The Goat, a dispetto del banale titolo, si dimostra essere un lavoro molto profondo e completo: può essere la conferma di Polo G?
Ormai, siamo super abituati a rapper più o meno emergenti che si autoproclamano i migliori di sempre. Quindi, probabilmente all’uscita di un album intitolato The Goat, in molti avranno pensato di avere a che fare con l’ennesimo esempio di trapper che vuole solo ostentare il suo status in un video pieno di vestiti costosi e gioielli, mettendo in secondo piano la musica.
Invece Polo G, rapper ventunenne di Chicago, ci mostra con questo suo secondo lavoro, una profondità di animo, di scrittura e di malinconia, che lo portano a contraddistinguersi all’interno della nuova generazione di rapper americani.
Il suo album di esordio Die a Legend (2019) gli aveva fatto guadagnare un discreto successo, con la certificazione di Disco d’Oro dalla RIAA. Il merito del traguardo è stato soprattutto il successo del singolo da esso estratto Pop Out, 4x Platino RIAA. Proprio nel suo primo album già si intuiva il potenziale del ragazzo, neanche ventenne, che riusciva ad affiancare hit virali come il singolo succitato, a pezzi più introspettivi.
Se con il primo album di Polo G si poteva pensare a una meteora, dal 15 maggio, con l’uscita di The Goat sono in diversi a pensare che si tratti una conferma.
Con il secondo album, questa capacità artistica viene messa ancora di più in luce, riuscendo a creare un disco completo – secondo il parere di chi scrive – all’interno del quale riesce a toccare temi personali e profondi, senza farsi mancare qualche barra su orologi e brand costosi.
I due elementi che identificano maggiormente i pezzi di Polo G, sono il flow serrato (talvolta un po’ monotono) e la scelta delle beat, caratterizzati quasi tutti dall’uso di piano o chitarre. Questo li rende particolarmente melodici e adatti ad essere accompagnati da testi più introspettivi rispetto ai beat trap usati rapper della nuova generazione. Grazie a queste sue caratteristiche, Polo G viene ora considerato come uno dei maggiori esponenti della nuova scena Drill di Chicago.
Già la prima traccia del disco, che serve da introduzione all’album, ci fa capire di che pasta sarà fatto l’intero lavoro di Polo G. Il rapper ci racconta chiaramente che anche lui, come noi, sente parlare in continuo di rapper che si autoproclamano i migliori di sempre (The Goat). Polo, però, fatica a credere e ad immedesimarsi in loro: impiega tutto un album a raccontarci le sue fragilità umane, i suoi desideri da ragazzo, i momenti di difficoltà, l’amore, il desiderio di uguaglianza razziale, la voglia di far vedere ciò che è riuscito a realizzare. Il titolo per questo motivo può trarre in inganno: non è autoproclamazione, bensì è una denuncia a tutti i rapper che ostentano orgoglio a discapito delle loro fragilità.
Il disco, nella sua interezza è un ritratto a 360° della vita di Polo G, nel quale ci mostra anche (e soprattutto) le debolezze che altri giovani rapper tendono a omettere.
Le collaborazioni
Nel corso dei quaranta minuti seguenti la traccia introduttiva, possiamo godere di diversi featuring sempre in linea con il mood del pezzo.
Ritroviamo il compianto Juice WRLD, scomparso a gennaio 2019, presente anche in un’altra collaborazione postuma. Ci sono DJ Mustard, Stunna 4 Vegas e NLE Choppa nel singolo Go Stupid che aiutano a mostrare il lato da Party Smasher di Polo su una produzione di Mike WiLL Made-It. Contrariamente, troviamo Lil Baby in grado di mettere in luce un lato molto introspettivo di Polo. Infine, nell’ultima traccia dell’album, troviamo BJ the Chicago Kid.
L’impegno sociale di Polo G
Proprio questa traccia è quella che sicuramente maggiormente le attenzioni: il suo titolo è Wishing For A Hero, una rivistazione di Changes di Tupac. Fa un po’ sorridere che un ragazzo di 20 anni si prenda la responsabilità di scomodare un mostro sacro del suo calibro.
Il pezzo in questione prende proprio ispirazione nel testo da quello di Mr. Shakur, oltre che nel sample. Così come l’originale di Pac, nelle strofe di Polo G si parla di oppressione e di diritti, con riferimenti ai torti subiti dagli afroamericani da parte della società e della polizia, avvalendosi di citazioni di attivisti come Martin Luther King e Malcom X.
Rappare su una base così famosa, di un rapper culto, che tocca temi così delicati come il razzismo, di sicuro non è facile. Il rischio di fare una passo falso e rovinare un Classico era alto. Polo G dimostra invece di cavarsela alla grande sia dal punto di vista tecnico, con un flow impeccabile, sia con il testo, dove mostra spunti di riflessione di tutto rispetto.
Il tema dell’oppressione degli afroamericani da parte della polizia, è sempre attuale. Oggi più che mai è tornato sulla bocca di tutti, dopo quanto successo a Minneapolis in seguito all’uccisione di George Floyd da parte di un poliziotto.
Dal pezzo in questione è stato anche ricavato un videoclip molto toccante. Le scene del video che hanno anticipato solo di pochi giorni le scene reali trasmesse dai telegiornali di tutto il mondo. Tutto ciò ha certamente fatto accrescere la notorietà del rapper proveniente dalla Windy City.
In definitiva, il disco si mostra decisamente molto più complesso e profondo di quanto un ascoltatore possa immaginarsi soffermandosi solo sul titolo.
Polo è molto giovane ma ha già le idee chiare: sarà in grado di spiccare il volo definitamente all’interno della scena rap internazionale? Solo il tempo e i numeri ci daranno la risposta, nel frattempo possiamo godere dell’ascolto di questo disco, ricordandoci che è stato realizzato da un ragazzo appena ventenne che prova a portare dei contenuti e dell’impegno sociale a fianco ai brand di lusso dei suoi coetanei.
Se ancora non avete messo in play The GOAT di Polo G, buon ascolto!