La vita secondo Loyle Carner

Loyle Carner

Nel mondo del rap c’è spazio anche per i buoni come Loyle Carner.

È la rivincita dei buoni“, tuonava Ghemon in un suo vecchio album. Probabilmente in questo periodo storico così particolare, intriso di cattiveria, menefreghismo, paura, rabbia, ci vorrebbe un eroe buono, nel senso stretto del termine. Avremmo bisogno di altruismo, affetto e comprensione. Sì, di una specie di “Gandalf il Bianco” che possa produrre un’enorme tempesta di energie positive che porti via in un sol colpo la negatività dei nostri pensieri (e magari un vaccino, ma non ci allarghiamo). Forse chiedo un po’ troppo al nostro caro Loyle Carner, che però risulta essere una delle penne più interessanti del panorama rap europeo e per questo merita senz’altro la nostra attenzione.

La storia di Ben Coyle-Larner comincia nel 94′, a Lamberth, a sud di Londra. Precisiamo, lui però cresce a Croydon con sua madre, Jean, e con il suo patrigno, Nik, assieme al fratellino Ryan. Non ha mai avuto grandi rapporti con il vero padre, che è di origine guyanese, ragione per la quale nella foto in copertina non vedrete un fac-simile di Rooney o Lampard (vi anticipo, in questa storia il calcio è importante).

Ben è un ragazzino davvero particolare, molto gentile e grande appassionato di calcio, tuttavia, gli tocca un’infanzia difficile, alle prese con un mostro chiamato ADHD (ricorderete di un certo album) sommato ad una discreta forma di dislessia. Facendo una breve analisi di quanto raccontato, a chiunque verrebbe da dubitare sulla buona riuscita di una possibile carriera da musicista, o ancor meglio da liricista. Ma diventare rapper per Loyle è un destino inevitabile, ma anche la prova di quanto sia potente questa cultura e il genere musicale che si porta dietro.

Loyle Carner porta il suo disagio e la sua storia nel nome, in quanto è il risultato di quello che gli “esperti” definirebbero “cucchiaio”, ovvero la maniera errata di pronunciare, in questo caso, il suo cognome a doppia canna. Fenomeno sin da bambino. Alle elementari scoprì accidentalmente di avere propensione per le rime. Addirittura compose una poesia che sbalordì la sua classe, ma soprattutto i docenti, in occasione di una commemorazione per un suo compagno purtroppo scomparso.

La carriera, da lì in poi, fu spinta molto dalla madre e dalla sua famiglia, a cui tiene davvero molto e con cui festeggia spesso e volentieri. Ma soprattutto cucina, poiché grande appassionato. Un po’ come nella sitcom di quel Jim: vuoi o non vuoi, ci si ritrova sempre in famiglia! Ed in questa “vita secondo Loyle” gestisce anche una scuola di cucina, da lui voluta, per i bambini affetti da ADHD, oltre che essere un grande fan di alcuni cuochi internazionali, Yotam Ottolenghi e Antonio Carluccio su tutti (li ritroveremo più in là, all’interno del suo ultimo album).

La figura preponderante è sicuramente il patrigno con cui lega tantissimo e condivide la musica, ma soprattutto, la sfrenata passione per il calcio inglese. Tuttavia, come spesso accade, quando una bella storia sta per decollare, ci si prepara ad una caduta imminente: Nik muore per un attacco epilettico improvviso di sconosciuta causa quando Loyle ha soli circa vent’anni. Questo è davvero un dritto degno del miglior Tyson, per chi di difficoltà già ne aveva affrontate abbastanza. Ci volle tempo ma la bontà del rapper britannico emerse ancora una volta. Si alzò con forza e decise di svoltare la sua carriera. Alcuni dei suoi bellissimi testi sono colmi di dediche, altri delle vere e proprie confessioni.

Il calcio, oltre alla cucina, è un altro punto cardine della sua arte. Potrei asserire con tutta onestà di aver all’inizio storto il naso nel trovare il legame tra le cose. Abituato agli intrecci rap-cestistici, non ero entusiasta nel considerare il gioco più famoso del pianeta un buon spunto per scrivere. Eppure, il fascino del rettangolo verde si inserisce magicamente nel mondo del rapper britannico. La sua passione per il Liverpool, le cover stile Panini per l’annuncio del suo tour, le note audio in cui si festeggia i gol, l’intervista divertentissima con Patrick Evra. Insomma, il football è ovunque nella sua carriera e mi è toccato cambiare idea.

Scrisse anche un brano dedicato ad Eric Cantona, idolo del patrigno, per poi collaborarci successivamente in un video per l’EA Games prodotto in occasione dell’uscita di FIFA 21. Decise anche di riutilizzare delle sue composizioni per alcuni campionamenti dei suoi brani.

Insomma, Nik, io ti ringrazio di cuore da parte di tutti i fan di Loyle, buon viaggio.

Nel frattempo la carriera di Benjamin è già iniziata e fino ad oggi consta di tre album (di cui due ufficiali). Ma prima di scendere nel dettaglio, vorrei poter spiegare dov’è l’unicità di questo artista. Partirei, a tal proposito, dalla definizione di Confessional Rap: una forma di rap in cui la cifra lirica principale è composta dalle intimità e dalle più profonde verità dell’artista.

Loyle è l’anti-rapper, non fa grime e si contrappone ad una realtà urban odierna evidentemente machista. Tecnicamente ineccepibile, quasi sconvolgente. La metrica è davvero interessante. Mantiene quelle solide basi di un rap che, probabilmente, si ispira, con regola d’arte, a leggende come Kendrick Lamar, Nas, J Dilla e D’Angelo. Ma i buoni hanno sempre il loro spazio nelle storie, giusto? E quindi vi presentiamo brevemente la discografia di questo interessantissimo artista inglese che mischia correnti strumentali jazz rap a fiumi di intime confidenze:

A Little Late EP, Loyle e Rebel Kleff, 2014

I ventenni Loyle Carner e Rebel Kleff, amico e producer di fiducia, fanno irruzione nella scena hip-hop, generalmente sottovalutata, del sud di Londra. Un duo elegante che presenta il loro EP di debutto, a discapito di ciò che recitano i documenti, completo di produzioni che prestano attenzione ai dettagli e con una certa maturità nei brani.

Sei tracce (tra cui una con Kiko Bun) dotate un’affascinante aura che ti cattura durante l’ascolto. I testi rilassanti fluttuano e ondeggiano sulle basi jazzate cucite appositamente per la sua voce che fa risaltare il suo rap e il suo fiero accento londinese. La dimostrazione che è possibile trasformare la rabbia dell’hip-hop in arte e in abilità nel raccontare un vissuto pesante con raffinatezza e sapienza.

A Little Late EP è un inizio di buon auspicio per un prodotto che sebbene duri solo poco più di 17 minuti, è pieno zeppo di idee promettenti che proseguiranno in una carriera affermata che mantiene sempre lo stesso fascino e atmosfere.

 

Yesterday’s Gone, Loyle Carner, 2017

Siamo nel 2017, in pieno gennaio. Il suo primo disco è fuori. Potremmo considerare Yesterday’s Gone un po’ la guida alla vita di Loyle Carner. Candidato al Mercury Prize, gli Oscar della musica inglesi che, negli anni, hanno vinto gente come James Blake e PJ Harvey, per intenderci.

Scrutando bene nell’immaginario proposto dal rapper londinese in questo album troviamo descrizioni esplicite di un vissuto famigliare dolce ma difficile e sofferto, quasi esasperato a cui reagisce con tutta la sua forza. D’altronde, la cover del suo disco parla chiaro: sfondo seppia, con la famiglia al completo in posa di fronte alla propria abitazione (un vago richiamo a quella di To Pimp A Butterfly?).

loyle carner Yesterday's Gone

Il gradevolissimo accento londinese rende davvero il suo flow eccezionalmente scorrevole in ogni brano degli undici presenti (skits escluse). Tutti supportati da produzioni di pregevole fattura. Non è scontato avere un arsenale di suoni così armoniosi a disposizione per poter rappare della propria vita.

Ogni beat consta di pattern jazzati, chitarre (Ain’t Nothing Change) e vagonate di soul, anche grazie alla presenza di voci UK decisamente importanti come quella di Tom Misch (Damselfly). Ma anche un po’ di crossover con sperimentazioni funk (Stars and Shards, NO CD), ispirazioni gospel (The Isle of Arran), profondo blues (Mean It in the Morning).

Not Waving, But Drowning, Loyle Carner, 2019

Qui invece siamo in primavera di due anno dopo. Un album che mantiene salde le influenze musicali e liriche del primo ma apre Loyle al grande pubblico. Si dice che il secondo album sia sempre la sfida più complessa da vincere: promosso.

Not Waving, But Drowning presenta una cover con un deciso impatto visivo, tipico dei suoi progetti, dovuto anche alla preparazione acquisita negli anni dell’accademia come aspirante regista ed attore.

L’album prende il nome da una poesia di Stevie Smith, nella quale il poeta narra di un uomo che affoga di fronte all’incapacità degli astanti di capire se il dimenarsi dell’uomo sia una forma di saluto o una richiesta d’aiuto.

Mentre il suo debutto era incentrato sulle difficoltà affrontate durante la crescita, dovute al suo disturbo da deficit di attenzione/iperattività e perdite famigliari, in Not Waving, But Drowning troviamo un ragazzo più maturo, che, questa volta, interviene spesso tra un brano e l’altro, con brevi clip audio della sua vita personale, chiacchiere e risate. Per questo già il titolo stesso è in grado di offrirci una metafora ideale per la descrizione dell’album che è decisamente mitigato da un Loyle più sereno.

Vi è un evidente upgrade nella scelta dei feat che conferma la qualità del disco: Tom Misch, Jordan Rakei, Sampha, Jorja Smith (c’è spazio anche per sua madre, che romantico). Per ciò che ne concerne un aspetto rap-tecnico e di inventiva non troviamo variazioni. Mentre a livello strumentale c’è un nuovo e forte inserimento di sequenze di piano molto eleganti (Dear JeanOttolenghiStill), chitarre ancor più jazzate (Ice Water, Loose Ends), boom-bap old school, ottoni (Dear Ben), fruscii e carillon vari. Un esperimento crossover che rivela il Loyle perfezionista.

Prima di essere un artista, è un esempio di indipendenza, ospitalità, disponibilità e promozione al multiculturalismo. Ha sempre fatto della sua arte un posto comodo, una casa accogliente col camino acceso, dove sedersi e coccolarsi davanti al fuoco.

Loyle non è rancoroso nei confronti di chi lo ha deluso, o nei confronti di una società che delude molti, ma l’unione di rabbia e amore, dona alla sua voce una perfetta combinazione di forza e vulnerabilità.

La sua musica, il suo rap, sono inconfondibili e pieni di spunti di riflessioni interessanti sia dal punto di vista sociologico che artistico. Consiglio a chiunque stia leggendo questo articolo di ascoltare con attenzione i suoi dischi e curiosare nei vari riferimenti che vi ho lasciato.

Abbiamo bisogno di eroi buoni, abbiamo bisogno di Loyle.

Grafica di Lorenzo Alaia.