“Rapropos”, il rap racconta la Francia.
Tempo fa girovagavo sul web alla ricerca disperata di un qualsiasi documento – scritto o visivo – che si rivelasse utile ad ampliare le mie conoscenze, ed il mio bagaglio culturale, in tema hip hop. Si tratta invero di una pratica alla quale sovente mi dedico; ritengo infatti che chi – come il sottoscritto – collabori con un portale specializzato in informazione musicale (rap in particolare) debba costantemente aggiornarsi ed affinare, oltre che approfondire, le proprie conoscenze. Sostengo fermamente la mia tesi dal momento che, benché io svolga tale attività più come passatempo universitario che come lavoro, reputo la professionalità ed il rispetto essere due elementi imprescindibili sia nei confronti dei lettori sia, in prima battuta, verso la mia stessa persona. Chiunque si imbatta in un percorso del genere dovrebbe essere mosso da questi due fattori al fine di fornire un’informazione il più possibile chiara, omogenea e lineare.
Mi trovavo dunque catapultato da un sito all’altro, quando inevitabilmente la mia attenzione cadde sul titolo di un libro: “Rapropos, il rap racconta la Francia“, di Luca Gricinella.
Mi documento prima sull’autore: autore, con pubblicazioni per “Rumore” e “Alias – il manifesto” ove ha trattato l’hip hop da un punto di vista sociologico. Per un periodo ha vissuto a Parigi, ora si concentra principalmente su Blaluca Press, il suo ufficio stampa musicale con sede a Milano. Incuriosito decido così di ordinarne una copia su Amazon. Arrivatomi in consegna il libro di 168 pagine, impiego due pomeriggi a finirlo. Ne eseguo una seconda lettura più accurata. Mi accingo di seguito a fornirvi una quanto più possibile panoramica degli argomenti trattati.
L’opera si sviluppa principalmente attorno alla dialettica che intercorre tra istituzioni e musica rap in Francia. Evidente è la cesura netta se si tenta di compiere un parallelismo tra la realtà d’oltralpe e quella nostrana. Si evince fin da subito un diverso approccio, oserei parlare di mentalità, verso l’hip hop inteso come movimento culturale in cui molti giovani e, sopratutto, banlieunsard, si identificano. Il rap in Francia è strumento in mano agli “ultimi”, agli esclusi ed agli emarginati. Nel marasma generale che un giovane cittadino francese, abitante della banlieù parigina ed immigrato di seconda generazione, vive quotidianamente, il rap si pone come uno spiraglio di luce in un mare di nebbia: diviene elemento per poter reagire ad una evidente crisi sociale. La musica diventa un’arma più potente delle armi; gli artisti denunciano l’evidente “guerra fra poveri” delle realtà extraurbane tentando di risvegliare gli animi dei più che paiono ormai essere assuefatti a tale condizione.
Per rendere meglio l’idea, mi piacerebbe utilizzare in questo frangente un passo del libro che mi ha molto colpito: mi riferisco alla parte in cui Gricinella si focalizza sulla forza espressiva, e sull’essenza autentica, dell’hip hop in Francia assumendo come riferimento “Homeboy”, libro autobiografico del rapper Florent Le Reste. Cito testualmente:
“L’hip hop da Homeboy ne esce come l’unico mezzo per canalizzare l’energia rabbiosa dei giovani banlieusard, l’aggressività generata dalle frustrazioni. Una reazione al fallimento, all’ inconsistenza, all’ impreparazione e alla supponenza dell’ associazionismo civile e della politica partitica”.
Viene messa in luce la “forza primordiale” del rap, ovvero quella di essere un medium -facilmente recepibile dai più – in grado di evidenziare l’ipocrisia celata di un intero paese e di una classe politica rea di non essere riuscita a creare un dialogo costruttivo con i giovani delle periferie.
Ciò comporta l’instaurarsi di un rapporto conflittuale tra politici ed esponenti del genere musicale gallico: il rap viene osteggiato e considerato “pericoloso”, si accusano gli artisti di mettere in atto veri e propri processi di indottrinamento nei confronti dei giovani cittadini francesi. La versione che si vuole accreditare è quella di una musica sovversiva in grado di cancellare quei valori etico-civili e quel principio costituzionale di legalità, che dovrebbero guidare la maggior parte della popolazione nelle ricorrenti scelte quotidiane. Il rap non viene capito, o forse non vuole essere capito. L’hip hop in Francia svela la propria abilità nel risvegliare la coscienza critica delle persone: è l’arma più potente per combattere i “benpensanti”.
A proposito di benpensanti, alla fine degli anni ’90 un certo Frankie HI-NRG MC pubblicava qui da noi il singolo “Quelli che benpensano“, brano contenuto all’interno dell’album “La morte dei miracoli”. La domanda sorge spontanea: perché in Italia non siamo riusciti, almeno apparentemente, a portare a termine un fenomeno politico-musicale simile a quello dei nostri cugini d’oltralpe? Perché in Italia il rap politicizzato non passa in radio o in televisione? Perché non si sente mai nessun politico citare la cultura hip hop?
Viene così messa in luce una peculiarità propria dello “stivale” rispetto alla realtà francese: in Italia tale movimento culturale sembra non essere più di tanto amalgamato ad altre discipline (politica, cinema o letteratura) come accade invece in Francia. È lo stesso Gricinella infatti a citare spesso – all’ interno del suo libro – pellicole cinematografiche o letture collegate al genere hip hop (a riguardo consiglio anche l’acquisto di “Cinema in Rap”, opera dello stesso autore). Il rap della penisola sembra ricoprire un ruolo fortemente solista.
Anche noi abbiamo avuto un periodo d’oro, la cosiddetta “Golden Age” del rap italiano targata anni ’90. Poi il vuoto, ci siamo fermati. Cosa è capitato? Gli artisti non ci hanno “più creduto”? Potremmo citare gruppi un poco più politicizzati quali 99 Posse, Assalti Frontali o i primissimi Sangue Misto, prodotto culturale di un insegnamento marcatamente proveniente dai centri sociali. Si tratta invero di voci fuori dal coro. Vengono tutt’ora realizzati brani con finalità di critica sociale, ma il vero problema è che spesso – artisti e brani – non godono della conoscenza o degli spazi che meriterebbero. Mi piacerebbe esporre il mio pensiero dinnanzi ad una simile situazione. Ritengo che a causa di questo “deficit culturale” vadano a maggior ragione valorizzate tutte quelle piccole realtà, enti, artisti o manager musicali che cercano costantemente di rendere il rap “materia viva” tramite l’organizzazione di laboratori o di conferenze su precisi argomenti coerenti con il genusHip hop. Ciò che a volte sembra mancare al rap italiano è quella propensione a fungere da “collante” con altre discipline o contesti socio culturali diversamente – come prima precisato – da quanto invece avviene in Francia. Ho sempre avuto la sensazione che il panorama rap italiano fosse avvolto, per sua sfortuna, in un’aurea di puro asetticismo.
Secondo me in pochi hanno capito davvero il potenziale di questo potente mezzo di comunicazione. Probabilmente risulterò monotono ed utopistico, ma questa musica ha davvero la capacità di poter cambiare la realtà delle cose. Sopratutto in ambienti meno alfabetizzati, quale mezzo risulta essere più diretto, facilmente comprensibile ed espressivo del rap? Leggevo poco fa “Dietrologia” di Fabri Fibra: questi elaborava un preciso ragionamento attorno all’ argomento rap sostenendo la forza propulsiva di tale fenomeno. Mi pare che definisse il rap – parafraso – “voce rabbiosa”, o ribelle, a disposizione dei giovani.
C’è anche da sottolineare, come lo stesso Gricinella ribadisce più volte, che probabilmente in Francia l’hip hop è riuscito a coinvolgere molte più persone data la caratteristica fortemente multietnica della società gallica. La Francia è sempre stata terra di migrazione, lo testimonia la nazionale francese composta per la maggior parte da giocatori di colore. C’è sicuramente stato un processo di apertura culturale e di assimilazione dettati da un’attitudine cosmopolita. D’altro canto è anche vero che la Francia ha recentemente dovuto fronteggiare i famosi “immigrati di seconda generazione”, i quali si sono talvolta macchiati di gravi crimini e di pesanti illeciti penali o civili. Questa situazione anomala è solamente il prodotto di un inefficace sistema di integrazione che ha mostrato in più occasioni le proprie falle. Ecco dunque che in un simile contesto il rap tenta di sopperire a tale mancanza istituzionale cercando di impartire ai più un codice di comportamento nel rispetto delle regole e della pace sociale.
Non posso fare altro che concludere suggerendovi di comprare il libro, edito per il laboratorio editoriale “Agenzia X” che, sul proprio sito, si definisce “luogo partecipativo che prova a mettere in relazione diverse intelligenze, da quelle accademiche ai saperi espressi dalle culture underground”. Vi consiglio di sfogliare il catalogo dei libri proposti sul sito, essendo una redazione incline a pubblicare letture “ragionate” ed opere di saggistica di autori con un certo spessore culturale (potrei citare, sempre rimanendo in argomento rap, “Stand 4 what” di u.net che recentemente ha ricevuto una nota di merito anche sulla rivista “Rumore”).
Buona lettura a tutti quanti!