Finalmente si intravede la luce in fondo al tunnel. Il 2020 sembrava proprio poter essere l’anno del definitivo salto di qualità del freestyle italiano, dopo tanti passaggi a vuoto e una lenta ma efficace espansione del movimento in tante parti d’Italia.
Ora bisogna essere bravi a riprendere da dove si era stati interrotti e fare l’allungo definitivo verso il traguardo.
La grande occasione e gli errori che il freestyle italiano non deve commettere
Col nuovo decreto Draghi dal 26 aprile cominceranno a riattivarsi molti circuiti: ristoranti, locali e ambienti sportivi su tutto. Come al solito, purtroppo, eventi e spettacoli saranno il fanalino di coda, tenuti sotto la lente d’ingrandimento e soggetti a restrizioni abbastanza severe.
Ma siamo consci che questa estate e il prossimo autunno, con un po’ di organizzazione in più sul piano vaccinale e nella speranza che non ci siano ulteriori varianti del virus, vedremo la piena ripartenza del freestyle italiano.
Dove eravamo rimasti? Il 2020 ci ha regalato pochissime battle purtroppo: Carpe Riem ad inizio anno come solito, Smicdown in anticipazione di quello che sarebbe dovuto essere il main event dell’anno (Mic Tyson ovviamente) e Ya Know The Name estiva. Il tutto condito da tante street battle (alcune anche molto divertenti) e da altri eventi di minore portata. Poca quantità ma molta qualità, un ottimo inizio dell’anno.
In questo periodo di pausa forzata ci sono stati tanti focus e articoli specifici, interviste a freestyler in un numero spropositato (saranno un’ottima banca dati per il futuro) e format importanti ed innovativi: The Dome creato e promosso da Dr Jack è cronologicamente l’ultimo al quale abbiamo assistito ma sicuramente uno di quelli con più potenziale.
Con tutto l’hype che si è andato creando, il movimento del freestyle italiano ha davanti a sé una ghiottissima occasione di fare il celeberrimo e definitivo salto di qualità, ma deve stare molto attento a non commettere errori.
La grande occasione passa necessariamente dalle problematiche che il freestyle italiano ha fronteggiato solo in parte in passato
Innanzitutto rispetto delle norme: come già detto gli eventi saranno soggetti a un controllo serrato perché ancora percepiti come non indispensabili (se tutti sapessero che contribuiscono al 6,1% del PIL probabilmente la percezione della loro utilità sarebbe diversa) e abbiamo già visto come il mondo del rap attiri critiche con una certa facilità. Il caso del Mic Tyson, con tanto di servizio di approfondimento su TG nazionale ne è l’esempio.
Tutti i contest dovranno agire in sintonia perché il danno di immagine che può derivare da uno “scandalo” (anche di più piccole proporzioni) potrebbe intaccare tutto il movimento e rafforzare l’errato immaginario collettivo di questo genere gestito da debosciati e nullafacenti ai quali non interessa rispettare alcuna regola.
Il secondo punto è a mio avviso cruciale. Potrà sembrare un ossimoro, ma sono fermamente convinto che l’unica maniera per uscire dall’impasse sia arrivare al grande pubblico. Ciò non significa svendersi o creare eventi puramente commerciali svuotandoli di significato, ma trasmettere quella dignità e quel senso artistico che il freestyle si è duramente conquistato negli anni.
Con tutta la voglia di fare eventi e di partecipare a serate, ci sarà una grandissima mobilitazione di pubblico, spesso e volentieri anche in contesti diversi da quelli abitudinari per la voglia di uscire e stare in compagnia.
Il rischio maggiormente concreto è quindi quello che si vengano a creare una miriade di piccoli contest con un livello qualitativo basso. L’impatto sul pubblico (numericamente superiore al solito) sarebbe sicuramente deleterio e lo spingerebbe, laddove coinvolto in un ambiente nuovo e che non conosce, a rafforzare il classico stereotipo del freestyle “come insulto all’altro”.
Chiunque organizza eventi e viene da un mondo diverso da quello Hip-Hop sa benissimo come funziona questo meccanismo. Quante volte abbiamo sentito un nostro conoscente dire: “Mi sono divertito da impazzire! Sono dei fenomeni, non pensavo fosse possibile anche solo pensare certe associazioni e metterle in rima!”
Ma questo accade solo quando si ascolta una battle di livello, in cui la rima “razzo-cazzo” o “sicuro-culo” viene bocciata dalla giuria e non osannata tra scroscianti risate del pubblico. Perché ogni battle grezza e povera di idee che non dimostra di essere diversa dalle rime che facciamo con gli amici al parchetto ha questo effetto: repellenza per l’estraneo. Gran parte del pubblico continua a categorizzare questa disciplina come insulto con sottofondo musicale e così facendo troverebbe solo conferme.
Non fare il passo più lungo della gamba significa agire in maniera coordinata, sfruttare la gran voglia di tornare ad assistere ad eventi creando uno spettacolo degno di tale nome, dove il grande flusso di persone che ignorano l’esistenza del freestyle ne siano attratte e vengano convogliate in un universo (The Dome ce lo insegna ancora) tutto da scoprire.
Si tratta di una riflessione personale e sicuramente opinabile, ma dopo un’attenta analisi dei dati e della situazione del freestyle italiano osservato dall’interno, appare evidente come ci sia bisogno di un bel colpo di spugna.
I freestyler non sono più quelli di una volta, la tecnica non è più quella di una volta, i beat non sono più quelli di una volta, il rap non viene più visto come una volta… perché la reputazione del freestyle non riesce a togliersi di dosso la pesantissima croce dell’infantilità e della mancanza di contenuti?