«Quello che deve trasparire da Totem è il mio essere eclettico» – Intervista a En?gma

Enigma

Una nuova intervista insieme a En?gma, realizzata a cavallo tra l’uscita del disco Totem Ultimate Edition e la partita dell’Italia agli Europei contro l’Austria.

Tanto rap e un potenziale futuro nel mondo del calcio: leggi l’intervista a En?gma.

Settimana scorsa il rapper sardo ha completato la saga Totem cominciata nell’autunno del 2020 con l’Ultimate Edition, caratterizzata da numerosi featuring, da un sound vario e da quelle tematiche ben studiate e portate sopra il beat, come da sempre ha abituato i suoi fan.

Di questo e di tanti altri argomenti – compreso il format Che Voglia Di Azzurro e il conseguente collegamento della nostra nazionale di calcio agli Europei – abbiamo parlato al telefono un paio di giorni prima che uscisse il disco. Per fortuna che, seppur soffrendo, l’Italia ha battuto l’Austria, altrimenti avrei dovuto togliere le ultime due domande…

Buona lettura!

Ciao Marcello, come stai? Sei in Sardegna o per la promo ti sei spostato?

«Sto bene, grazie. Attualmente sono in Sardegna. Mi son mosso recentemente per un’intervista importante, per il resto non mi sono spostato. Ho voglia di viaggiare tanto e per fortuna ora la situazione nel mondo si sta stabilizzando, ma non ancora del tutto. Mi piacerebbe viaggiare con più calma, per godermi i viaggi. Per quanto riguarda il lavoro, molte cose si stanno spostando sul digitale, quindi non è più necessario spostarsi così tanto e secondo me è una cosa che ci porteremo appresso e ci sta, anche dal punto di vista della velocità»

Chiaro. Durante il primo lockdown erano partiti anche gli instore digitali: tu ne hai in programma qualcuno, reale o digitale che sia?

«No no, avevo smesso di farli da Booriana per puntare tutto sui live…»

Passando a parlare del disco. Man mano che gli episodi di Totem proseguivano, ci si chiedeva quando questa saga sarebbe terminata: cosa ti ha fatto capire che era arrivato il momento di chiudere questo capitolo?

«In realtà è stato un qualcosa di pensato negli ultimi mesi. Non tutti i featuring ti arrivano puntuali per un motivo o per l’altro e, quindi, ti trovi a rimescolare le carte dove serve, però a prescindere da loro la nostra deadline era comunque l’inizio dell’estate. L’idea era quella di riuscire a coprire una stagione, sportivamente parlando (settembre-giugno, ndr)».

Il disco comincia con Luthor, che marca se non erro la tua quinta collaborazione con Gemitaiz, seguita da Un Bacio sulla Fronte con Silent Bob. Il ritornello di Luthor si apre con “Vuota, è la vita di chi non ricorda“, mentre nella traccia successiva scrivi “Butto tutto perchè certi odori stagnano nella memoria” e “Capita che la memoria fa da boia e l’anima sanguina”, infine il tema della memoria è centrale anche in Backpackers. Mi chiedevo: dopo tantissimi album, mixtape ed EP, quanto pesa scavarsi ancora dentro per arrivare a scrivere? E scrivere riesce sempre a stigmatizzare i ricordi più dolorosi?

«È un processo che alla fine è sempre pesato. Il fatto che sia passato tanto tempo da quando ho iniziato a scrivere in realtà mi ha “cambiato” poco. Come sempre ho detto, ciò che mi suscita qualcosa di nuovo è il suono, la strumentale, che cattura in me qualcosa di diverso. Certo, con il passare degli anni uno ha vissuto, quindi c’è sempre qualcosa da scavare e di insoluto.

Per rispondere alla seconda domanda: assolutamente sì, mi capita di scrivere ancora di avvenimenti successi indietro nel tempo, perché forse c’è bisogno di dire ancora qualcosa al riguardo, dall’amore ai fatti che ancora magari sono rimasti irrisolti».

Quindi la scrittura ti aiuto parecchio?

«Continua a farlo quanto prima. Oltre all’atto di scrivere e registrare, anche l’atto di riascoltare se stessi secondo me aiutata tanto. Non tutti si riascoltano dopo aver pubblicato un brano, io lo faccio, molto volentieri».

In Mea Culpa affermi “Rinnegare i gusti per i trend, quindi della merce alla mercè. Permetti? Tu sei le azioni che commetti, mica l’ombra che proietti”. In tanti dicono che la scena rap italiana sembra essersi un po’ persa, o impigrita. Tanti si adeguano allo stesso suono, o all’opposto se ne distanziano quanto possono cercando nuove sonorità e spazi. Vedi possibile un “riscatto” della scena e, se sì, pensi che siano i “grandi nomi” a dover trainare un cambiamento?

«Io credo che esistano sia della realtà a cui è riferita la mia critica, che realtà con nomi grossi che continuano a farlo in una maniera molto credibile e molto qualitativa. L’esempio che viene sempre a tutti in questo caso è Marracash che riesce ad unire la qualità con lo stile e l’estetica, che si migliorano insieme. Ci sono quindi sicuramente degli esempi da seguire.

Io comunque non mi nascondo, assolutamente: a me piace portare avanti questo discorso, ma mi piace anche sia un certo tipo di estetica sia la moda. Non è che sono lontano da queste dinamiche, semplicemente non sono preponderanti e non devono soppiantare e cavalcare la musica. Devono andare di pari passo, essere importanti entrambe. Purtroppo ci sono anche realtà, invece, dove si crea un disequilibrio e l’estetica supera di gran lunga la qualità musicale…»

Le ultime due tracce (Ultimo tango a San Lorenzo ft Shade e Quelle Cazzo di Mani ft. Eddy Veerus) si distanziano come suono dal resto di Totem, coinvolgendo sonorità più dance e tipicamente affini agli ospiti di ciascuna track. Come è stato il processo creativo per questi due brani?

«Quella con Eddy Veerus si ricollega con Flowontheroad dell’Episodio Uno, che aveva sonorità molto simili e voleva essere un collegamento ulteriore per quando uno si fosse ascoltato il disco per intero. Quella con Shade è una traccia che nell’economia delle nuove proposte si stacca un po’ e con Vito avevo proprio voglia di fare un brano così dopo Pensieri Nomadi in Booriana, dove l’avevo portato più sul mio territorio. Questa volta sono stato io ad andare verso qualcosa che a lui è più congeniale e secondo me, senza alcuna ambizione, posso dire che in radio non ci sta da Dio, di più!»

E il nome di Shade potrebbe secondo te ampliarti un po’ di più gli orizzonti?

«Perché no, lo spero ancora. Quello che deve trasparire da Totem è il mio essere eclettico: ci sono tante sonorità e tanti modi di interpretarle, ci sono tanti timbri da parte mia… Quindi posso dirti che mi piace anche fare qualcosa di più radiofonico, però sempre con un certo tipo di qualità, che è presente anche in Ultimo Tango A San Lorenzo».

Una grande varietà di nomi all’interno della saga di Totem: rispetto ad altri, più nelle tue corde, troviamo anche quello di Maruego che sembra discostarsi dagli altri e ai nostri occhi ha spiccato particolarmente, con uno stile comunque diverso dai suoi ultimi progetti. Come è avvenuta questa scelta? Al contrario di Shade, è stato lui invece ad avvicinarsi più al tuo stile… 

«Mi piace stupire anche nelle collaborazioni, perché secondo me sono sempre belli gli incontri tra mondi diversi. Credo che Maruego, da quando è “ritornato” dopo un periodo problematico, ho visto in lui la potenzialità di dare e dire tanto in una traccia un po’ polemica come Mea Culpa. Così è stato. Lui secondo me ora è tornato a fare del rap “nudo e crudo” e la strumentale del brano è proprio figa: è fresca e ci devi andare sopra cattivo e lui l’ha fatto alla perfezione».

Per chiudere la parte dei featuring, Murubutu, Claver Gold, Lanz Khan e NOIA sono presenti in più di un progetto della saga di Totem: perché hai deciso di richiamare alcuni di loro?

«NOIA perchè è un amico di vecchia data e ha seguito lo svolgimento di tutti i Totem, poi è un ragazzo di Olbia di un anno più di me e ci tenevo fosse presente. Lanz è uno di quelli della scena che apprezzo tanto, anche dal lato umano. Doveva esserci anche per l’ultima Underdog ma non ce l’ha fatta per problemi personale ed è l’ultimo rimpianto che ho. Lì però ho pensato di riproporre Claver e Murubutu perché ho pensato che per questo ultimo capitolo sarebbe stato fighissimo avere una traccia con noi tre insieme e che avrebbe fatto tanta gola al nostro pubblico. La strumentale di Underdog Ultimate è particolare, non è quello che ti aspetti da loro due e invece sono andati da paura: secondo me è una proposta unica nel loro repertorio e risulta quindi poi unica anche nel mio, dal punto di vista delle collaborazioni».

All’improvviso qualche giorno fa hai annunciato di voler spoilerare le tracce del disco su Instagram, meccanismo di cui molti artisti usufruiscono per creare hype attorno ad un progetto nuovo, spesso con la complicità di alcune testate: credi che l’attesa senza alcuno spoiler sia ormai impossibile da affrontare e sostenere?

«No no, è possibilissimo però bisogna essere onesti e contestualizzare la situazione di ognuno. La mia è diversa da quella di un Marracash o un Guè Pequeno che si possono permettere di fare quello che vogliono. Io, così come altri, cerco sempre degli stratagemmi che possono ingolosire e questo è uno di quelli…»

Questo progetto finisce nel 2021, anno che coincide con i primi dieci anni di Machete: come è cambiato Marcello in questi dieci anni?

«La cosa particolare è che oltre ad essere dieci anni di Machete, sono anche esattamente cinque anni che io sono indipendente: la mia carriera è quindi è divisa in due e nella seconda parte sono stato indipendente. Posso dirti quindi, senza dubbio, che sono cresciuto tanto dal punto di vista del rap, sono migliorato nell’approccio in studio e in tutto ciò che ruota attorno alla produzione di un disco. Da quando sono indipendente ho dovuto imparare tantissime cose e, dopodiché, la crescita umana è stata scontata. Tieni conto che quando ho fondato Machete dovevo fare ancora 23 anni, quando l’ho lasciata dovevo farne ancora 28 e ad oggi, che ne devo fare 33, sono diventato semplicemente un uomo. Ho capito bene quando devo dire no, quando non devo scendere a patti e compressi e a capire di più chi mi sta davanti, il prossimo e le persone che ti vogliono veramente».

E a proposito di dire di no: diresti mai di no a una proposta del tipo “puoi iniziare a fare il telecronista per un’importante programma calcistico ma devi mollare la musica per farlo”? Ho visto che con Che Voglia Di Azzurro ci stai andando alla grande con il calcio…

«Eh, è una bellissima domanda perché ci penso sempre e, francamente, ti dico che direi assolutamente di sì perché è una cosa a cui tengo veramente tanto e se dovessi tuffarmi per due, tre, quattro anni in un altro campo sì, direi “mi butto!”. Alla musica ho dato tanto secondo me e quindi va bene così: se arrivasse la proposta giusta la valuterei sicuramente, anzi direi proprio di sì. Mi affascina tanto ed è da piccolo che volevo fare il telecronista, ma poi sono successe altre cose. Penso che uno nella vita debba fare le cose che lo stimolano tanto e la musica indubbiamente lo fa, però questa sarebbe una novità e l’effetto novità nella vita è tutto, quindi sì lo farei».

Ma solo sul calcio o anche in altri sport?

«No, solo sul calcio. Più che altro, la mia vocazione è quella del telecronista perché mi piace proprio raccontare l’evento in diretta. Però chiaro uno non può pretendere e se mi dovessero dire tipo da Sky di farmi le ossa in redazione, direi sicuramente di sì, per intraprendere una carriera nuova e diversificare: è una cosa che mi intriga molto».

Una domanda doverosa allora te la faccio sugli Azzurri: come vedi questa Italia agli Europei? 

«Guarda, ti rispondo come avevo pensato prima dell’Europeo. L’Italia sia adesso che al Mondiale del 2022 dell’anno prossimo credo possa stare tra le prime quattro: magari quarti quest’anno e terzi al mondiale».

Ah, ci vedi meglio al Mondiale?

«Sì sì. È passato un anno e avremo più sicurezza, giocatori che sono rimasti a casa come Zaniolo e Pellegrini, qualche novità in difesa… Io la vedo così e magari falliamo e usciamo ai quarti ma secondo me in Semifinale ci arriviamo, sia adesso che ai Mondiali».

Speriamo che tu abbia ragione, Marcello. Anzi, speriamo anche di portarci a casa un trofeo. Nel frattempo, però, godiamoci questa attesa dei quarti di finale e, soprattutto, Totem – Ultimate Edition, un disco ricco di rap fatto bene.