Uscito in questi giorni Reflection di Yazee The Dreamer è uno dei beat tape più interessanti degli ultimi anni. Le produzioni sono tutte di altissima qualità e si distinguono per il fatto di essere nella loro (quasi totalità) suonate e non costruite usando sample.
Qualche giorno fa abbiamo avuto l’opportunità di fare alcune domanda al produttore milanese riguardo il disco, le sue ispirazioni musicali e la sua visione più in generale sulla musica.
La West Coast e la Black Music alla base di Reflection di Yazee
Ciao, partiamo con la classica domanda scolastica: ti chiediamo ti presentarti per gli amici più giovani di Rapologia che magari ti conoscono per i lavori su Gara 7 di Johnny Marsiglia.
«Beh semplicemente sono Yazee o Andrea, producer milanese di origini merdionali, produco da ormai più di vent’anni. La mia grande passione è la black music nelle sue molteplici sfaccettature, e cerco di portare questa passione musicale dentro le mie creazioni»
Passiamo subito al disco, noi abbiamo avuto l’opportunità di ascoltarlo in anteprima e di leggere ciò che hai scritto a riguardo. Una delle cose che hai tenuto subito a raccontare è che si tratta di un album praticamente tutto suonato
«Si esatto, non ha sample a parte Abracadabra, è tutto suonato organicamente. Chiaramente non ho suonato tutto io ma mi sono fatto affiancare da alcuni amici musicisti, ad esempio per eseguire le parti dei fiati o delle chitarre»
L’album ha una quantità di “suoni” diversi tra loro, dai synth alle chitarre, ai fiati appunto ma risulta coerente e coeso all’ascolto: è stata una scelta decisa a priori o si è sviluppata durante la scrittura dei vari pezzi?
«No non c’era un idea di fondo, ma è stato un processo che è avvenuto da solo. Essendo molto fan della West Coast, pur non pianificandolo, tendo a orientarmi su quel tipo di sound. Trovo sia normale che pur passando da un tipo di brano a un altro il risultato è per sua abbastanza omogeneo. Quando poi sono passato al mixaggio ho iniziato anche a capire come incollare un pezzo al seguente per far si di trovare il bilanciamento migliore»
Hai parlato della West Coast, hai qualche nome di riferimento che magari ti ispira?
«Due nomi che mi vengono subito in mente sono Terrence Martin e Robert Glasper e comunque quel genere di Nu Jazz sono alla base dell’idea di suono che mi piace creare. Ma in generale tutto ciò che ruota al suono black mi attira»
In un paio di punti si sente anche qualche richiamo alla musica elettronica, è solo una nostra interpretazione?
«Mi stupisce in un certo senso ma ognuno effettivamente trova nella musica i propri richiami; c’è da dire che anni fa ho prodotto anche musica elettronica quindi chissà che magari effettivamente si noti ascoltando il disco»
Alcuni dei brani hanno una costruzione molto orchestrale, quasi da colonna sonora. Mi è capitato di pensare che forse sarebbero anche potuti essere più lunghi, mentre hai scelto per tutti una durata canonica.
«Il fatto è che volevo fare un disco strumentale che arrivasse anche a più persone possibili: dal pubblico classico, ai musicisti o ai rapper, credo che fare dei pezzi lunghi cinque, sei minuti potesse essere respingente. Soprattutto in un periodo in cui l’attenzione per un album dura poco, e forse per uno strumentale ancora meno. Mi sono anche chiesto se valesse la pena spendere così tante energie per creare qualcosa che poi corre il rischio di rimanere poco al pubblico. Dopodiché poi io amo quello che faccio e ne sono orgoglioso e mi sento sempre soddisfatto quando so di aver creato qualcosa che è bello innanzitutto per me»
Tra l’altro proprio in un post su Instagram di qualche tempo fa dicevi che creare musica è un modo per stare bene con te stesso, quindi, immagino che in un modo o nell’altro faresti comunque musica.
«Si, fare musica per me è proprio come fare meditazione, mi estranio completamente da tutto il resto. C’è chi lo fa scrivendo, chi fa dell’altro, io compongo musica e sto bene»
Quando scrivi qualcosa di nuovo pensi già a chi poi ci potrebbe rappare sopra?
«No in realtà no, mi sento molto libero di creare il brano come voglio. Soprattutto in un beat tape come Reflection non mi sono posto il problema di chi potrebbe o non potrebbe rappare su un pezzo. Anche perché il genere di suono che mi piace, che come dicevo parte dal Jazz, è complesso armonicamente, molto libero e sperimentale ed è distante dalla cultura musicale italiana e quindi non necessariamente un rapper riesce a rapportarcisi. Io però amo quel genere, mi ispiro a quel mondo musicale e cerco di riportarlo nelle mie creazioni»
Una miscela di America e Italia…
«Si, è un po’ quella la visione di portare la “complessità” del Jazz in un mondo che è più abituato alla melodia. È quello che ho fatto anche in questo disco, sia per le strutture dei pezzi che per i suoni veri e propri»
Ma quindi suoni anche effettivamente jazz?
«Si fino a qualche anno fa suonavo da autodidatta, però mi sono reso conto di avere dei limiti e che non potevo suonare davvero quello che volevo quindi ho iniziato a studiare armonia jazz. Ciò mi ha permesso di imparare la tecnica, l’organizzazione, la matematicità di alcuni generi musicali. Saper sfruttare le varie caratteristiche della black music fondamentalmente dal gospel in poi. Non c’è modo di imparare questo tipo di cose in autonomia, è come imparare completamente un nuovo linguaggio rispetto a quello a cui siamo abituati»
Cosa ti attira di più in un genere come questo che spesso risulta difficile da digerire?
«Ad esempio, tutte le sfumature che si possono trovare nelle progressioni Blues, gli accordi particolari del Jazz. In genere la maggiore libertà creativa che garantisce. Tra l’altro in America, dove sono abituati da un secolo a sentire il jazz o il gospel, è più facile ritrovare elementi di questi generi anche in produzioni più popolari. Da noi è più difficile perché sono sonorità che il pubblico conosce meno. Spero di riuscire un po’ anche io a far apprezzare di più questo tipo di suono»
Sappiamo che sei un po’ di corsa, ti facciamo un’ultima domanda veloce: sono vere le voci di un futuro producer album?
«Si, effettivamente è così, non voglio sbilanciarmi perché sono scaramantico e preferisco essere sicuro prima di parlarne. Quello che posso dirvi è che spero di riuscire a farlo uscire quest’anno. Vorrei creare anche in questo caso un disco molto coerente che abbia una sua personalità. Il sogno è di riuscire a finirlo velocemente perché non mi piace far invecchiare i beat, perché se aspetto troppo a pubblicarli, poi vado li apro, li ritocco all’infinito. Quindi sono fiducioso ma, come detto, non mi sbilancio»
Se ancora non l’ha fatto, puoi ascoltare Reflection di Yazee, qui sotto.