In occasione dell’uscita di 17, siamo riusciti ad incontrare Emis Killa e Jake La Furia per una breve intervista sul disco, rilasciato oggi 18 settembre.
Se vivete a Milano e girate per le vie con quella soglia minima di attenzione necessaria a non prendervi un palo in fronte mentre scrollate compulsivamente il vostro feed di Instagram, siamo abbastanza certe che negli scorsi mesi anche voi non avrete potuto fare a meno di notare quei manifesti sibillini che tappezzavano la città e che recavano solo due scritte: Venerdì 17, ore 17.
L’attesa si è fatta naturalmente spasmodica e le ipotesi azzardate sono state le più svariate. C’era un particolare però che rendeva improbabile qualsiasi altra elucubrazione, ed era proprio quel 17. 17 come la data di nascita dei loro figli e come il tatuaggio che entrambi portano sul volto. 17 come il titolo del nuovo joint album di Emis Killa e Jake La Furia, fuori oggi per Sony Music. Un disco anelato da tutti i fan del rap fatto in un certo modo e frutto di un profondo rapporto di amicizia fra i due, oltre che di una stima artistica reciproca.
Negli scorsi giorni siamo riuscite ad incontrare a Milano Emis e Jake per un’intervista, e con loro abbiamo parlato di social, attitudine di strada e del rapporto (molto discusso) con le donne.
Come nasce l’idea di un disco insieme e perché proprio ora?
Jake La Furia: «Ci è venuto in mente perché siamo amici da un sacco di tempo e oltre che una stima personale tra di noi c’è una stima artistica. In realtà ne abbiamo sempre parlato, anche se un po’ ridendo, alla fine però siamo riusciti a trovare uno slot in cui entrambi eravamo liberi e abbiamo avuto il tempo di andare in studio. Tra una cosa e l’altra – scrittura, scelta dei beat – ci abbiamo messo quasi un anno e abbiamo finito proprio a marzo. Che c*lo, eh?»
In questo periodo sentiamo molto spesso parlare di un ritorno del rap in senso stretto: avete scritto questo disco per ribadire anche voi che il rap si fa in un certo modo – e dunque avvicinare un pubblico più nuovo e abituato ad un altro tipo di suoni e ad un altro modo di intendere il rap – o lo avete fatto pensando al vostro pubblico più affezionato?
Emis Killa: «Tutti e due. Secondo me più che cercare di convincere gli altri che il rap è questo, è più una cosa fatta per la nostra gente, per quelli che ci hanno sempre ascoltato e che magari con l’età si sono un po’ allontanati dalla musica. Il senso non è convincere qualcuno che la musica si fa così, quanto più fargliela proprio scoprire, perché magari tanti giovani neanche sanno chi erano i Club Dogo o cosa ha fatto Emis Killa prima di questi ultimi anni. Questo secondo me è un bel compromesso perché è un disco rap, scritto da due rapper che hanno un’attitudine e un background di un certo tipo ma che ha dei suoni che si trovano a metà strada: non è il disco fatto coi samples campionati o i breakbeat, ha se vuoi delle sonorità anche trap, solo che noi ci rappiamo sopra.»
Jake La Furia: «Prima di tutto è un disco fatto per noi, l’abbiamo fatto perché fondamentalmente avevamo voglia di rappare.»
Nel 2020 si sentono quasi più rapper che parlano di strada senza averla veramente vissuta piuttosto che viceversa. Cosa ha portato secondo voi questi giovani ad appropriarsi di situazioni, argomenti, termini e simboli che non gli appartengono e che conseguenze può avere parlare di strada senza cognizione di causa?
Emis Killa: «Le conseguenze a cui può portare parlare di strada senza averla veramente vissuta sono gli episodi spiacevoli che si sono visti ultimamente. Se tu vuoi contaminarti di quella roba e vuoi spacciarti per uno di quel mondo ma non ne fai parte, finisce che arriva uno che dalla strada ci viene davvero e ti spacca il c*lo… Questa l’avevo sentita da te (rif. a Jake, ndr) in un’intervista su un magazine anni fa, quando ero ragazzino. Bisogna sempre stare attenti: anche io e Jake – che comunque abbiamo bazzicato e bazzichiamo ancora gli ambienti della gente di strada – parliamo molto spesso di quelli che ci stanno attorno e parliamo molto meno di episodi che ci sono accaduti in prima persona. Io non dico che ti sparo addosso o ti vendo la coca, perché non è vero e non sarei credibile. Una volta forse era meno rischioso perché non c’era tutta questa esposizione mediatica, ora con le Instagram Stories è un attimo che stai sul c*zzo a tutti, anche a chi banalmente non ascolta rap. E poi alla fine non solo becchi gli schiaffi, ma se hai basato la tua carriera e la tua immagine sul fare il thug e poi vieni smascherato, fai anche una figura di m*rda.»
Jake La Furia: «C’è anche un discorso da fare a monte, ossia che nessun vero criminale fa il rapper e nessun vero rapper fa il criminale. Per fare il rapper devi avere comunque una base di interessi, di cultura e di capacità di scrittura che non devono cozzare con la voglia di fare altro. Poi sì, i due mondi si incontrano spesso per svariati motivi – l’appartenenza geografica ad esempio, per cui io sono nato in quartiere e tutti i miei amici magari sono dei disgraziati – ma è difficile poi che si mischino. La verità dei rapper che raccontano la strada viaggia sempre sul confine: tu racconti una realtà in cui vivi, ma non sei tu che prendi il mitra, tu fai il rapper e stai raccontando le situazioni in cui vivi. Il vero rischio nel parlare di strada senza conoscerla è risultare ridicolo, e adesso se sei ridicolo diventi famoso finché non arriva il prossimo ridicolo, ma una volta se eri ridicolo rimanevi ridicolo. Il pezzo No Insta parla proprio di questa cosa, dell’opposizione al mondo super fake di Instagram in cui devi sempre esagerare. Ormai purtroppo – e questo scrivilo in grande – Instagram è pieno di video di rapperini che vengono inseguiti dalla gente per strada che li prende a calci. A me questa cosa non succede, evidentemente loro hanno prodotto qualcosa che non è stato ritenuto credibile dalla gente.»
Emis Killa: «A me capita di andare in quartieri in cui c’è veramente gente che vive la strada – ad esempio sono stato a Secondigliano a girare il video con Geolier – ma la gente mi rispetta perché capisce che sono uno che sa stare al proprio posto: io sono una persona a modo, non vado lì a fare lo spaccone, anche perché poi risulterei quasi irrispettoso nei loro confronti. Quello che la gente non capisce è che essere di strada non vuol dire essere un balordo, ma vuol dire venire da un contesto popolare. Quando sei così, quelli di strada ti rispettano tutti, dai bravi ragazzi ai non. Se poi devo dire una cosa al massimo la dico in una canzone perché il contesto musicale è figo. Fare il pagliaccio su Instagram invece non è figo.»
A proposito di No Insta: come vi rapportate con i social e come pensate li utilizzereste se foste oggi degli adolescenti?
Jake La Furia:«Io in realtà non saprei risponderti perché sono proprio anti-social. Io penso che i social network siano la rovina del mondo, li uso solo per sponsorizzare le mie cose e per postare a volte qualche ca*zata, ma per il resto non li so usare, non li voglio usare e non me ne fotte neanche un c*zzo, anzi spero che un giorno si spengano magicamente. Per me i social network non hanno fatto altro che dare libero sfogo alle parole di tutti, anche quelli che non sanno niente di niente possono scrivere quello che vogliono e vengono ascoltati da fessi come loro che li credono dei profeti. È un posto pericolosissimo perché è senza regole, e un posto senza regole può andare bene quando la gente non prende sul serio quello che c’è scritto, solo che ormai questa cosa ha influenzato tutto, dalle elezioni all’opinione pubblica e secondo me il fatto che un milione di persone possano muovere un pensiero depensante è una cosa gravissima che andrebbe regolamentata. Anche se avessi vent’anni non mi interesserebbe niente dei social in ogni caso.»
Emis Killa: «Per me l’unico modo per starci lontano è non aprirli e non guardarli. Tante volte mi prometto di non farlo, ma poi leggo delle robe che mi fanno girare i c*glioni e mi bolle il cervello. Io vedo proprio come tutte le persone vengano influenzate e se non sei abituato possono veramente condizionarti l’umore in malo modo e ti feriscono. Magari a me scrivono “v*ffanculo”, “venduto”, “faccia di c*zzo” ma la cosa non mi tocca perché sono 20 anni che me lo dicono, ma se non sei abituato ti manda in sbatti. Io ho visto gente starci male, e se non capisci che quella persona lo fa su internet ma di persona non lo farebbe mai, ti senti come se fossi in strada e la gente ti stesse insultando.»
Vorremmo soffermarci un attimo su Toro Loco. Recentemente abbiamo intervistato un’attivista che si occupa – tra le altre cose – del rapporto che intercorre tra hip hop e femminismo e con lei abbiamo parlato del fatto che l’uso di un linguaggio sessista in un pezzo rap metta inevitabilmente in discussione la libertà di una donna di partecipare ad un contesto hip hop. Mi rivolgo ad Emis: pensi che alcune cose che hai scritto in questo brano possano precluderne l’ascolto a una donna e possano andare ad alimentare le polemiche che ti hanno visto protagonista negli scorsi mesi?
Emis Killa: «In veste di quello che è successo sui social ti dico che ormai di quello che dicono non mi interessa niente. Dopo che si crea una polemica perché ho detto che per me è giusto che un uomo paghi il conto alla propria donna, capisco che ormai vale tutto. Per quello che mi riguarda no, cioè dai, chi è che se la dovrebbe prendere seriamente per un pezzo del genere? È un pezzo giocoso, ci sono tante ragazze che mi hanno scritto “Quel pezzo mi piace di brutto”, non puoi prenderti male solo perché a me piacciono le donne. Io con le donne ho un rapporto fortunatamente molto aperto, sicuro e confidenziale, quindi ho un sacco di amiche donne che si confidano con me e ti garantisco che a volte i discorsi che fanno le donne inerenti al sesso sono anche peggio di quelli che fanno gli uomini. Perché ogni volta che esce Emis Killa e fa un pezzo come Toro Loco bisogna mettere la lente di ingrandimento su ogni cosa che viene detta? Questa roba per me non può fare niente di che e se la tua sicurezza femminile viene minata da un pezzo di Emis Killa tu hai un problema ben più grosso con te stessa.»
Jake La Furia: «Io vorrei aggiungere che secondo me è arrivato il momento, o se non è ancora arrivato è importate che arrivi, che senza doverne fare una questione di stato si possa parlare di scopare senza che ai rapper venga rotto il c*zzo per qualsiasi cosa dicano. Non si sta parlando di massimi sistemi, e nemmeno si sta dicendo che le donne sono delle tr*ie: si parla di un rapporto consenziente tra un uomo e una donna a cui piace scopare, e io spero che arrivi il giorno i cui si potrà sputarsi addosso da consenzienti senza rotture di c*glioni. È importante che lui possa fare un pezzo in cui dice determinate cose – anche se tremende, perché la barra a cui ti riferisci è tremenda anche per me – proprio perché stiamo parlando di sesso, e dunque di una cosa leggera. Se ci dobbiamo mettere alla pari dobbiamo metterci alla pari anche per come parliamo, e da due che le donne un po’ le conoscono, ti assicuriamo che lo siamo.»
Purtroppo il tempo a nostra disposizione non ci ha permesso di esaurire tutte le domande in programma; ringraziamo comunque Emis Killa e Jake La Furia per l’intervista e vi invitiamo ad ascoltare 17, il nuovo album a quattro mani dei due rapper, rilasciato in data odierna.
Intervista a cura di Jessica Mandalà e Greta Valicenti