Una bella intervista con L’Elfo, autore di un album da ascoltare attentamente.
Dopo tanta attesa e, anticipato da diversi singoli, Vangelo II Luka, il nuovo disco de L’Elfo, è fuori. Composto da sedici tracce e sette featuring, l’album, primo in major, è un racconto molto dettagliato della vita e delle esperienze vissute dal trentenne di Catania.
Noi di Rapologia, abbiamo avuto l’onore e l’occasione di incontrarlo, nella sede milanese di Universal Music, e di ascoltare i suoi pareri sul disco e non solo.
A seguire ciò che ci ha raccontato. Buona lettura.
Ciao Luca, benvenuto su Rapologia. Sei da poco tornato a Real Talk, stavolta in studio. Ci parli di questa esperienza?
«Ciao, grazie mille. Solo a nominare Real Talk mi sento bene, Khaled e i ragazzi hanno sempre creduto nel mio potenziale e nelle mie capacità, difatti, dopo aver registrato la versione Street, ci hanno tenuto a portarmi in studio. Le due esperienze sono state molto emozionanti e sono state una certificazione del mio lavoro, sicuramente però sono state differenti l’una dall’altra. Se Real Talk Street è come dare un esame in via telematica, la registrazione in studio equivale all’esame davanti ad una commissione, infatti ero molto teso. Sono contento che ci sia stato un ottimo riscontro e che la gente abbia apprezzato la puntata.»
Nel disco sono presenti alcuni dei massimi esponenti della scena freestyle e in passato hai fatto feat. con Shame, Reiven e altri. Avverti un’alchimia ed un senso d’intesa maggiore con i freestyler? Oppure sono semplici attestati di stima?
«Sicuramente sono degli attestati di stima, come tutti i featuring che hanno accompagnato la mia carriera. Con Ensi e Clementino, per esempio, siamo amici da anni, con Cromo abbiamo avuto il piacere di conoscerci durante un live di Vacca, a Milano, quindi non si tratta di collaborazioni create a tavolino. Per quanto riguarda freestyler storici come Ensi e Cleme, ovviamente c’è un rapporto diverso per il semplice fatto che loro si ricordano di me quando ero più piccolo e facevo freestyle ai contest. Quindi sì, c’è dell’alchimia; Ensi poi è super fan del fatto che io sia catanese.»
Ascoltando la tua discografia con attenzione si nota che sei passato dall’avere gli occhi addosso “manco fossi un bel ragazzo“, all’avere gli occhi addosso “manco fossi una bella figa“. Si può interpretare come un aumento di notorietà?
(Ride, ndr) «Sì, il mio percorso è particolare, non ho mai avuto un’esplosione netta di successo come può succedere ai rapper giovani oggi, piuttosto ho avuto e sto avendo una crescita graduale e costante, ma molto solida. La cosa che mi fa più piacere è che la gente, mano a mano, si sta accorgendo di quanto la mia musica sia specchio di me stesso, e viceversa, e che non è cambiato nulla da quando ero uno sconosciuto. Rappavo prima e rappo ora, sicuramente negli anni sono maturato artisticamente e adesso ho più esperienza.»
A parte gli scherzi, il Vangelo II Luka ha un ritmo altalenante, diviso tra l’aggressività e l’introspezione, tra la cupezza e la sincerità. Rispecchiando a pieno il principio di Gipsy Prince. Un caso oppure una dimostrazione di coerenza?
«In realtà io sono semplicemente così, la musica rispecchia la mia personalità che è caratterizzata da questa sorta di bipolarismo. Passo da stati di euforia a profonda tristezza e depressione. Questo chiaramente si riversa nei miei testi e nei miei dischi. In quest’ultimo, come nei precedenti, ci sono pezzi in cui si sente che sono incazzato e spaccherei il mondo, e altri in cui mi metto a nudo e mostro le mie debolezze, facendo anche capire che non sono così diverso dagli altri esseri umani.»
Ennesimo lavoro a quattro mani con Funkyman. Si può iniziare a parlare di zona comfort?
«Assolutamente sì. Funkyman per me è stata una bellissima sorpresa, in lui, prima ancora di trovare un produttore fortissimo, ho trovato una persona molto professionale. Io non ho mai avuto accanto qualcuno che riuscisse a stare dietro ai miei ritmi frenetici di scrittura e registrazione. Funkyman invece ha creduto nella mia follia, e io sono contento di scalare questa montagna insieme a lui.»
In alcuni brani del disco, ma anche in qualche traccia passata, vi sono riferimenti più o meno velati alla salute mentale. Pensi che il rap possa aiutare a parlare di certi argomenti? Cosa ne pensi dell’abuso di psicofarmaci che si palesa nei profili social o nei brani di alcuni rapper?
«Riferimenti velati pochi (ride, ndr). In questo disco parlo molto di depressione, droghe e farmaci. C’è però una differenza sostanziale tra me e questi rapper di cui parli: io quando parlo di queste cose lo faccio con sofferenza, perché purtroppo mi è capitato di dover arrivare così al limite, da dover ricorrere all’uso di queste sostanze. La loro è più una brutta propaganda: mi sballo, così ti faccio vedere quanto sono figo.»
In una traccia del disco ricalchi il fatto di non esserti spostato dalla tua città, Catania, ma di avercela fatta ugualmente. Ti senti miracolato o eri sicuro di riuscire ad arrivare a determinati numeri? Ti sposteresti mai a Milano? Ed infine, c’è qualche altro rapper siciliano che merita di firmare per una major?
«Non pensavo di arrivare a questi numeri e a questa notorietà, soprattutto a Catania, ma non mi sono mai sottovalutato. Già da ragazzino, quando scrivevo canzoni e partecipavo alle gare di freestyle, ero consapevole che prima o poi, le mie capacità mi avrebbero portato da qualche parte, e che la scena rap si sarebbe accorta del mio talento. Essendo cresciuto con l’hip hop, sapevo che la mia musica era forte, e questo successo, arrivato da un miracolo che io stesso ho permesso accadesse, ha aiutato anche la mia città. In generale sono una persona che non trova stimoli in luoghi particolari, a volte nemmeno a Catania, però non ho veramente alcun motivo per spostarmi qui a Milano. Ogni tanto ci vengo con il mio manager, Gianluca, per lavoro e interviste, ma sono nato a Catania e voglio morire a Catania. Per quanto riguarda la Sicilia, io non vedo talenti veri che meritino di firmare un contratto discografico. Sicuramente c’è gente che sta lavorando per iniziare a collaborare con una major e non mi stupirei se una di queste prendesse qualche ragazzo della mia regione, dato che dopo il successo della mia musica, partita da Catania, penso che le porte si siano aperte e che ci siano possibilità per tutti.»
Vista la tua discografia, la traccia con Ludovica Caniglia, Filo Spinato, risulta la più atipica. Ci parli di com’è nata questa collaborazione?
«Io e Ludovica ci siamo conosciuti tramite un’amicizia in comune, poi ho scoperto della sua partecipazione ad Amici. Ho sentito dei suoi brani e dei suoi provini, e ho pensato di inserirla all’interno di questo disco perché, sentendo delle basi, immaginavo che un suo ritornello avrebbe suonato bene. La canzone può risultare atipica per sonorità, perché L’Elfo, abitualmente, viene identificato in un certo tipo di testi street e basi crude, ma è solamente un’illusione. Questo tipo di tracce hanno una musicalità un po’ più pop, ma mantengono i testi cupi e profondi. Io sono orgoglioso di come, attraverso la mia esperienza e la maturità artistica sviluppata negli anni, sono riuscito a scrivere un brano del genere, mantenendo comunque il mio stile crudo. Ad oggi riesco a fare tutto, senza snaturarmi, in modo da arrivare a qualsiasi tipo di pubblico.»
In James e Alyssa, traccia, secondo il nostro parere più sentita del disco, ti impersoni in James, caratterizzato da un carattere freddo e la convinzione di essere psicopatico. Insomma, un personaggio nel quale difficilmente ci si rispecchia. Come nasce l’idea?
«Ad esclusione di qualche horror e qualche trashata, io non sono un amante e un cultore di film e serie TV. Gianluca però mi ha consigliato The End Of The F***ING World, e io ne sono rimasto colpito e ho rivisto nei due adolescenti, le difficoltà di comunicare e di capirsi, che ho provato in passato e provo tutt’ora. Sono due personaggi molto strambi, e nella loro ingenuità arrivano a fare cose orribili, quindi mi sono ispirato per la scrittura di questo brano.»
A proposito, cosa consiglieresti a chi ti chiedesse come scrivere una canzone rap?
«Bella domanda. Io sono dell’idea che un ragazzo che si vuole approcciare al rap, debba scrivere esattamente quello che è e quello che sente, senza basarsi su quello che potrebbe piacere o potrebbe funzionare. Purtroppo questa tecnica di fare musica per ottenere dei risultati garantiti, è una moda dei giorni nostri, ma allo stesso tempo fa intendere che sia tutto falso. Io non so poi, come queste persone facciano a guardarsi allo specchio, non ha senso atteggiarsi nei panni di criminali se non lo si è nemmeno lontanamente. L’ego trip del rap ci sta, lo faccio anche io da sempre, ma il fatto di aprirsi e di creare delle immagini, può aiutare chi ascolta, a riconoscersi nelle parole scritte e quindi in determinate situazioni. Consiglio di approcciarsi alla scrittura con un metodo old school, mentre dalla nuova scuola si può imparare ad essere decisi se si vuole arrivare a raggiungere un determinato obiettivo.»
Nonostante la situazione attuale, come vedi la dimensione live?
«Innanzitutto spero di poter portare questo disco dal vivo al più presto. Se con Gipsy Prince mi sono divertito molto durante i live, Vangelo II Luka lo reputo un album maturo e quindi credo che sul palco avrà lo stesso impatto, anche verso chi ancora non conosce la mia musica.»
Per chiudere vorrei chiederti quali ascolti ti hanno ispirato nella scrittura del disco. Hai qualche consiglio musicale per i nostri lettori?
«Rispondo ad entrambe le domande con un unica risposta. Mi sono innamorato follemente di XXX Tentacion e Lil Peep. X prima di morire ha lasciato dei lavori molto originali, dal pop, all’indie, alla trap. La combinazione tra lui e Peep è stata fenomenale, ed è l’unica cosa che mi ha emozionato veramente e stimolato negli ultimi anni. La loro sofferenza era molto tangibile musicalmente e per uno come me, molto fan degli artisti che scrivono liberamente delle proprie debolezze, la loro musica ha significato tanto.»
Vangelo II Luka è fuori ovunque. Puoi ascoltare l’album, se vuoi, anche qui sotto in streaming:
Intervista a curia di Cosimo Salonna e Simone Scaccabarozzi.