Se è vero come è vero che The Blueprint sia il capolavoro nella carriera di Jay-Z, è anche vero che il secondo capitolo della saga non gode della stessa fama. In The Blueprint 2: The Gift & The Course Jay-Z non ritrova l’alchimia perfetta dell’album precedente ma, forse, è riuscito ad anticipare molto di quello che poi è arrivato nel mondo della musica.
Come si torna dopo un instant classic e un album problematico? La gestazione di The Blueprint 2 di Jay-Z
The Blueprint aveva portato Hova finalmente sul tetto del mondo: l’album uscito nella data storicamente tragica dell’11 settembre 2001 aveva raggiunto la vetta di tutte le classifiche ed era stato fin da subito lodato dai critici musicali come un instant classic riconosciuto e certificato dalle vendite.
La produzione del disco era stata la classica tempesta perfetta, coi giovanissimi Just Blaze e Kanye West come produttori principali accompagnati da nomi di grosso calibro, un nome su tutti Timbaland e con una partecipazione di Eminem il cui “arruolamento” è da grandi racconti del rap. Non perdetevi questa chicca nel nostro articolo su The Blueprint.
La pubblicazione successiva dell’ MTV Unplugged registrato a novembre 2001 aiutò a cementare lo status dell’album e di Hova. Le cose però non girarono esattamente per il verso giusto; Jigga che come noto non sa stare con le mani in mano, aveva pronto da pubblicare un nuovo lavoro, The Best of Both Worlds.
Un joint album che vedeva al fianco di Jay-Z il re dell’RnB R.Kelly, a pochi giorni dalla pubblicazione però lo scandalo colpisce lo stesso R.Kelly quando un video incriminante che lo coglie in atteggiamenti espliciti con una minorenne viene inviato e quindi pubblicato dal Chicago Sun Times (il cantante verrà poi arrestato con molteplici capi d’accusa, punto di inizio di una lunghissima storia giudiziaria che lo vedrà ritenuto colpevole di gravi crimini).
Jay e tutta la Def Jam prendono le distanze da R.Kelly tagliando la promozione dell’album, non pubblicando i video e cancellando il tour. L’album uscirà comunque ma sarà un flop commerciale e di critica.
Un equilibrio che si fatica a trovare
Jay-Z torna in studio ripartendo dai punti di forza Just Blaze e Kanye West che erano stati i maggior artefici nella produzione di The Blueprint. Come per il capitolo precedente i due produttori vengono affiancati da nomi enormi (o che lo sarebbero diventati) del panorama americano, tra di loro il già citato Timbaland, The Neptunes, NO I.D. e Dr.Dre. Quello che cambia sono gli ospiti, se in TBP il solo Eminem appariva nei featuring del disco qui l’elenco è lungo mezzo braccio: Faith Evans, Biggie (ci torneremo), Dr.Dre, Rakim, The Truth Hurts, Beyoncé… per citare solo le prime quattro canzoni.
Shawn è una macchina, come da lui stesso raccontato il disco disco viene prodotto ad una velocità record, in un mese tutti i venticinque pezzi sono pronti e registrati, lui stesso afferma di aver registrato una quarantina di pezzi, non tutti entreranno del disco, anche se alcuni di essi probabilmente sono parte di The Blueprint 2.1.
Per Hova il concetto però rimane il medesimo, il Blueprint proprio nel senso del progetto, del disegno tecnico su carta. Se nel primo il focus era la sua infanzia e tutto ciò che lo aveva influenzato da piccolo, dai brani soul da campionare al quartiere dove è cresciuto, in TPB2 Jay sa che ora il mondo è più grande per lui, sa che può non limitarsi a prendere un sample, se vuole può avere una chitarra elettrica nel suo pezzo, insomma sa che può sperimentare e puntare a progetto di più ampio respiro.
L’album esce ed è un buonissimo successo commerciale arrivando subito in testa alle classifiche di vendita ma subito si capisce che si ha a che fare con un prodotto diverso, meno “digeribile”, un doppio album molto lungo e altrettanto vario, con esperimenti e stranezze che al primo impatto possono anche far ritrarre qualcuno.
Subito i primi detrattori trovano qualcosa da rimproverare a Jay. Piovono critiche di tutti i generi: da quelle sull’ego smisurato di Jay-Z che si permette di fare un doppio album come Tupac e Biggie (i più maligni faranno notare che sono stati uno degli ultimi e l’ultimo degli album pubblicati rispettivamente da parte dei rapper), al fatto che l’album è un misto di generi diversi, c’è chi lo deride per non aver avuto i diritti da Frank Sinatra per il sample di My Way e che si sia dovuto accontentare di Paul Anka.
La critica si spacca e il disco ha fin da subito la nomea di album minore nella carriera di Hova.
Vent’anni dopo, cosa ha lasciato The Blueprint 2
Quali sono le impressioni che questo disco dà ad un ascoltatore oggi? Diciamolo subito, Jigga è molto in forma, la sua presenza sul mic è inconfondibile, il rapping è di altissima qualità e a tratti è davvero incontenibile.
CI sono due sensazioni contrastanti che si riscontrano durante l’ascolto, partiamo da quella negativa. La lunghezza: è un album lungo che fa “sentire” la sua durata e può risultare difficile da digerire. Il finale del disco è sicuramente meno a fuoco e se nella prima parte la cavalcata è sicura e a tratti travolgente nelle ultime tracce si percepisce un po’ di pesantezza. Lo stesso Jay-Z ha dichiarato qualche anno fa di trovare eccessivamente lungo The Blueprint 2 rispondendo a domanda precisa con un laconico “Too many songs“.
Dall’altra parte moltissimi pezzi fanno pensare a quanto questo disco sia stato un precursore di molte cose che sarebbero arrivate nel mondo della musica a stretto giro di posta.
Ecco qualche esempio tra quelli più significativi e riconoscibili (ma non sono gli unici):
- Timbaland e The Neptunes, due nomi che già nella sfera delle produzioni americane avevano un certo rispetto (Timbo come detto era presente anche in TPB) riescono in questo disco a far emergere forte e chiara la direzione che avranno le loro produzioni future. In The Bounce si sentono già alcuni degli stilemi che poi renderanno un successo planetario il futuro Shock Value di Timbaland. Excuse me miss e F*ck all Nite hanno già il flavour di quello che sarà poi il primo album neanche dei Neptunes ma già dei N.E.R.D.;
- Ascoltando Guns and Roses con Lenny Kravitz non si può far a meno di pensare ad artisti come Action Bronson che da un suono del genere posso sicuramente aver tratto ispirazione; una postilla, proprio la parte di Lenny Kravitz l’anello debole di questo pezzo, nel quale invece Hova è molto caldo.;
- Due dei pezzi vittime della critica sono state le tracce in cui deliberatamente omaggia The Notorious B.I.G e Tupac. La prima è il pezzo che apre l’album A Dream, in cui Jigga in compagnia di Faith Evan duetta per così dire proprio con Biggie lasciando scorrere tutta la prima strofa di Juicy come se fosse un featuring. Troviamo più che rispettoso questo omaggio (anche perché Jay-Z era effettivamente un protegé di Biggie), e che il senso sia quello di riportare l’ascoltatore in una sorta di safe zone prima di proiettarlo nel mondo nuovo e più grande che è The Blueprint 2;
- ’03 Bonnie & Clyde fece storcere il naso a molti per la distanza che questa aveva col tema del pezzo originale, Beyonce all’epoca ancora in forze alle Destiny’s Child sembrava non avere lo star power per un pezzo così importante. Troviamo invece che il pezzo, per quanto distante da quello di Tupac ne sia un’evoluzione aderente alle caratteristiche sia di Jay che della futura Sasha Fierce. E quel riff iniziale è ancora da brividi.
Un’altalena di emozioni quindi, proprio come il disco che è un altalena tra pezzi che sono passati alla storia e altri che sono passati e basta.
Per quanto ci riguarda questo album pur avendo sicuramente uno standing più basso rispetto al suo predecessore ha avuto il grande pregio di allargare gli orizzonti del mondo hip-hop, se la figura al momento più rilevante di quel movimento poteva duettare con un rocker, un dancehall King, con un giovane artista a tutto tondo come Pharrell allora l’hip-hop era davvero pronto a prendersi la giusta rivincita e a ottenere il rispetto di tutti.
Forse, ma forse, questo è un disco meno amato dai più puri e duri perché è un disco più aperto a tutti.