Per la rubrica Back in the Days, vi abbiamo parlato di Supa Dupa Fly di Missy Elliott, uscito nel lontano 1997.
Questa storia inizia nel 1993, quando Melissa Elliott fece il proprio debutto nell’industria musicale come ospite di Raven-Symoné in That’s What Little Girls Are Made Of.
Il brano lanciò la giovanissima Raven e Missy si occupò sia della scrittura che della produzione. Come da routine, l’etichetta mise in cantiere un video, che però non vide mai la partecipazione della rapper: questa, infatti, fu sostituita da una ragazza che recitò il suo verso in playback.
Missy Elliott non fu nemmeno informata del fatto che le riprese fossero in atto: “la sua immagine” – infatti – “non si addiceva a quella che la label cercava“. Melissa non rispettava i canoni estetici imposti dall’industria musicale e fu completamente messa da parte.
Nonostante questo, gli anni successivi riservarono diversi successi a Missy Elliott, la quale divenne ben presto una delle autrici più richieste sul mercato. Infine, nel 1997, arrivò il turno del debutto da solista con Supa Dupa Fly: un manifesto estetico, musicale e creativo.
Vera e propria dichiarazione d’intenti, Supa Dupa Fly è portatore di un messaggio ancora attuale.
Anzitutto, con questo album la rapper volle celebrare la stessa immagine che l’industria musicale aveva tentato di nascondere. Protagonista non era la bellezza stereotipata definita dalle dinamiche consumiste della società, ma quella eterogenea frutto dell’individualità.
Si creò quindi un contrasto tra il modello fornito da Missy Elliott e l’estetica iper-sessualizzata di Lil Kim e Foxy Brown, che in quegli stessi anni divennero icone della musica rap. Tuttavia, la proposta di Melissa non intendeva sostituirsi alle altre imponendosi come standard unico: la rapper volle infatti rappresentare un panorama variegato in cui realtà diverse potevano coesistere.
In secondo luogo, un manifesto musicale. Supa Dupa Fly si presentava come un lavoro eclettico e futuristico. Definito dalla critica come un “boundary-shattering postmodern masterpiece“, il disco mischiava r&B, hip-hop, soul e musica elettronica per un risultato esplosivo e fuori dagli schemi: controcorrente proprio come la sua creatrice.
Il progetto diede modo a Missy Elliott di dar prova della propria versatilità: non solo autrice e produttrice, ma anche cantante e rapper allo stesso tempo. In sostanza, un’artista che aveva il controllo totale e incondizionato sul processo creativo della propria musica.
Infine, un manifesto creativo. I filmati che accompagnarono la promozione del disco misero subito in chiaro che Missy Elliott avrebbe cambiato persino il modo di concepire e girare i video musicali. Questi infatti non erano semplici mezzi per vendere il suo lavoro, ma una parte fondamentale e imprescindibile della sua arte.
Con i propri videoclip, la rapper rese “ordinarie” le stramberie più disparate come riprese in fish-eye, ambientazioni gotiche ed outfit robotici. Un altro modo per celebrare la propria unicità e dimostrare al mondo che essa è l’unica risorsa da coltivare e promuovere.
Supa Dupa Fly di Missy Elliott era – e rimane tutt’ora – una magistrale dichiarazione di intenti: un vero e proprio programma culturale, se volessimo rifarci al significato letterale di «manifesto». L’artista volle rendere nota al mondo la propria missione: combattere una mentalità che scartava chi non si uniformasse ai diktat della società.
Quanta attualità in un disco del 1997.