Prima che uscisse Mr. Fini ho visto il video su RaiPlay di Guè Pequeno e sono rimasto colpito dal fatto che quest’ultimo paragonasse la propria musica a un film di Refn.
Cito testualmente:
“Un conto è fare un pezzo rap come ce ne sono tanti adesso che non ha piani di lettura, non ha una componente poetica, non ha un metafora. Possono avere altre componenti forti come il beat, la delivery. Però se è tutto b*tch, soldi, vestiti.. Si, magari poi dipende se sei o meno impressionato da sto fatto. A me non impressiona. Mi deve impressionare se tu mi dai un piano poetico, uno spessore della cosa. Questo è come quando guardi un film di Winding Refn, per esempio, in cui vedi Ryan Gosling che fa una strage, però lo fa in una forma poetica, artistica e con dei colori e una poesia diversi da film di, non so Bud Spencer o Van Damme”.
Questa cosa mi ha incuriosito e fatto pensare parecchio, e sono giusto alla conclusione che in effetti la musica di Guè Pequeno è come un film di Refn.
Estetica e forma che diventa contenuto
La prima cosa che accomuna un progetto come Mr. Fini a un film di Refn è la minuziosa ricerca di un’estetica particolare, che differenzia sin da subito il proprio prodotto rispetto a quello dei colleghi. Così, come il regista danese punta evidentemente su una fotografia molto precisa e dominata da certi colori, su tutti il blu e il rosso/viola, il rapper milanese ricerca spesso una tecnica e un mondo precisi. Se apparentemente per entrambi si potrebbe contestare una ricerca estenuante verso una forma che però non porta da nessuna parte, scavando più a fondo si capisce che questa fissazione verso certi stilemi accoglie proprio una volontà di portare in alto e trasformare la forma in contenuto.
È più importante il cosa o il come? Se parliamo di questi due autori la risposta risulta piuttosto facile, per entrambi una eccellente messa in scena (per Refn) e un’ottima scrittura (per Guè) sono il motore principale della loro arte. Forse il perché risiede nel fatto che nel duemilaventi ormai sia cinema che musica hanno visto praticamente di tutto, toccando ogni argomento possibile, dunque l’unico modo che rimane agli artisti per differenziarsi è farlo con la propria tecnica e la propria idea di arte. Spiegando meglio questo concetto potremmo approfondire la domanda: è più importante “il cosa” o “il come”?
La risposta a questa interrogazione si può formulare premettendo innanzitutto un “cosa” che deve essere comunque lodevole, ovvio che se la trama di un film o ciò che vuole raccontare una canzone è fallace alla base, una buona realizzazione non potrà mai salvare l’opera. Ma preso per assodato una sufficiente scelta del contenuto è la forma che fa veramente la differenza. Perché (per citarne un paio) Kubrick, Bergman, Lynch o Tarantino fanno film di altissimo livello? Senza dubbio scelgono argomenti interessanti, ma poi riescono a realizzarli in una maniera del tutto singolare e superlativa. Lo stesso vale per la musica, in questo caso il rap. I grandi artisti si differenziano perché riescono a fare meglio ciò che fanno gli altri.
Messaggio nascosto
Entrambi i protagonisti dell’articolo in questione non cercano mai di portare un messaggio diretto e didascalico ma piuttosto lasciano all’ascoltatore (o spettatore) il compito di capire il messaggio. Questo è ciò che rende ancor più profondo e sincero il loro modo di fare arte. Un procedimento troppo diretto, esplicito e nozionistico fa inevitabilmente calare lo spessore di un’opera, mentre invece se si lascia il fruitore libero di estrapolare il messaggio che più ritiene opportuno allora ecco che si riesce a ottenere rilievo.
Chi critica Guè Pequeno in merito agli argomenti che porta non capisce che nell’arte in generale è importante anche mantenere uno stile preciso che riesca a distinguerti dagli altri e denotare la propria abilità. Quindi se in un film la regia è fondamentale per la buona riuscita del progetto, in una canzone è importante la scelta delle liriche, della musicalità e di tante altre componenti non contenutistiche che però lasciano intendere una pregevole fattura del prodotto. Questo è il motivo per il quale, scelto un’argomento, si può risultare banali oppure profondi. Nelle parole così come nei gesti è importante scegliere il come piuttosto del cosa.
Mr. Fini di Guè Pequeno è un album alla Refn
Quindi possiamo dire che l’ultima fatica di Guè Pequeno è veramente paragonabile a un film di Refn. Un lavoro denso, che alterna momenti leggeri a episodi più pesanti che si intrecciano in un’esperienza unica, nella quale l’autore non vuole dettare all’ascoltatore ciò che deve capire, ma lo lascia sotto inteso, nella speranza che il fruitore sia abbastanza intelligente e sensibile da arrivarci da solo.
Questo è il motivo per il quale è chiaro che Mr. Fini parli di argomenti come morte (e la paura di morire) in quasi tutte le tracce, redenzione (Tardissimo, Immortale, Stanza 106, Ti Ricordi?), vita spericolata anche in accezione non positiva (L’amico Degli Amici, Il Tipo, Medellin, Cyborg, No Security, Ti Levo Le Collane), amore o comunque un sentimento forte verso qualcuno o qualcosa (Saigon, 25 Ore, Parte Di Me). Essendo un disco maturo, non lo fa esplicitamente bensì implicitamente.
C’è tutta la trilogia Pusher visti gli argomenti street, quali droga e vita di strada. Troviamo Bronson se non altro perché Guè in diverse tracce fa emergere un lato prepotente, duro e aggressivo, proprio come Tom Hardy nel film. Accostiamo anche Drive per il suo amore verso le macchine sportive che sfrecciano sull’asfalto e che spesso cita (“Se mi fermano su sta AMG sono fottuto, e no, non credo in Dio, ma mo’ gli chiedo aiuto” per citare una barra a caso). Infine c’è anche, come già evidenziato prima, una ricerca dell’estetica veramente minuziosa, paragonabile alla clamorosa fotografia che troviamo nei due film più riusciti di Refn: Solo Dio Perdona e The Neon Demon, oppure nella serie TV Too Old To Die Young, che tra l’altro tratta argomenti cari al rapper in questione. Tutta questa unione di estetica e contenuto porta i due autori ad essere effettivamente simili nella concezione della propria arte.
Mr. Fini, a distanza di mesi dalla sua uscita risulta davvero un album simile al capolavoro che è Vero, che ad oggi risulta probabilmente ancora il miglior disco del rapper milanese. Se in album come Gentleman o Sinatra (entrambi comunque buoni prodotti) mancava un po’ di spessore perché se da una parte la forma era ottima dall’altra il contenuto risultava effettivamente lacunoso, lo stesso non si può dire di quest’ultimo lavoro che invece parte da un’ottima base e poi la sviluppa al meglio come solo sa fare Guè Pequeno.
Grafica di Cristian Formica.