Flow Sui Gradini, Palermo, Big Joe e l’indipendenza: intervista a Louis Dee, uno dei protagonisti del rap made in PA.
Nel 2013 Louis Dee cantava “Io voglio stare qua anche se qua va tutto peggio/ Qui nella mia città, farti sentire quel che sento” all’interno della traccia Nella mia città di Johnny Marsiglia & Big Joe, in cui si capiva bene come non avesse alcuna intenzione di abbandonare la sua città natale, Palermo, per andare a cercare la fortuna altrove. Diversi anni dopo lo ritroviamo ancora fedele a quello statement, solo che alle spalle questa volta c’è molta più musica, più consapevolezza e degli obiettivi a cui guardare con fiducia. Grazie alle strumentali di Big Joe, amico di una vita e collega sempre stimato, sembra che Louis abbia trovato la direzione che più gli si addice, prediligendo un sound con un’identità forte e delle liriche che non lasciano mai indifferenti.
Flow sui Gradini è la collana cui ha dato vita nel corso dell’ultimo anno, sfornando ben sei episodi che oltre ad essere dei freestyle di un certo spessore sono anche un racconto della sua quotidianità, della sua Palermo e della sua visione delle cose oggi. Lo abbiamo quindi contattato per toglierci qualche curiosità sul suo percorso artistico.
Ciao Louis! Partiamo dai Flow sui Gradini: sono ben sei gli episodi che hai pubblicato, tutti prodotti da Big Joe. Come è nato il concept? Come mai avete preferito pubblicarli singolarmente piuttosto che in un unico progetto?
«Flow sui gradini è il modo più spontaneo di dar voce a me stesso e ai miei pensieri, rappare le mie barre e intonare le mie linee mi ordina la mente. È anche il mio modo di reagire a un mercato (quello italiano) ormai saturo e pieno di sufficienze. Quando ascolto del rap fatto bene e con consapevolezza di ciò che realmente è scrivere rap riesco a proiettarmi visivamente all’interno dei versi, dell’attitudine e dello spirito. Il sole che batte sulla mia faccia mi dà energia e cade sugli alberi piantati negli anni in cui nessuno di noi ha mai smesso di credere che questo gioco del rap un giorno sarebbe diventato una reale via d’uscita e se continuano a scrivere di me e tanti validi artisti che siamo ancora troppo sottovalutati è perché probabilmente c’è un errore di fondo. Tanti stanno al gioco, noi siamo il gioco! Voglio dire…guardaci! Jojo negli anni ha creato la musica migliore e con una qualità che l’Italia non ha mai visto da così vicino, ha letteralmente imposto il suo sound e ispirato tanti giovani producers a superarsi e ad uscire dalla comfort zone. Abbiamo sempre fatto il nostro e col nostro siamo arrivati alle orecchie della gente, restando nelle menti di chi ascolta realmente questa musica. La musica nasce per restare nel tempo, aldilà di qualsiasi legge non scritta di mercato. Flow sui gradini siamo io, Joe e la nostra musica. La nostra nicchia ci crede tanto e quando scrivono la parola “culto” mi sento benedetto. Abbiamo il succo. Abbiamo la mentalità».
Palermo è sempre stata molto presente nella tua musica. Quanto ha influenzato le tue rime e quanto credi ti abbia formato artisticamente oggi? Credi ancora che la mancanza di strutture e di realtà professionali adeguate sia un limite per gli artisti urban della città?
«Palermo è la donna più bella, pazza, strana, inusuale e affascinante che abbia mai conosciuto. Ci frequentiamo da un bel po’, ne sono innamorato da sempre ma abbiamo entrambi due anime confuse, sentimenti altalenanti e punti di vista spesso troppo differenti per poter stabilire una relazione sana. Lei riesce a imprimerti un DNA fin dalla nascita, senti Palermo quando parlo di me, quando parlo di donne, quando parlo di mio figlio. Credo che ancora prima delle strutture e delle realtà settoriali manchi prima di tutto la cultura e la mentalità per intraprendere una strada che porti a un qualsiasi tipo di business. Ma è così in Italia, Palermo in realtà è ormai diventata meta fissa di tanti artisti che vengono qui a scrivere i loro album, abbiamo i talenti più cool e freschi del panorama, che hanno già collezionato decine di riconoscimenti. Negli ultimi anni a Palermo sono nati dei veri musicisti con un genio smisurato e un cuore puro, come Peter Bass, Dnvr, Filippo Migliore, Foreigner e altri di cui un giorno sentirete parlare».
Anche tu – come molti artisti in questo ultimo periodo – hai scelto la via dell’indipendenza. Quali sono i pro e i contro? Credi che in Italia un artista possa costruirsi un presente ed un futuro da indipendente?
«Ho scelto di metterci del mio in tutto e la gente che crede in me e nei miei progetti ha la stessa visione, mette la passione per la musica davanti a tutto. Come diceva Miles Davis “La musica e la vita sono solo questione di stile” e anche “Non esistono note sbagliate”. In questo momento della mia vita sto lavorando con i miei amici che suonano proprio quelle note che tutti credevano fossero sbagliate. Sono indipendente perché ho scelto di non avere dubbi e perché credo di non essere nato per snaturarmi o esaltare forzatamente una parte di me. Lì fuori è pieno di talenti che hanno solo bisogno di una fanbase che cresca con loro a ogni progetto, io con Flow sui gradini sono salito su un gradino più alto di volta in volta e ho notato che altri artisti italiani hanno cominciato a uscire con la stessa formula, lo stesso concetto e la stessa voglia di spaccare e crakkare il sistema. Questa è condivisione, e sono davvero contento di come poco alla volta si stia di nuovo reinventando un mercato di artisti che stampano i vinili e con 500 edizioni limitate riescono a ottenere gli stessi benefici economici che avrebbero forse ottenuto in major, dovendo però arrivare a numeri molto più elevati per riuscire a ottenere la stessa cifra. La nicchia intellettuale sarà presto la nuova alternativa al mercato saturo di cui parlavamo prima».
Praticamente la quasi totalità della tua discografia è prodotta da Big Joe. Qual è il vostro legame? Credi che lavorare con lo stesso produttore possa elevare la tua musica piuttosto che sperimentarla con diversi beatmaker?
«Io e Joe siamo musicalmente cresciuti insieme, da ragazzini stavamo chiusi nella sua vecchia cameretta a scrivere versi e a realizzare il suono che da lì a poco sarebbe diventato la colonna sonora della nostra città. Il suo primo beat completo è stato il mio primo tappeto sonoro su cui allenarmi a scrivere e sono stato il primo insieme a JM a portare il suo nome alle orecchie di tutti gli altri artisti di Palermo. Ci credevamo tantissimo e avevamo ragione. Siamo fratelli nella vita di tutti i giorni, ci supportiamo e ci aiutiamo a vicenda. In tutte le famiglie, soprattutto al Sud, primeggia un forte valore di unione, in tempi bui ho avuto un paio di fratelli che, con le loro rispettive famiglie, non mi hanno mai fatto mancare quel tipo di calore, e Joe mi rispondeva al citofono alle 3 del mattino con coperte e cuscini già pronti. Il fatto che per me sia anche il mio produttore di riferimento è superfluo specificarlo, abbiamo la stessa visione su ciò che per noi è la musica. Lavoro già con altri beatmaker per i loro progetti e per me è una questione di divertimento in primis, ognuno trasmette emozioni diverse, ognuno ha la propria aura, il fatto che la mia discografia sia in parte prodotta da Joe è una mia scelta inconscia, viaggiamo sulle stesse note e continuiamo a crescere insieme. Io credo tanto in lui».
Sono passati ben 6 anni dal tuo ultimo disco ufficiale Sto Bene All’Inferno. Riascoltandolo adesso che sensazioni ti regala? Quante cose sono cambiate da allora?
«Quel disco è stato un punto di svolta, ci sono tracce come Nati Storti, Eredità con Frank e Fa Male con Tormento che hanno aperto nuove visioni e concept di ciò che quell’anno era il rap italiano. Ho capito che poteva diventare col tempo il mio lavoro, ho visto la gente in tante città d’Italia venire ai miei live e cantare i miei pezzi. Il giorno successivo, in aereo, stavo già scrivendo con un’altra concezione di cosa potesse voler dire per me lavorare a un nuovo album. Da allora è solo aumentata la conoscenza di me stesso, la scrittura per me continua a essere un’autoanalisi, il mio modo per conoscermi e capirmi. É cambiato il mio approccio nei confronti dell’industria discografica, l’ombra e l’inferno da cui ero circondato prima continua a essere una costante nella mia vita, ho semplicemente trovato il modo di reagire e costruire in un terreno su cui tutti dicevano non sarebbe cresciuto nulla di buono. E invece guardala adesso Palermo».
La scena di Palermo sta producendo più artisti di quanto fatto solitamente in passato. Credi che abbia le carte in regola per sfondare a livello nazionale? C’è qualche nome che ti piacerebbe segnalarci?
«In realtà Palermo è sempre stata calda, forse prima non c’era un pubblico solido, spesso alle serate sotto i palchi ci trovavi un pubblico per lo più fatto di altri rapper o aspiranti tali. Adesso è diverso, c’è la voglia di fare festa e confrontarsi, ci sono artisti che rappresentano praticamente ogni quartiere, in ogni scuola e in ogni punto di ritrovo c’è sempre ambizione. Forse è il credere di non essere abbastanza che negli anni passati ha fatto sì che a Palermo e in Sicilia in generale ci fossero pochi prescelti. Mi sento di consigliarvi tutti i nomi di Palermo, ognuno ha il proprio gusto e la propria visione. Spesso vengono a trovarmi Spika, Kilo e Jesse Tha Maestro e mi fanno ascoltare robe pazzesche…teneteli d’occhio quindi!».
Ritornando ai Flow Sui Gradini, mischi la vita quotidiana alla tua vita interiore, rimanendo sempre molto personale. Ha influito un periodo nero come quello della pandemia sulla tua scrittura e sulla tua visione delle cose?
«Ho sempre esternato sentimenti forti su qualsiasi argomentazione trattata, dalla strada alle donne, dal dramma all’amore, è un modo viscerale di esporre il mio punto di vista. Quando è iniziato quest’incubo mi trovavo a Milano ospite in casa di Ensi per lavorare alla nostra musica. Siamo entrambi genitori e in quel momento leggere e ascoltare quelle notizie ci ha praticamente paralizzato, tornando a Palermo in aereo ero parecchio nervoso perché stavamo lavorando a molti progetti, eravamo tipo la Coca Cola con le Mentos appena agitata che stava per esplodere. Di colpo ci siamo dovuti fermare senza capire cosa stesse realmente succedendo, volevo solo tornare a casa da mio figlio. Spero ne usciremo tutti il prima possibile, per fortuna questo periodo non ha influito sulla mia scrittura, sono concentrato e continuo a scrivere e registrare nuovi pezzi per me e per altri quasi ogni giorno da un paio d’anni, mai stato così in forma».
Nell’ultimo periodo sta tornando di moda il rap che suona in un certo modo. I trend invecchiano presto e sembra che ci sia un ritorno alla ricerca di un’identità precisa per gli artisti. C’è qualche realtà italiana o estera in cui ti rispecchi?
«In Italia la mia unica realtà è il mio team Juicy Music, è questa la mia strada, è questa la mia visione e i miei amici sono la mia forza. Non avete idea di cosa uscirà quest’anno
Oltreoceano la realtà che preferisco è TDE, per le mie orecchie è importante il suono caldo denso di soul e freschezza, gli artisti di quel roster liricamente dicono molto e lo fanno all’interno di un mondo che ama semplificare tutto e tutti».
Cosa dobbiamo aspettarci dal 2021 di Louis Dee? I tempi sono maturi per un nuovo disco?
«Il mio album e il resto dei progetti curati da noi vedranno presto la luce e credo riusciranno a loro volta a illuminare la strada verso una nuova visione e un nuovo concetto di discografia e rap italiano».