Quindici anni sono un intervallo di tempo sufficiente per provare a tracciare un bilancio sull’importanza di un artista o di un disco, ma se l’artista in questione è Dargen D’Amico e l’album è Musica Senza Musicisti, il suo debutto solista, il discorso si fa subito più complicato.
Musica Senza Musicisti: il debutto di Dargen D’Amico a distanza di quindici anni
Intendiamoci, l’artista milanese negli anni ha conosciuto fortune alterne: prima coccolato da certi ambienti alternativi, poi riscoperto e portato come riferimento da vari rapper della nuova ondata post-XDVR (Tedua e Izi su tutti), infine preso a prestito dal pop per dare respiro a formule altrimenti esauste (compare tra gli autori, per esempio, in ben due brani tra quelli in concorso all’ultimo Festival di Sanremo, Chiamami per nome e Dieci).
Tuttavia, malgrado gli omaggi e i riconoscimenti, a conti fatti, nessun rapper successivo ha mai provato a spingersi nei percorsi aperti da Dargen D’Amico a partire da Musica Senza Musicisti.
A quindici anni di distanza, Dargen D’Amico rimane un’anomalia, come dimostra la quasi generale indifferenza che ha seguito il suo ultimo album Bir Tawil dello scorso dicembre, uno dei suoi progetti più compatti e vitali.
Ripercorrendo i brani contenuti nel suo debutto, proveremo perciò a misurare le dimensioni e i confini (rigorosamente mutevoli) che da quindici anni danno forma alla Terra di Nessuno tracciata da Dargen D’Amico: questa è Musica Senza Musicisti…
“Puoi ascoltarla tralasciando i testi”
Il disco, per stessa ammissione dell’autore, nasce senza scadenze dall’accumulazione di tracce.
In un’intervista di qualche anno fa Dargen D’Amico ha definito Musica Senza Musicisti un “album nato per non essere ascoltato”, una sorta di raccolta di tentativi che, in alcuni casi, potevano rimanere definitivamente interrotti. Intenzioni che si sposano bene con il tono della title track, con cui l’artista pare voler immediatamente liquidare con una scrollata di spalle il peso di tutto ciò che seguirà:
“Te la ascolti tra te e te, mentre fai altre cose, più cose insieme…
È poco impegnativa, è la sua peculiarità
Questa è musica senza musicisti, capisci?”
Il disco esce per la piccola etichetta personale Giada Mesi e, sempre facendo affidamento alle parole dell’autore (scelta non sempre saggia quando l’autore è Dargen D’Amico), arriva alla stampa senza un mixaggio vero e proprio.
È allora inutile cercare a tutti i costi un concept che animi l’intero disco, dal momento che semplicemente non c’è. Cionondimeno non si può evitare di notare l’estrema anarchia musicale che attraversa ogni traccia.
Sin da Pater Noster Introduttivo le strumentali di Musica Senza Musicisti – curate perlopiù da Dargen D’Amico stesso con alcuni contributi di Phra, Steno Fonda e Frankie Gaudesi – schiudono paesaggi elettronici del tutto inesplorati dal rap italiano precedente.
Certo, negli stessi anni Goedi ibridava con l’elettronica il suono dei Microspasmi in 16 Punti Di Sutura e Don Joe metteva definitivamente a punto il suono dei Dogo in Penna Capitale; ma se in tali casi la componente elettronica andava a fornire una preziosa integrazione, Dargen con MSM spalanca senza esitazioni questa possibilità, mettendo la musica elettronica al servizio del rap fino alle estreme conseguenze.
I tappeti sonori sono perciò istintivi, disordinati e zoppicanti forse, ma allo stesso tempo caldi e ovattati. La componente strumentale dell’album mostra tutte le sue potenzialità espressive nelle consecutive Bobby’s Back To Houston e Salendo Sempre Più (Dentro Te), due lunghi brani strumentali che fanno da spartiacque all’interno del disco.
L’andamento asimmetrico delle strumentali riflette il ritmo sghembo dei versi del rapper, abitati da rime interne e schemi metrici inusuali per il genere. Dargen D’Amico lungo ventitre tracce sembra portare l’ascoltatore in un ambiente familiare, ma subito sposta di due centimetri a destra ogni elemento all’interno di questo spazio, costringendo l’ascoltatore a inciampare a ogni passo.
Se gli omaggi alla scrittura di Jacopo si sono sprecati e si sprecano tuttora, in pochi hanno prestato davvero attenzione alle intuizioni strettamente musicali dell’artista. Non a caso, nel rap successivo non se ne trova traccia.
“Spente le vite i soldati accendono i fuochi”
Spostiamo ora l’attenzione sulla penna. L’intera discografia di JD’ offre difatti una galleria multiforme di racconti e tipi umani che suggeriscono una tendenza naturale e continuativa allo storytelling, e poco importa se il riferimento più prossimo siano i grandi emcees newyorchesi degli anni novanta o se, invece, bisogna riavvolgere il nastro di qualche decennio e guardare ai cantautori italiani.
La tensione tra questi due modelli all’apparenza lontani è evidente più che mai proprio in Musica Senza Musicisti, soprattutto se mettiamo in play i bizzarri affreschi criminali rappresentati da Ricollocamento Di Un Operaio e Variazioni Sul Tema Via Lessona. Entrambi i brani mostrano alcuni tratti che da qui in poi saranno tipici della scrittura del rapper, e che non scontano debiti artistici con nessun modello precedente.
In Ricollocamento Di Un Operaio ascoltiamo un breve e cinetico racconto in rima che procede in forma dialogica, un continuo botta e risposta tra due personaggi. Il racconto prende vita da una conversazione, come avviene varie tracce dopo anche in Quando la linea della vita risulta occupata; si tratta di un espediente che Dargen utilizzerà spesso in seguito, pure laddove i suoi versi andranno a comporre monologhi torrenziali, che tuttavia sembrano sempre guardare fisso negli occhi un interlocutore preciso (si pensi alla prima strofa di Arrivi stai comodo e te ne vai).
Più radicale è invece la carrellata di personaggi poco raccomandabili che affolla Variazioni sul Tema Via Lessona, brano dove in rapida successione si presentano e si congedano profili folgoranti, caratterizzati in poche pennellate:
“Il mio nome è Alberto, non ti ricordi di certo
L’unica volta che mi hai visto avevo il volto coperto
Io invece stampo in mente i volti, come sui denari
Esco all’ora in cui non c’è più gente in giro
Non c’è più niente d’aperto
e vengo a punirti se non paghi le percentuali
La prima volta te le suono come Stradivari
La seconda vengo e ti rendo deserto”
La natura corale del brano è una delle caratteristiche, da qui in poi, più ricorrenti nello storytelling di Dargen. Si può partire da Passerà al Bar fino a perdersi nei labirinti verbali di Nostalgia Istantanea per ritrovarsi sballottati tra improvvisi cambi di voce e di punto di vista – è la voce narrante a cambiare – per poi rimanere con in mano soltanto impressioni vaghe e indeterminate che necessitano di ulteriori ascolti per acquisire la forma compiuta di un racconto (o per disperderla del tutto, una forma).
In MSM c’è però spazio anche per un brano in cui Dargen si fa narratore onnisciente, Sqdr G7, esempio chiaro di una spiccata sensibilità a descrivere la (auto)distruttività dell’uomo, non senza particolare attenzione a evitare la retorica più spiccia:
“Le pale dell’elicottero sfrondano i rami
La gente del villaggio è misera, disarmata
La squadra è bene addestrata e non bada
Lascia madri e morti in strada come l’Intifada”
Sqdr G7 fa da capofila al ciclo forse più ignorato in assoluto della produzione di Dargen: una sezione in cui affronta temi di carattere etico, se non persino politico (inteso nel senso più ampio possibile del termine).
DD’ però si guarda bene dal fare ramanzine o dal prescrivere ricette; si limita al racconto, prova a calare temi di ampio respiro in una più ristretta dimensione privata, a riparo dall’eco di proclami e di prese di posizione urlate. Canzoni come Miniere, Crassi, Anche se il Mondo Ha, o più recentemente Vedova, trovano il loro antenato nelle terre sconosciute raccontate in Sqdr G7.
“Serate di Gala a casa da solo”
Il fondale naturale di molte canzoni di MSM rimane però la casa, teatro di una quotidianità pigra e sonnecchiosa.
La routine dilatata di Lunedì Mestieri (La pattumiera è da basso / Già che ci sono porto il cane a spasso), o l’esaltazione infantile e ovattata di Prima Fila Mississipi Remix, aprono panoramiche casalinghe non troppo lontane da alcuni componimenti di Patrizia Cavalli come, ad esempio, Quante tentazioni attraverso:
“Quante tentazioni attraverso
nel percorso tra la camera
e la cucina, tra la cucina
e il cesso.”
In molti brani di Musica Senza Musicisti il perimetro di casa diventa infatti il luogo naturale per concedere a Dargen di attraversare le tentazioni più disparate: svestirsi, travestirsi, parodizzare la morte del cigno di Čajkovskij, in definitiva prendersi poco sul serio. Si pensi a passaggi fulminanti (e fulminati) come “apparecchio le luci e mi faccio la lap-dance da solo” in Non La 1 Ma La 2, o in Prima Fila Mississipi:
“Venero il venerdì e metto sandali
E veste come il Mahatma Gandhi
Mi traccio un’aura sacra intorno
Chi affittava la mia testa prima di me amava i fiori
Mi tappezzo le orecchie con le rose rimaste
Passanti alla finestra, namastè”
È però fuori da casa che Dargen D’Amico prova a manomettere la quotidianità più grigia una volta per tutte; lo fa in due brani, probabilmente i migliori dell’intero album, ossia Zucchero Luminoso e La Prima Risposta.
La prima è la cronaca amareggiata di un finanziamento non concesso – il progetto era un Bar itinerante – mentre La Prima Risposta scardina definitivamente qualsiasi tentativo di conversazione da ascensore, squalificando il rapper da quasi qualsiasi discorso e da quasi qualsiasi definizione:
“Non ho una bella cera, non ho ancora fatto carriera
Non ho mai speso l’intero stipendio in una sera
Non ho ticket per file dove c’è gente che spinge
E se ci finisco per caso non vedo l’ora d’uscire
Non ho grosse lacune né amici in comune
Non ho idee illuminanti, ho idee che hanno anche altri
Mi spiace non ho moneta, non aspetto da un’ora
Non ho deciso ancora quale sia la mia meta”
“Lo Amore Per Tutti”
Oltre allo storytelling, un altro degli elementi centrali della poetica di Dargen è da sempre l’esperienza amorosa declinata nelle forme più varie, una ricerca che trova il suo vertice in CD’ ma che percorre sottotraccia l’intera produzione dell’artista.
L’indagine sentimentale di Dargen D’Amico, coscientemente o meno, ha sempre cercato di minare dalle fondamenta una certo tipo di mascolinità, per restituire all’ascoltatore ritratti di uomini più complessi, impacciati a tratti, uomini che in molti casi si trovano in una posizione passiva all’interno del rapporto.
Ci si ritrova perciò tra le mani una figura molto lontana dal Maschio Alfa tipico del rap e più vicino all’uomo ferito tratteggiato, ad esempio, da Lucio Dalla in Mambo. All’interno di Musica senza musicisti questo profilo comincia a prendere corpo con brani come Corallo e Vespe e Non La 1 Ma La 2.
Se la seconda ci mostra addirittura un Dargen pentito per aver rifiutato una proposta di matrimonio, in Corallo e Vespe il rapper si descrive come uno “shy guy mangiato dai complessi” che, messo spalle al muro e approcciato da una donna, si rifugia in una rigidità dei gesti (inamovibile il bacino, e il muso duro mastino) con cui tenta di occultare un’insicurezza quasi infantile (una carezza è il miglior modo di svegliare un bambino), salvo poi abbracciare questa stessa insicurezza nell’ultima strofa, così da regredire senza più resistenze all’infanzia e delegare al partner, come a una mamma, qualsiasi scelta lo riguardi:
“Se non ti piace questo taglio me li faccio lisci
Il tuo giudizio sarà l’unico a cui bado
In cinque minuti puoi svuotare il mio armadio
Decidi e indosserò quello che preferisci”
Ma l’amore si esprime anche in altre forme in Lo Amore per tutti, dove i versi descrivono una sessualità onnivora che non sembra fare distinzioni di etnia o di classe e, forse, neppure di genere:
“Quando muovi quei… bay-bay
Dio, cosa ti farei
Però anche il tuo uomo è messo ok
In quanto a glutei, entrambi vi farei
Ma non dirlo in giro o ti diranno che son gay
E no, non sono un gay, sono un povero esteta
Maestro del piacere, delle regole analfabeta”
A completare il mosaico ci pensano la più divertita La Fedina Penale e la frustrazione allucinata di Commo Una Troia. Sarà infine una delusione amorosa tardo adolescenziale a far maturare nell’artista i propositi – ironici certo, ma neanche troppo – alla base della conclusiva The Sleepy Molotov.
Nell’ultimo brano, soltanto parlato, il Nostro ci invita infatti a fidarci dei nostri istinti innocui e liberarci da tabù e preconcetti. Malgrado il tono surreale del brano, le parole offrono indicazioni, ironia della sorte, seguite religiosamente da Dargen da qui in poi nel suo modo di fare musica. Tuttavia l’artista seguirà questa strada quasi sempre in solitaria.
Nessuno dopo di lui sembra aver voluto sbottonare la camicia, neanche solo per respirare meglio. La Terra di Nessuno di D’Amico resta dunque ancora inesplorata, perlomeno fino ad oggi.