Confezione impeccabile ma resa modesta: “The Album” di Teyana Taylor promette e non mantiene.
Forma e Sostanza è il titolo di un vecchio brano dei C.S.I., storica band italiana attiva soprattutto negli anni Novanta. Ma è anche un binomio che tanti artisti faticano a rendere concreto. È il caso di Teyana Taylor, tornata sulle scene musicali lo scorso 19 giugno con The Album, pubblicato dalla GOOD Music di Kanye West. Una data non casuale, quella scelta per l’uscita del disco, data in cui si commemora la fine della schiavitù in America. Basterebbe questo per pensare ad un lavoro impegnato, intriso di temi sociali e politici. Niente di più sbagliato, invece.
The Album è un disco indubbiamente ben confezionato, strapieno di ospiti: Erykah Badu, Quavo dei Migos, Missy Elliott, Future, Lauryn Hill, quasi una sorta di Nazionale dell’R’n’B a stelle e strisce. Ma, così come in molti altri dischi del genere, manca un ingrediente fondamentale, ovvero l’anima, il soul, il vero soul. E non può mai essere una carenza di poco conto. Qualcuno ribatterà che la Taylor, come tanti suoi colleghi, mira solo ad intrattenere, senza pensare minimamente di poter gareggiare con i grandi artisti afroamericani del passato. Ma qui siamo ben lontani anche dai livelli di big contemporanei come la stessa Badu, che presta la voce ad una sorta di riedizione della sua Next Lifetime, nel brano Lowkey: non indimenticabile, ma comunque non disprezzabile ed anzi tra i pezzi da salvare dell’opera.
Siamo, dunque, in presenza di un album di onesto black pop commerciale: ambizioso quanto vacuo nei contenuti, esageratamente prolisso (23 brani spalmati su 77 minuti di durata) e dall’ispirazione a dir poco altalenante. Teyana canta bene, balla da dio (normale, se pensiamo che ha iniziato la carriera facendo la coreografa per una certa Beyoncè…), ma non ha ancora sviluppato una proposta musicale coerente e pienamente riconoscibile. La parte migliore di questo The Album è senz’altro quella finale. Dicevamo della povertà di contenuti, riscattata parzialmente dal dittico conclusivo formato dai brani Made It e We Got Love.
Il primo è un esercizio pop ben riuscito, il secondo un rap marziale con un inciso stile gospel e la partecipazione della musa ispiratrice Lauryn Hill: entrambi vanno annoverati tra i pochi pezzi con liriche interessanti. “Love is the new money“, frase contenuta in We Got Love, sarebbe un bello slogan, o anche hashtag se preferite, in questi tempi così cupi e incerti.
Si mantengono su un livello più che dignitoso anche Try Again, How You Want It, brano quest’ultimo che vede la partecipazione di King Combs, figlio di P. Diddy e sorretto da un videoclip pieno di omaggi all’hip hop mainstream (genere di cui proprio Combs senior era una delle stelle indiscusse); Wake Up Love col suo languido incedere e l’intermezzo di Imam Shumpert, il marito di Teyana, cestita dei Brooklyn Nets e rapper a tempo perso.
What else? Nella brevissima Bad la Taylor si cimenta col raggamuffin e non è niente male: ti aspetti che da un momento all’altro salti fuori Rihanna, che in certe sonorità caraibiche ci sguazza. Da dimenticare, invece, la lunga parte centrale del disco, in cui la qualità precipita, letteralmente, anche a causa di una serie di brani-fotocopia. The Album si divide in cinque parti, una per ogni lettera della parola album: amore, sessualità, autostima, vulnerabilità e successo i temi trattati (il secondo in maniera a dir poco esplicita). La sovrabbondanza del materiale finisce, ad ogni modo, per compromettere la riuscita dell’opera.
Non basta far uscire il tuo disco nel giorno del Juneteenth o pubblicare una copertina ispirata all’icona black Grace Jones per guadagnarsi il plauso della critica. La verità è che The Album, nella sua magniloquenza, rappresenta soprattutto un’occasione persa. Ma provaci ancora, Teyana.