Abbiamo letto con gran piacere Il Tocco Di Mida, il nuovo libro di Don Joe, e abbiamo trovato ben più di uno spunto di riflessione tra le sue pagine.
Il Tocco Di Mida è un libro che racconta uno spaccato della storia del rap italiano, forse la più interessante, quella che sta a metà tra la fine degli anni d’oro e l’inizio dell’epoca che fortunatamente stiamo vivendo oggi. Come ci si poteva aspettare, buona parte del racconto autobiografico esplora da vicino quello che è stato il mondo dei Club Dogo con tanti aneddoti, curiosità, contraddizioni e momenti intimi che altrimenti non avremmo mai conosciuto.
Il libro risulta essere scorrevole e sempre molto interessante lungo le sue centoquarantaquattro pagine, facilmente fruibile anche da chi non possiede il tempo necessario da dedicargli. Per invogliarvi ulteriormente nella lettura de Il Tocco di Mida, abbiamo quindi estratto alcuni passaggi che ci hanno affascinato – e perché no, emozionato – e li abbiamo legati a dei brani prodotti dallo stesso Don Joe, la cui musica continua ad essere ancora oggi la linea guida che lo contraddistingue da qualsiasi altro personaggio della scena:
“Un bel giorno arrivarono anche tre ragazzi un po’ più giovani di me, che avevo già visto in giro perché anche loro frequentavano il muretto di San Babila e gli altri ritrovi della scena hip hop milanese. Conoscevo un po’ meglio il loro manager, Chief (rapper a sua volta e oggi manager di altri rapper come Rocco Hunt), e il loro produttore, Caneda (oggi rapper, produttore e pittore molto quotato). Si facevano chiamare Fame, Il Guercio e Il Corvo D’Argento e insieme formavano le Sacre Scuole: erano lì per registrare il loro primo ep. Finii per diventare co-produttore del disco, insieme a Steve Dub e a Caneda, e a firmare personalmente tre delle sue nove tracce: intro, Cronache di regime (Cospirazioni) e Le parole non dette, che aveva il ritornello cantato da Irene Lamedica. Era un progetto davvero folle per l’epoca: testi fortissimi, beat all’avanguardia. Perfino le grafiche erano qualcosa di mai visto prima in Italia, e il disco aveva addirittura un sito Internet, uno dei primissimi nel suo genere”
“Tutti citano Mi Fist, che è stato un album di culto che ha imposto Milano come il centro nevralgico del rap italiano, ma penso che il vero apice di quel suono sia stato Penna Capitale. È il mio disco, quello dove per la prima volta riuscii a esprimere appieno la mia visione. Oltre a quello dei fan, eravamo anche riusciti nella difficile impresa di guadagnarci il rispetto di moltissimi artisti della scena hip hop degli anni Novanta, artisti che fino a quel momento si erano spesso dimostrati del tutto rigidi e intransigenti nei confronti della nostra generazione e di qualsiasi cambiamento. Con alcuni di loro, come Kaos One, avremmo poi collaborato in brani come Il 6° senso, e fummo anche gli unici ad avere il permesso di remixare un grande classico dei Sangue Misto, Cani Sciolti”
“Quando Universal mise sotto contratto Marracash, quindi, fu naturale affidare la produzione del suo primo disco a me e Deleterio. Fu uno dei primi lavori importanti che mi capitarono, al di là di quelli dei Club Dogo, e ancora oggi è uno di quelli che mi ha dato più soddisfazione, perché Marracash è un album davvero incredibile. È la massima espressione di Marra, e a più di dieci anni dalla sua uscita sembra non essere invecchiato di un solo giorno. È parecchio impegnativo lavorare con lui, perché ha un metodo molto particolare: come tutti ormai sanno, ci mette tantissimo a scrivere, ma quando finalmente arriva a partorire una strofa, si può star certi che è una mina.”
“Non siamo più quelli di Mi Fist è, per molti versi, l’apice della nostra creatività. Pezzi come Fragili hanno anticipato le tendenze successive dell’urban pop, mescolando la trap delle strofe all’EDM del ritornello. Dicono di noi aveva un che di reggaeton, e arrivava anni prima di tutto il filone che avrebbe poi aperto dj Snake. Zarro era un classico della nostra produzione, ma attualizzato e quasi futuristico. Weekend (il cui video è stato girato proprio nella famosa casa di Vasco, tra l’altro) è un pezzo che ancora oggi suonano nei club, tanto è contemporaneo. Liricamente, Jake e Gué furono bravissimi a trovare un modo fresco ma adulto per raccontarsi, mantenendo lo status dei Dogo e continuando a spaccare tutto. “
“Ovviamente, c’erano anche i Club Dogo, con Status Symbol, un pezzo che molti hanno interpretato come una specie di testamento artistico. Sicuramente per me fu l’album di una svolta importante. Proprio per questo decisi di dargli un titolo molto significativo. Ora o mai più uscì nel 2015. Anche se è un lavoro a cui sono molto legato, a posteriori posso dire con certezza che non solo non fu capito, ma che forse avevo fatto il passo più lungo della gamba. Non fu un progetto molto fortunato, per tanti fattori.”
Questi che potete leggere (e ascoltare) sono solo alcuni dei momenti salienti presenti all’interno del libro, dove Don Joe parla anche dei tentativi di costruire una carriera oltreoceano, del suo periodo di ricostruzione post-Dogo e dei suoi progetti futuri.
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