Con una discografia come quella di Nas era difficile continuare a sorprendere, eppure l’anno scorso King’s Disease arrivò come un fulmine a ciel sereno.
Il suo seguito non amplifica solo le reazioni positive del precedente ma va in zone inesplorate raffinandone alcune caratteristiche.
King’s Disease 2, alimentato dal successo del predecessore, permette a Nas di superarlo
Seguito del disco che ha regalato a Nas una seconda gioventù creativa, King’s Disease II si allontana da tutti quelli che sono i cliché del secondo capitolo. Un lavoro nato dalle ceneri delle esplosioni provocate dal precedente in cui Nas ha reso tutti di nuovo eccitati per le sue rime portandolo addirittura a vincere il suo primo Grammy.
Tutto ciò ha donato ispirazione e energia al Re che non ha mai abbandonato lo spazio creativo costruito da lui e Hit-Boy poco più di un anno fa.
Considerando l’importanza di Illmatic nel dimostrare ai giganti del Rap la possibilità di realizzare un lavoro mastodontico e coeso con molteplici produttori, è davvero ammirevole notare come 30 anni dopo Nas riprende in mano le origini prima del suo debutto, instaurando una dinamica rapper-produttore che progredisce qui in un secondo, incredibile round.
La pressione che Nas ha posto su sé stesso dopo il lavoro del 2020 è l’ispirazione per The Pressure, un’introduzione capace di anticipare immediatamente la qualità d’arte contenuta in KD2. Le aspettative che danno massa al peso sostenuto con accettazione da Nas non comprendono più l’aver scritto Illmatic a 17 anni o aver piegato la scena Rap molteplici volte in 30 anni, se c’è una cosa che KD1 ci ha mostrato è che il Rap non è più solo un gioco da ragazzi.
Il peso del tatuaggio iconico con scritto God’s Son, l’influenza propagatasi a perdita d’occhio non devono confondere il pubblico ci dice Nas:
Little version of who? N****, there’s no replacement, besides my kids, boundaries are my greatest creation
È la confidenza unita alla consapevolezza della propria posizione nella scena a rendere anche questo lavoro unico nel suo genere. L’equilibrio presentato da Nas e Hit in bilico tra un passato storico e un presente musicalmente disparato ritorna in questa seconda parte con brani come Death Row East.
Un documentario audio in cui è finalmente Nas a fare luce su alcuni incessanti rumor e fake news sulla sua posizione nel conflitto che si portò via la vita di 2Pac. Un beat perfetto che ambisce a catapultarci nel 1996 ma allontanandosi dal suonare come una replica. Hit-Boy ha dichiarato di aver studiato le sonorità di Johnny J (celebre produttore di 2Pac) per lavorare alla strumentale, i risultati si sentono, il beat è una versione moderna del sound Death Row che prese il Rap Game per il collo.
He didn’t disrespect, we planned to reconnect
Vale la pena ricordare che Nas è solito chiarire o quantomeno esibire la propria prospettiva su eventi che lo hanno coinvolto, spegnendo le costanti luci che ieri i giornali distribuivano e che oggi i social ampliano, basti ricordare il classico Last Real N**** Alive.
Il passaggio alla spettrale e potente 40 Side è più di una versione potenziata al massimo della trap secondo Nas, è la dimostrazione che la sequenza in cui sono stati posizionati i brani è eccellenza a sé stante. L’outro che cattura come una fotografia gli attimi in cui 2Pac si spense il 13 settembre 1996 e i synth dell’eccelso beat costruito da Hit-Boy trasformano il progetto in una sequenza di momenti talmente ben costruiti da presentarsi come una pellicola.
A questo punto il nome Hit-Boy non rispecchia più le possibilità offerte dalla sua mente creativa dato che il produttore ha dimostrato per l’ennesima volta di saper costruire album oltre che grandi canzoni capaci di scalare le classifiche di tutto il mondo.
Nas non è estraneo a quel tipo di braggadocious a cui siamo abituati sulle sonorità presentate in 40 Side ma le riflessioni dietro le sue strofe rendono King’s Disease II un pieno strike. Quasi dietro ad ogni rima in cui si celebra una conquista, c’è ne è una che riflette lo stato mentale con cui si è arrivati a quest’ultima.
Can’t spend all that time in your feelings, tryna sympathize with yourself, don’t nobody owe you, ain’t nobody holding you back
Non è detto che l’amare qualcosa includa il saper spiegare perfettamente il motivo di tale emozione, ma se c’è una cosa che questo disco è capace di trasmettere è il ricordarci perché siamo fan di questo genere. EPMD 2 è esattamente questo, un tributo alla rima, ai giganti del passato che ancora oggi respirano dietro al microfono e un tributo a chi non c’è più e chi specialmente negli ultimi tempi ci ha salutato.
La presenza di Erick Sermon e PMD è preziosa seppur breve, Nas e Hit-Boy trasformano il beat non allontanandosi troppo dalla versione originale ed Eminem ruba la scena con uno stile di liricismo che potrebbe alienare qualche ascoltatore. Per questa collaborazione, Marshall Mathers si è ritrovato insieme a tre suoi eroi e non ha perso tempo a costruire un verso in bilico tra un tecnicismo fuori dal normale e una lettera d’amore al genere.
Le reazioni sono state molteplici, e come ogni grande atto d’arte, divisorie. Quello che possiamo consigliare è di non lasciarvi scoraggiare dal fatto che Shady abbia piegato il beat a sé allontanandosi dal vibe costruito nei primi 2 versi. Ascoltata più volte la strofa di Em si apre a noi con le sue incredibili citazioni culturali dandoci la possibilità di comprendere ad ogni ascolto nuove sfumature e regalandoci un’intrigante replay value.
Con Rare il riflettore torna immediatamente su Nas, un brano con tre anime che catturano il longevo momento che ha permesso la creazione di momenti come King’s Disease 1 e 2.
Ottima la scelta di renderlo brano-bandiera di questo progetto con un emblematico video musicale a fargli da visual.
Me and HB is too rare, I’m movin’ all through the snares, sound on billionaire
Non abbiamo mai messo in dubbio le capacità di Nas di sorprendere nel booth ma qualche scelta nelle collaborazioni che abbiamo ascoltato negli ultimi anni potevano evidenziare un distacco tra vecchia e nuova generazione. YKTV arriva come una banger capace di distruggere quella distanza rendendo Nas, A Boogie Wit da Hoodie e YG tre lati di una singola piramide generazionale.
Il brano circonda l’enorme spazio che l’Hip-Hop ha piantato nella scena musicale dimostrando come tutto ciò che ne è parte può vivere in armonia e coerenza artistica.
Imagine Lil Uzi on a Preemo beat, Imagine N-A-S on a Migo beat, Hip-Hop culture
Anche qui Hit-Boy fa centro, costruendo un beat capace di far sentire a casa tutti e tre gli artisti, un momento più coeso delle precedenti ospitate di Durk e Fivio Foreign che seppur non da buttare vedevano il microfono di Nas in un’altra dimensione rispetto ai giovani.
Potete chiedere a chiunque, se c’è un fattore che accomuna ogni fan di Nas è la sua capacità di raccontare storie. Non solo tracce storytelling alla Dance with the Devil o Stan ma il talento nell’associare ad ogni verso e strofa una visione, un quadro capace di rendere tridimensionale ciò che si sta ascoltando. Store Run e Moments sono un tributo sonoro e lirico alla caratterista sovreccitata di Nas, un raro momento in cui il pittore viene ispirato esplorando le lunghe gallerie d’arte che ha riempito nel tempo.
Stood on stages most never can, pyrotechnics and leather pants, shifting the culture
Dietro la cinepresa di Hype Williams Nas anticipava i momenti in cui i rapper sarebbero diventati le nuove rockstar:
Store Run ripercorre momenti cruciali dell’epopea Nasir Jones mentre Moments riflette sui pilastri che sorreggono l’artista di oggi: episodi irripetibili di cui Nas ama ricordarne le sensazioni, quelle prime volte che non si ripeteranno mai. Nonostante tutto, il rapper non nasconde le mancate occasioni mettendo in mostra un quadro che rimane umano nonostante gli innumerevoli traguardi raggiunti.
Moments è una traccia speciale alimentata dal passato ma proiettata al presente, il messaggio parla chiaro:
I can’t relive last night, I’m excited for today
Esattamente come EPMD 2 sembra essere un dono di Nas per Eminem, Nobody sembra il regalo perfetto per una Mrs. Lauryn Hill nella sua forma più smagliante. Dal beat al tema in cui il desiderio per persone con nomi di questo calibro è quello di fuggire in posti del globo dove poter essere nessuno. Il brano è il palco perfetto per Lauryn, non con un ritornello con la sua bellissima voce e né con l’ennesimo sample celebrativo ma con un’incredibile strofa.
Nonostante il tempo passato la regina della Black Music non ha perso un lembo del suo talento. Esattamente come Andrè 3000 e la sua rara presenza, Lauryn Hill approfitta dell’unicità del momento per riflettere in rime e metriche il pensiero dietro alle innumerevoli scelte della sua carriera, ancora oggi soggette a discussioni tra i fan.
Nobody è l’ennesimo unicorno di un disco che continua a regalare momenti incredibili e mai scontati.
L’anima sentimentale di Nas riemerge in No Phony Love mentre gli appuntamenti più casual sono l’argomento di Brunch On Sunday.
Seppure queste uniche due tracce possano dare l’impressione di essere state costruite durante la session del precedente King’s Disease 1, Hit-Boy non abbassa mai l’asticella della qualità delle sue produzioni. Nas abbraccia il classicismo del suo flow sugli archi che fanno posto anche al giovanissimo Blxst mentre ormai l’accoppiata Nas-Charlie Wilson è una garanzia.
KD2 è senza dubbio una bestia a sé stante, un seguito accomunato al precedente capitolo solo da un titolo e dai due individui che lo hanno costruito. Il resto dell’offerta è piuttosto distaccato, questo rende più eccitante l’ascolto per noi fan ma c’è da dire che in questo secondo giro il tema del titolo viene toccato decisamente di meno rispetto alla prima parte. A provvedere a questa piccola mancanza ci pensa Count Me In, la traccia in cui Hit-Boy ha ricostruito per Nas le sonorità che hanno dato identità agli anni 90’ della East Coast.
Nas è nella zona di comfort assoluta anche se comprende che abbassare la guardia non sarà mai una possibilità, non importa quanto saranno abbaglianti le luci sopra la sua testa.
Suffering from the symptoms of King’s Disease, can’t let the bright lights go to your head
Prima di chiudere col doppio grand finale Nas sente che il registra dietro a questo secondo viaggio merita il suo spazio personale davanti al microfono.
In Composure Hit-Boy rappa un verso in cui lo state of mind dietro alle produzioni di questi dischi è chiaro e sobrio, il beat ancora una volta riesce a spingere Nas in una zona di introspezione ed eccitazione concludendo il duetto con le parole di Shaka Senghor, autore e potente voce critica sul sistema giudiziario nonché OG di Nas.
È con My Bible che Nas mostra l’intenzione di chiudere questo secondo viaggio nel suo stato mentale con un messaggio, un momento diviso in tre diverse lettere indirizzate agli uomini, ai giovani e alle donne. Un terzo verso quello dedicato alla donna scritto magnificamente e considerando gli ultimi anni, dannatamente importante per il genere e per il mondo dell’entertainment.
Dietro questa traccia concettuale si può vedere uno dei cuori pulsanti dietro la rara forma di Nas in questo progetto e nel precedente. La profonda ispirazione donatagli dall’instancabile Hit-Boy e da tutto ciò che questo mondo ha ancora da offrirgli.
King’s Disease II è sorprendentemente uno dei migliori album di Nasir Jones che a questo punto della sua carriera non solo non aveva nulla da dimostrare ma non aveva il dovere di darci. L’artista ha scelto Hit-Boy, uno studio e un approccio minimale in cui il disco viene annunciato in tempi limiti senza promo, dirette o altri escamotage per catturare l’attenzione del pubblico, oggi più disattento che mai.
King’s Disease II vuole offrirvi solo musica Rap, nella sua forma più pura e cruda, Nas era e rimane una leggenda ma c’erano piccole questioni in sospeso che ancora oggi vivevano nelle conversazioni degli appassionati. Storici meme culturali come la terribile scelta di beats da parte di Nas o Nas non ha più nulla da dire sono ormai un lontano ricordo con questo doppio momento che ci lascia (per ora) con una visione fondamentale considerando i tempi in cui viviamo.
Se nel 2012 dopo la tempesta che sembrava non lasciare la sua vita in seguito al brusco divorzio Nas si auto convinceva che la vita era bella, oggi si rende conto che lui stesso in primis deve esserlo celebrando il suo personaggio e la sua persona con Nas Is Good. È un momento puro in cui la stessa ispirazione che lo ha abbracciato può cogliere l’ascoltatore ormai alla deriva nel giro di pessimismo drastico che dal 2020 abbraccia le nostre reti sociali.
Death to the pessimistic mindstate, lack of hope low-spirit motherf*ckers
W l’Hip-Hop.