Squallor è un album fondamentale sia per il percorso di Fabri Fibra sia per il rap italiano, analizziamolo insieme.
Se si parla di Fabri Fibra, tra tutti i numerosi album che ha pubblicato durante la sua carriera tempestata di successi, Squallor risulta quello più particolare: un progetto a tutti gli effetti diverso rispetto agli altri, che vede ben ventuno tracce, diversi featuring, produzioni importanti ma che non ha avuto promozione e pubblicità e che sembra davvero ideato esclusivamente per la fan base più di nicchia, come volesse essere un regalo ai fan più stretti. Col tempo sta diventando un culto, con diverse persone che lo ritengono persino il miglior disco del rapper marchigiano.
Ma cos’ha di speciale Squallor di Fabri Fibra? Analizziamolo insieme, attraverso i seguenti punti:
Produzioni e tracklist
Innanzitutto è impostato in maniera ben diversa in confronto alle altre pubblicazioni, non presenta veri e propri singoli da radio – da sempre presenti nei progetti di Fibra – ma tutta la tracklist è composta da pezzi che vanno a formare un qualcosa che vuole essere solido, corposo e del tutto coerente col suo essere, senza episodi estranei o messi per ragioni meramente commerciali. Tutti i pezzi inseriti hanno una loro anima ben delineata e insieme formano una solidissima scaletta che presenta tanti momenti diversi tra loro ma uniti da una direzione generale che rende l’insieme omogeneo.
Altro aspetto peculiare che rende Squallor di Fabri Fibra una vera e propria perla sono le produzioni. Senza volerla sparare più grossa del dovuto, parliamo (forse) dell’album rap italiano con più produzioni americane di sempre. Su ventuno tracce circa la metà presenta produttori americani. Amadeus ha composto Troie In Porsche e Sento Le Sirene, Rey Reel lo vediamo in Come Vasco e Non Me Ne Frega Un C*zzo, HazeBanga invece si è occupato di Alieno e Squallor, Hitboy ha co-prodotto le appena citate Alieno e Non Me Ne Frega Un C*zzo. Infine Dot Da Genius ha fatto la base di Cosa Avevi Capito? e Major Seven di Dexter. Questi nomi hanno sfornato composizioni per artisti del calibro di Beyonce, 50 Cent, Kanye West, Drake, Lil Wayne, Rihanna, Travis Scott e Future. Addirittura Hit-Boy ha vinto il Grammy per la produzione di una hit totale come Niggas In Paris e ha ricevuto la nomination per quella di Sicko Mode, certificata disco di diamante proprio pochi giorni fa. Non so se siamo riusciti a rendere l’idea del livello.
I restanti tappeti musicali sono stati affidati prevalentemente a Medeline, artista francese che spesso ha collaborato con rapper italiani, su tutti Marracash e lo stesso Fibra. Per quanto riguarda i nomi di casa possiamo citare gli unici due presenti: D-Ross e Startuffo.
Verrebbe da chiedersi come mai non pubblicizzare un album con certi livelli di produzione. Senza voler parlare a nome di Fibra, ma forse il suo scopo è stato proprio dimostrare quanto ci tiene alla musica ed ecco quindi una spiegazione alla mancanza di promozione del progetto, come a voler regalare una tale qualità solo a chi veramente è interessato, escludendo gli ascoltatori occasionali. Oppure, più tristemente, è conscio della noncuranza media degli ascoltatori, ma questa è un’altra storia.
Proseguendo su questa linea, è evidente come le basi scelte per Squallor siano senza tempo, se una persona andasse oggi ad ascoltarlo per la prima volta, non sentirebbe minimamente una musicalità datata. Tutt’ora suona moderno e probabilmente rimarrà così anche in futuro poiché la maggior parte delle produzioni sono al contempo universali e di grande qualità, lasciandosi alle spalle suoni modaioli e concentrandosi invece sull’ottenere semplicemente una base che possa risultare forte, indipendentemente dal periodo storico.
Anche a livello di sperimentazione parliamo del progetto più caratteristico in questo senso della sua discografia. Tracce come Tr*ie In Porsche, E Tu Ci Convivi, Cosa Avevi Capito?, A Casa sono piuttosto singolari nella carriera del rapper di Tranne Te, che di solito si concentra su suoni e stili molto classici e più immediati. Invece in Squallor si concede vari momenti dove si spinge più in là, inserendo anche svariati skit, usando produzioni di altissimo livello e anche riguardo la scrittura – prendiamo d’esempio le tre canzoni appena citate – cerca qualcosa di non convenzionale.
Ora addentriamoci nell’analisi più profonda, che riguarda la poetica portata avanti da Fabri Fibra con Squallor.
Poetica
In Squallor la scrittura di Fabri Fibra raggiunge il suo apice: qui troviamo tante tra le sue tracce più mature e profonde, mentre di pezzi spensierati e leggeri ne vediamo pochissimi, tutti hanno un qualcosa da dire. Sottolineiamo che il protagonista in questione non si snatura, rimane la sua semplicità lirica – che da sempre lo contraddistingue – ma la utilizza con più enfasi e con una gestione migliore a livello formale.
Da sempre il rapper di Senigallia riesce ad arrivare agli ascoltatori utilizzando un linguaggio tanto semplice quanto incisivo, dando credito a figure retoriche di base come le similitudini. Se da una parte prosegue in questo senso anche per quanto riguarda l’album in questione, dall’altra riesce a raggiungere la sua capacità di scrittura migliore, ottenendo testi tanto semplici sul piano retorico quanto profondi e incisivi. Non ci sono molti esercizi di stile ma ogni strofa è una manata, ogni verso è inserito con scrupoloso criterio, dando sempre un senso preciso alle tracce che si susseguono.
Affrontiamo brevemente le tracce contenute nell’opera per capire meglio quanto appena detto.
Squallor di Fabri Fibra inizia subito con tre canzoni ostiche per l’ascoltatore, come a voler scremare subito i disattenti e i troppo spensierati. In Tr*ie In Porsche e Amnesia si concentra prevalentemente sulla vacuità del successo e dei soldi, criticando aspramente il mondo consumista che si riflette anche su settori – come quelli artistici – che non dovrebbero seguire certe ottiche ma che di fatto sono piegati anch’essi dalle leggi del mercato. In Lamborghini invece espone – attraverso una costante metafora – come i generi musicali vengano col tempo “uccisi” dai soldi, dal successo. Quest’ultima è un palese esempio di come la sua scrittura, in apparenza semplicissima e basica – verrebbe da dire quasi elementare – nasconda in realtà sempre significati molto pesanti e profondi, risultando quasi ermetica.
Amnesia in particolare riesce a essere particolarmente incisiva in certi passaggi chiave come l’inizio: “Là fuori non c’è posto per il talento, non seguo l’evento io seguo l’intuito, non basta un bel pezzo se non lecchi il c*lo, non sei nel circuito“, oppure nella terza strofa (che spesso coincide con i momenti di massimo spannung nei pezzi di Fibra) dove con una manciata di versi riesce ad annichilire il sistema discografico e politico italiano, l’intero mondo dei mass media e persino se stesso in un’orchestra di verità scomode che emergono soprattutto grazie all’utilizzo dell’antitesi, ovvero l’accostamento di parole/frasi dal significato opposto (vivo la realtà col dovuto distacco, più cose capisco e meno mi appassiono).
“Ti credi un artista finché non ne incontri uno vero
Io lo faccio il rap mica lo indosso
Questa musica va contro un sistema intero
In Italia è l’esatto opposto
La famiglia decide il tuo nome da lì in poi è tutto in mano alla TV
Il lavoro annulla le persone, se paghi lo Stato ti chiede di più
Lo vedi anche tu
Il cielo offuscato, in cambio di cosa? Ci sono cascato
La libertà costa, io pago il riscatto
Ero già famoso prima del contratto
Vivo la realtà con dovuto distacco
Più cose capisco e meno mi appassiono
Il disco lo vendo, prendo i soldi e scappo
Mi sveglio e mi chiedo “Dove cazzo sono”?”
Rock That Sh*t riporta Fibra a un mood più tradizionale. Si parla della sua carriera e sembra un po’ una presa di coscienza che testimonia da dove è partito e dove è arrivato. Questo ragionamento sfocia in una traccia – quella successiva – che parla proprio del successo a livelli massimi, Come Vasco. Omaggiando il grande artista italiano fa sognare lo spettatore con un testo d’effetto che evidenzia come i soldi rendano effettivamente migliore la vita, al di là dei luoghi comuni, con molta schiettezza.
Arriviamo dunque a uno dei pezzi più iconici del disco, Alieno, con il quale l’autore, oltre che dar prova della sua attitudine sfornando una traccia memorabile che resterà per sempre, si espone riguardo il successo, la scena italiana (finta) e la politica (ancora più finta). Emblematico il passaggio “Ho la fama, quella che aliena, che ingombra, che ti deforma / In un Paese progettato per mandarti fuori norma / Dove tutto fa spettacolo / Dove c’è chi è sempre in posa / Il successo cos’è? /È quando tutti indicano la stessa cosa”.
Parlando di tracce immortali la successiva, E Tu Ci Convivi, non è da meno. Prendendo come punto di riferimento Milano (non a caso capitale economica di Italia) sviluppa un testo molto ermetico di denuncia sull’attuale situazione politica, sociale ed economica che affligge il Paese. In aggiunta troviamo una strofa che calza alla perfezione di Guè Pequeno, a dare ancora più enfasi al testo.
“Benvenuto a Milano, la città del crimine
Rapine, affari sporchi, droga, p*ttane, papponi
Ladri, sbirri, occhi osservano ovunque tu vada
Ti guardano, ti seguono
Politica malata, telecamere, la malavita… E TU CI CONVIVI”
Giungiamo quindi a Cosa Avevi Capito?, forse la traccia più indecifrabile e incompresa della sua carriera. Si divide in tre strofe e mantiene sempre lo stesso schema, inducendo l’ascoltatore a concentrarsi sulle parole che cambiando da un verso all’altro. Il primo gruppo di versi descrive la società italiana, utilizzando parole chiave (cosa che ha fatto anche Marracash in Parole Chiave, appunto) come calcio, moda, iPod, click, slot ecc. Il secondo componimento, invece, si rivolge direttamente a noi che stiamo ascoltando, accusandoci di non capire nulla di ciò che ci viene proposto dall’arte in generale e facciamo finta di apprendere, mentre in realtà sentiamo e basta, senza mai analizzare (“tu non capisci, fai finta”). Nella terza strofa, infine, si rivolge a se stesso, perché come spesso accade è il primo a mettersi in discussione, e espone tutte le cose che non capisce lui come il sistema, gli affari, l’industria. Grazie all’outro, poi, riesce a rimarcare quanto appena espresso, ribadendo come la massa sia molto conformista e segua esclusivamente la moda.
Dopo una serie così estenuante di momenti cupi, Il Rap Nel Mio Paese, regala un momento di goliardia, dove senza risparmiare svariate critiche riesce per lo meno a fare dell’ironia. Questo è stato anche il singolo con il quale ha presentato il disco e rimarrà nella storia la barra “non uso mai l’inglese, ora faccio un’eccezione f*ck Fedez“.
Con A Volte e A Casa però ci riporta immediatamente nei meandri più introspettivi della sua mente.
La prima riflette sulle paranoie, uno status che spesso racconta – quello della paranoia – e che lo assilla nonostante il successo. A volte appunto, perchè è questo il sentimento che vuole esporre, il momento di solitudine, quando deve fare i conti con se stesso.
La seconda, invece, è considerabile anch’essa come un vero e proprio capolavoro (passato troppo inosservato). Sospendendo noi ascoltatori in un momento totalmente onirico, divide in tre la canzone, facendoci viaggiare insieme a lui nel “deserto del linguaggio”. Inizialmente siamo in una sorta di dormiveglia, nella quale pensieri apparentemente sconnessi si collegano grazie al protagonista in questione che cuce le barre tra di loro. Poi dopo il ritornello, entriamo nella fase successiva, quella del sogno vero e proprio, nel quale Fibra fa uscire le parole di bocca come fosse una mitragliatrice e riesce a racchiudere in un’unica strofa tutta la sua poetica. Infine, la traccia si chiude con soltanto la base in sottofondo e la frase “voglio andare a casa” in ripetizione, come se si trattasse di un luogo astratto, ideale, nel quale fuggire per nascondersi dal mondo. Citando da Genius.com “Nel brano, la casa non è il luogo fisico dove vogliamo andare. La casa a cui Fibra fa riferimento consiste nel ricongiungimento con l’innocenza perduta, con l’autenticità dei sentimenti inevitabilmente corrotti dal denaro. La società capitalista e priva di etica in cui viviamo è la protagonista di tutto Squallor.“
Se possiamo permetterci di darvi un consiglio spassionato, ascoltate e analizzate questo pezzo, ogni altra parola è superflua.
“Voglio andare a casa
Questi amici sono finti come se la vita fosse un film in tv
Voglio andare a casa
Tu mi fissi, occhi spenti, dici: “Vuoi provare?” ma non ci casco più
Voglio andare a casa
Ti porto lontano così finalmente saremo felici
Fuori da Milano ma poi tu mi dici: “Voglio andare a casa”
In giro vedo solo case, palazzi, parcheggi, edifici
Qui restare calmi è sempre più difficile”
Dopo un momento così aulico, è giusto ritornare un po’ ad attimi più energici e diretti. Pablo Escobar è uno dei banger del progetto, nel quale il rapper tira fuori la sua grinta e spinge l’acceleratore in un pezzo che risulta possente e autocelebrativo, senza però tralasciare qualche steccata alla società. D’altronde “ha reso il rap popolare come Escobar la cocaina“.
Eccoci alla title track, che svela il messaggio del disco esplicitamente, a differenza delle tracce che abbiamo appena affrontato: lo squallore che ci circonda. In Squallor Fabri Fabra si toglie anche qualche sassolino dalla scarpa, nell’outro del pezzo:
“Mi dicevano Cerca lavoro non sprecare tempo con la musica, non farlo!
Nessuno ascoltava rap italiano ora tutti quanti sanno di che parlo”
Come già accennato, l’ironia fa spesso parte della personalità di Fibra e, così, ecco che con Playboy riesce a parlare contemporaneamente di figa e rapper venduti, senza far capire troppo di chi sta parlando. Anche grazie all’apporto di Marracash questo risulterà una delle hit dell’album. Prosegue su questa linea con EURO, che a onor del vero risulta uno dei pezzi più deboli del disco a causa proprio della ridondanza che esprime. Una volta che si è parlato già tanto di certi argomenti, questa è di fatto considerabile come filler nel progetto in questione: non si discute la qualità della traccia presa singolarmente, ma la sua utilità nel complesso della tracklist.
Addentriamoci verso le tracce di chiusura del mastodontico album. Dexter e Non Me Ne Frega Un C*zzo rappresentano due momenti che, un po’ come Alieno, sfruttano delle produzioni magistrali per poter tirar fuori delle tracce semplicemente e squisitamente rap. Non mancano autocelebrazione e esercizi di stile, ma finché lo si fa con tale qualità è una gioia per le nostre orecchie. Nella seconda canzone citata non mancherà, tra l’altro, un altro punto focale che si traduce nelle seguenti barre:
“Alla fine siamo tutti degli schiavi
Della stessa immagine che vedi nei giornali
Compriamo le stesse cose, siamo tutti uguali
Parliamo la stessa lingua ma ci si capisce solo nei network sociali
Non leggo libri ma sfoglio pagine ufficiali
Un mare di concetti superficiali”
Sento Le Sirene è la traccia di chiusura del disco fisico (mentre nella versione streaming sono state aggiunte altre tre tracce che vedremo dopo). Qui Fibra riflette su quanto sia facile tradire i propri ideali – i propri principi – e su quanto sia difficile restare coerenti in una società malata che non fa altro che corrompere. Con tre esempi che riguardano se stesso (ancora una volta vediamo come sia il primo a mettersi in discussione) dimostra quanto appena detto. Non è una persona violenta ma ha sparato, non ama mettersi in mostra ma è diventato famoso, non è attratto dalla cocaina ma ne ha fatto uso.
Vediamo dunque le tre bonus track, che aggiungono ancora più materiale a un album già molto corposo. In Dio C’è parla di religione e di come questa sia ormai defraudata da ogni aspetto filosofico e morale, risultando utile a fini commerciali o peggio, criminali. Da sottolineare che non mette in discussione l’esistenza di un vero Dio, ma piuttosto critica l’uso (se così si può dire) che ne fa l’essere umano, che spesso scomoda la sua figura per commettere e giustificare le atrocità compiute e seguire l’interesse personale.
“la società è in ginocchio come chi prega
le guerre vendono armi in nome di Dio, collega”
In Trainspotting rapporta la musica alla droga, creando un trip allucinante nel quale rappa forsennatamente sulla base come un fiume in piena. Chiude il progetto Voglio Sapere, canzone che si concentra sulla critica alla politica italiana, talmente marcia e malata che risulta praticamente incomprensibile agli occhi dell’uomo comune. Mentre espone i vari concetti e le contraddizioni si percepisce un alone di disillusione totale, come a significare che è impossibile cambiare, chiudendo così l’intero album, definitivamente, senza trovare la soluzione a un problema impossibile da risolvere:
“non capisco perché c’è chi fa finta che vada tutto bene
il potere con la verità nessuno li ha mai visti insieme
non si vedono ma ti assicuro siamo intrappolati in catene
il lavoro ci frega la voglia di avere
come ci si eleva lo vorrei sapere”
Il significato di Squallor di Fabri Fibra
Abbiamo dunque visto i capisaldi della poetica di Fabri Fibra in Squallor, che sono di fatto un’evoluzione degli argomenti da sempre vicini al rapper. Il pessimismo e il cinismo fanno da padroni in questo progetto, lasciando davvero poco spazio al Fibra più scanzonato e ironico per dar voce a uno molto più cupo e serio. Non c’è spazio per la serenità. Ci parla di squallore, di sistema malato, del capitalismo più sfrenato e senza ritegno, della politica che ormai ha abbandonato il suo ruolo a causa di una corruzione senza limiti.
Il titolo già esprime tutto ciò che andremo ad ascoltare, se cerchiamo la definizione di Squallore troviamo: “Grigiore, monotonia, senso di inutilità, tristezza”, “Aspetto squallido, di tristezza, di miseria, d’abbandono”, “Quanto induce un senso di desolante abbandono e tristezza”. Tutto questo è esattamente ciò che è contenuto nell’album e che trasmette. Lo sottolinea anche nella title track, “è lo squallore di cui ti parlo“. Arrivato nel 2015 sulla soglia dei quarant’anni questo lavoro rappresenta un’enorme presa di coscienza e di una grande prova di maturità.
Un aspetto però interessante è che, nonostante la pesantezza dei temi trattati, all’ascolto non risulta per nulla noioso. La ragione di quanto appena detto risiede nella freschezza musicale e nella sua capacità di mantenere chi ascolta attaccato alle cuffiette. Inoltre non cade mai nella banalità, cercando sempre un realismo che non lascia spazio al piangersi addosso o al compatirsi.
Fibra vuole raccontarci della farsa italiana, di quanto tutto sia finto, un teatrino. La politica pensa solo ai propri interessi, la società ha il paraocchi e si schiera a destra e sinistra come fosse tifo calcistico, il mondo del lavoro è oppresso da un mercato bloccato da una burocrazia surreale e una mentalità retrograda, i singoli cittadini vengono sedati dalla televisione che – come se fosse una droga – allevia i dolori al momento per poi rendere tutto ancora più difficile e pesante.
Squallor di Fabri Fibra è un album concettuale e filosofico, che tende al pessimismo. Ma per chi segue e conosce l’artista in questione non c’è da stupirsi se, dopo un decennio abbondante di progetti corposi e meritevoli, ha voluto lasciare un’eredità ancora più solida e matura, che riesca a consacrare definitivamente il suo pensiero.
Nei confronti del rap italiano ha dimostrato che la qualità in Italia è possibile, che volendo ci può essere una via d’uscita alla mediocrità e allo squallore. Anche grazie a un disco come questo dal 2015 in poi il genere ha subito un’evoluzione non indifferente, con gli artisti che si sono fatti spazio senza cercare troppi compromessi e cercando di dare un contributo effettivo alla causa.
Grafica di Matteo Da Fermo