Analizziamo l’universo stilistico ed emotivo di Iris, singolo che ha preannunciato il ritorno di Speranza sulle scene.
Un ritorno in grande stile, sotto tutti i punti di vista: parliamo di Iris, il nuovo brano di Speranza pubblicato lo scorso 17 settembre e apripista di un nuovo album, di cui lo stesso artista ha annunciato la tracklist.
Il brano in esame si presenta evocativo sin dal suo nome: nel dizionario Etimo, infatti, l’Iris è “quella sorta di pianta che, ridotta in polvere ha un grato odore; ed è nominata dall’iride pel suo bel colore turchino“. Non solo: il termine, di origine greca, richiama l’omonima dea della mitologia, annunciatrice di messaggi funesti e personificazione stessa dell’arcobaleno (da qui, come appena accennato, deriva la naturale associazione con l’iride, la membrana che determina il colore dei nostri occhi). Insomma, già tanto basterebbe per evidenziare la maestria del rapper casertano, ma cresciuto in Francia, nel saper condensare, in una sola parola, l’essenza stessa del brano; più precisamente, Speranza ricorre a quello che, nella poesia provenzale, era definito senhal, cioè il nome fittizio utilizzato dai poeti per celare l’identità della donna a cui era rivolto l’omaggio o il componimento in questione.
E se il nome è sinonimo di presagio e di destino – ecco spiegato il celebre detto nomen omen – Iris nasconde nel suo inizio il racconto della fine: tema centrale del pezzo è, quindi, un rapporto sentimentale intenso e tormentato, fatto di quegli alti e bassi che solo chi ha vissuto, come Speranza, l’illusione di “un amore senza amore” può conoscere fino in fondo.
“Stiamo bene insieme perché stiamo male”
La prima strofa si apre con un emblematico saluto arabo, Salamu Alaykum vale a dire: “La pace sia su di voi“. Un attacco d’impatto, dal sapore vagamente mistico, al quale si contrappone un realistico “tu sappi che/rinchiudo delle cose apertamente dentro te“. Speranza, dunque, non la tira troppo per le lunghe: passa dal generale (“alla mia zona“) al particolare (“tu“) e immagina di fronte a sé la destinataria del suo monologo serrato: lo capiamo, ad esempio, dall’uso dell’interiezione (“Uè, uè“) e dal tono volutamente colloquiale (“fidati di me, ho dovuto fare per tre“), classici espedienti per richiamare l’attenzione.
La sentenza sulla donna è lapidaria: “Regina del mio cuore, puttana dei miei sogni”. Andiamo, però, oltre il significato letterale: sul Corriere della Sera, Paolo Fallai spiega come la parola “puttana” rimandi anche a “un’immagine dolce, come quella delle lucciole questi coleotteri che prendono il nome direttamente dalla lux (luce) emettono segnali intermittenti proprio come richiamo sessuale”. In questo senso, Speranza fa capire a chi lo ascolta quanto questa donna lo domini sia da un punto di vista emotivo (è, appunto, regina del suo cuore), sia da un punto di vista carnale: il desiderio di lei affiora di continuo nella sua mente, si fa scintilla in un campo di tenebre. Dev’essere sua, o niente: “Ti ammazzo gratis se mi sei amica”, prosegue il rapper e, attraverso il meccanismo del code switching (cioè il passaggio da una lingua ad un’altra mentre si fa un discorso), esprime la violenza dei suoi impeti (“E allora ij accarezz’ o’ grillett’/ colp’ a forma e russett’/ E fulmini ca te faranno mia, m’o ssent’).
Ovviamente, prima di tacciare Speranza di sessismo & co., ricordiamoci sempre che la dimensione in cui lo stesso si muove è letteraria, non reale; del resto, anche Oscar Wilde, nella sua Ballata del carcere di Reading (1897) sostiene che “ogni uomo uccide ciò che ama“: perché l’amore mette ognuno di noi, nessuno escluso, di fronte alla nostra natura più animale e a tutti quei sentimenti più reconditi e indicibili dell’animo. E in una storia che trova un equilibrio soltanto nei suoi affanni (“Stiamo bene perché stiamo male”), la parola “rancore” si identifica addirittura con il nome della donna (“Il mio rancore porta un nome/IRIS”) e con tutto ciò che d’inascoltato Speranza rinchiude nel suo cuore. E, si sa, quando un sentimento non ha la possibilità di essere, ci corrode dentro. Non a caso, la parola rancore trae origine dal latino rancor, ossia “rancido“.
Da un punto di vista prettamente stilistico, è importante notare come, in questa strofa, la narrazione risulti incalzante grazie all’uso di versi brevi, legati tra loro da rime baciate (grillett’: russett’; male: fatale) o assonanze (androne: nome; me: tre). In questo senso, anche l’anafora (“Ti ammazzo / Ti ho fatto ; “Nei miei testi / Nei miei scritti “) e l’allitterazione (“Apertamente dentro te”; “Nei miei testi resti l’essenziale“) contribuiscono a creare una catena di suoni ripetuti che riflette, a sua volta, l’ossessività dei pensieri e l’inquietudine di chi li racconta.
“Profumo micidiale chiuso in un cannone”
La seconda strofa si apre in crescendo: il rapper, infatti, si serve di una sorta di climax ascendente (metaforicamente, di una “scala”) per elencare una serie di gesti eclatanti che possano essere testimonianza del suo amore per la donna. Dai regali costosi ad atti che sfiorano il limite della legalità (“Ti scipperò la borsa da uomo elegante Brucerò ogni macchina/ è il gesto che conta”), l’obiettivo è chiaro: arrivare in quello “stato di ebbrezza” che tanto ricorda quella “pisquanica sensazione dell’infinito” descritta da Enrico Brizzi nel celebre romanzo di culto Jack Frusciante è uscito dal gruppo (1994). Parliamo, dunque, di quella condizione di intontimento che scavalca la razionalità e che porta i due amanti in un mondo (e in un modo) fuori dall’ordinario, in una follia di cui non si percepiscono i confini.
Ecco, allora, un nuovo code switching, questa volta in francese, che appare come una sorta di parentesi in cui Speranza lascia scorrere, come in flusso di coscienza, quelle intime paure legate ad una relazione dai risvolti sempre più oscuri e incerti. Perché, spesso, l’amore rivela l’odore di stantio di un vino andato a male (“Connais-tu l’arôme sur le bouchon de liège?/ Lui aussi, il est trompeur/ sur son âge te piège”) e, quando si arriva a questa consapevolezza (“Même dans l’relationnel/ J’t’avoue qu’des fois, j’ai du mal”), la penna diventa lo strumento più efficace per dare significato al proprio dolore e per salvarsi da tentazioni pericolose.
Al contrario, quindi, di ciò che afferma ancora una volta Wilde, secondo il quale la vendetta fisica rappresenta il giovamento massimo dell’uomo ferito (“Eppure ogni uomo uccide la cosa che ama c’è chi lo fa con uno sguardo amaro l’uomo valoroso con la spada!”), Speranza si affida alla scrittura per mettere nero su bianco i suoi tormenti ed esorcizzarli. Di Iris rimane così quel “profumo micidiale chiuso in un cannone”. E se pensiamo al fatto che la parola micidiale derivi da micidio (ossia “omicidio”) e che significhi “capace di provocare la morte”, tutto torna: il rapper inscena sul piano letterario un atto violento contro la donna (“Fai il caffè ai carabinieri/ Prego, è lei che mi ha messo ai domiciliari”) per far sì che lo stesso non prenda mai forma nella vita reale.
Osservando l’aspetto stilistico, la struttura metrica della seconda strofa risulta più irregolare rispetto alla prima: poche le rime (come la rima al mezzo ebrezza: bellezza), tranne nella parte in francese, in cui prevale quella alternata (nage: blanche: page: planche), qualche assonanza, diverse allitterazioni (” nello stato di ebrezza/ a nozze la bellezza “; “nel milione trovi il meglio e mai il migliore”), un’annominazione (conto: scontando), una figura retorica spesso identificabile con la paronomasia consistente nell’accostamento di parole che possiedono la stessa radice etimologica, ma un diverso significato. L’instabilità dell’andamento metrico rispecchia l’incapacità, da parte dell’autore, di saper controllare i propri stati d’animo: solo l’osmosi sonora amore:rancore sembra risolvere i dissidi emotivi e formali.
“Ogni riferimento è puramente fatto apposta”
Nell’outro, dunque, i due piani narrativi si avvicinano, fino a coincidere del tutto: Speranza precisa che “ogni riferimento a cose o persone/ È puramente fatto apposta”. Il disclaimer utilizzato al termine dei film per indicare un’esclusione di responsabilità da ciò che si racconta, in questo caso appare completamente ribaltato: nulla è lasciato al caso, tutto è nelle mani di chi scrive per quello che sente e pensa.
In questo senso, il rancore, “sentimento molto più sincero, più profondo“, apre le porte ad obiettivi più grandi, a sogni di gloria (“Mentre pensi a conquistare lei, penso a conquistare il mondo”), a quella fame di vita che l’amore non ha saputo – e forse, non saprà mai – compensare.
Personalmente, credo che Iris rappresenti un punto di svolta nel percorso stilistico di Speranza: lo sguardo sui contenuti è più ampio e si percepisce una maggiore consapevolezza nell’alternanza delle lingue. A tutto questo si aggiunge quell’immediatezza espressiva che da sempre contraddistingue il rapper e che, quindi, dà vita a una narrazione dell’amore quasi anticonvenzionale e più autentica. Il rancore, infatti, è un sentimento puramente umano, e Speranza lo affronta senza paura, né vergogna. Del resto, scriveva Terenzio: Homo sum, humani nihil a e alienum puto. Sono umano, niente di ciò che è umano ritengo estraneo a me.
Grafica di Mr. Peppe Occhipinti.