se rispondono al deficit d’attenzione del pubblico medio, mostrano anche e soprattutto una dinamica non vincolata a logiche di mercato o di profitto.

Un bel disco di Rap è un connubio equilibrato di Stile e Poesia. Se ciò che si racconta è un argomento ‘comune’ – la vita di un uomo -, è il come lo si racconta, a renderlo speciale. Il realismo lirico di Ape sta tutto nel modo in cui esprime in rima ciò che vive (apparente banalità), che non si appiattisce dietro una wave, o una tendenza: resta d’impatto, perché personale.

Abbiamo usato l’aggettivo ‘intimo’; altrove si sarebbe potuto scomodare il termine Conscious. Termine vago e genericamente sbagliato, come quello – per esempio – di Indie. Conscious (Hip Hop) identificherebbe quegli artisti, o quei dischi, nei quali il fulcro del discorso ruota attorno a temi prettamente sociali. E già questo, ad oggi, sarebbe una novità.

In un mondo così ego riferito come quello del Rap, dove tutto luccica (spesso inutilmente) di un’auto-compiacenza fasulla, il Conscious rap di Ape compie un ulteriore salto in avanti: la centralità dell’aspetto sociale si sposa con la piena consapevolezza di non avere risposte esaurienti, a domande sempre più insistenti.

La parola chiave è disillusione. Le sue rime gravitano attorno a questo concetto, che reca in sé i fantasmi dell’insoddisfazione, dell’insicurezza dell’individuo che, condividendola, la rende accessibile, e affrontabile. Deprimente, forse tragico, ma reale. E la realtà merita rispetto, così come chi tenta di descriverla.

Ape

Disillusionismo

La disillusione ce la immaginiamo come un uomo all’angolo, che a testa alta, affronta errori e delusioni, continui. Come nella cover dell’album. “Con la disillusione di chi è consapevole, e la passione giusta per non cedere”, un sapore dolce-amaro, un forte chiaroscuro, un contrasto. La dignità nella sconfitta.

Vista in questa prospettiva, il manifesto perfetto di questo sentimento, è Un altro: un pezzo (con tre strofe, oggi quasi ‘bandite’) con una base ‘dolce’, e un ritornello cantato, quasi sospirato, con un testo profondo, e disilluso. Emerge qui il fulcro di questa poetica:

non ho versioni alternative, né una soluzione/se l’abitudine, in silenzio, uccide la passione/dormo di meno, resto sveglio, non so dargli un nome/neanche il tempo che passa lento offre una soluzione/rivedo in loop vecchie serie preferite/che osserva le altre vite, mi placa, rende più mite/il gusto amaro di tutte le mie promesse tradite/le scelte che ho fatto, quelle che poi sono fallite…

A nostro modesto parere – in quanto l’arte, qualsiasi essa sia, una volta espressa, appartiene al pubblico – il disco ruota attorno a questo sentimento sotterraneo, e condiviso. Al campo semantico della disillusione appartiene a pieno titolo un pezzo come Itaglia (disillusione politica), terzo episodio sul nostro paese, che rimanda a due brani come Bel Paese e La mia Nazione.

Ultimo Miglio, Rap Star, 45 giri, 1000 paure, S.S.N.F.: tutti pezzi che, se si differenziano da un punto di vista puramente stilistico, sono accomunati da un pensiero comune, da una ‘scossa’, che rende questi singoli brani come punti interconnessi di un percorso: l’album, le Lettere Mai Scritte.

Piacevole diversivo è Pesi Leggeri, una ‘tamarrata’ azzeccata, che spezza la tensione e rende vario il tono generale. Ill Papi, unico produttore dell’album, confeziona il vestito perfetto alle rime quadrate di Ape: in tutte e dieci le tracce, i beat non suonano mai ripetitivi, accompagnando il flow verso una direzione precisa, completando musicalmente quel senso di disillusione espresso nelle parole.

Outro

ogni minuto una micro-rivoluzione esplode/un altro ciclo che nasce e si conclude

L’illusione della musica di tendenza, della musica algoritmica confezionata appositamente per riscuotere like, è lo ‘scandalo’, la stranezza, la stravaganza esagerata per risvegliare un presunto interesse e un presunto bisogno.

Ciò non tiene conto delle mille sfumature di ognuno, dei lati nascosti che la spensieratezza senza senso occulta, e adombra. Quel ciclo, se non è concluso, è arrivato al punto di saturazione massima. Dischi come quelli di Ape, servono a dargli – finalmente – l’estrema unzione.

Il ritorno ai concetti, e alle rime sensate, è prossimo. Sentiamo il bisogno, sempre più impellente, di ascoltare Lettere Mai Scritte. Basta con le Parole Sempre Abusate.