Pop sofisticato e pochissimo rap in Circles, l’album post mortem del compianto Mac Miller.
Circles di Mac Miller non è il solito disco postumo. Nulla di più lontano. Nessuno pensi ad una bieca operazione commerciale, studiata a tavolino per lucrare sulla prematura scomparsa di un artista che tanto ha dato nei 26 anni trascorsi su questa terra e tanto ancora avrebbe potuto dare.
Siamo in presenza di un vero album, rilasciato anche in edizione deluxe con l’aggiunta di due inediti (Right e Floating). Le atmosfere sono intime, malinconiche, crepuscolari. Il genere musicale di riferimento, ammesso che l’opera in oggetto si possa etichettare, è una sorta di indie pop blandamente psichedelico e con qualche venatura folk. Un disco notturno con pochissimo hip hop e un costante alone di morte.
“There’s a whole lot more for me waitin’ on the other side / I’m always wonderin’ if it feel like summer” (“C’è molto di più per me che mi aspetta dall’altra parte / mi chiedo sempre se ci si sente come se fosse estate”), canta l’artista, nato Malcolm James McCormick, in Good News, il singolo di lancio.
Quando il povero Mac ha trovato la morte, quel maledetto 7 settembre del 2018, per un’overdose accidentale da farmaci, l’album era già in fase di lavorazione. È stato il produttore Jon Brion, autore di fantastiche colonne sonore per il cinema (Paul Thomas Anderson e Michel Gondry tra i registi che si sono avvalsi del suo lavoro), a completare l’opera, in base alle indicazioni ricevute in vita dallo stesso Miller e dietro mandato dei suoi familiari più stretti. Circles appare così come un disco molto omogeneo. Probabilmente manca un pezzo che spicchi su tutti gli altri, ma in questi casi importa davvero poco. Il suono è caldo e avvolgente e il livello medio delle composizioni è indiscutibilmente alto.
L’album rappresenta una sorta di prosecuzione di Swimming, il suo predecessore del 2018, uscito circa un mese prima della morte dell’autore. Il punto di partenza è più o meno simile, ma Circles si discosta dalla direzione hip hop in maniera ancor più netta.
Qui Mac Miller si mette completamente a nudo, col suo soft pop ‘sottocutaneo’. “Some people say they want to live forever / That’s way too long, I’ll just get through today” (“Alcuni dicono di voler vivere per sempre / è davvero troppo, io cercherò solo di sopravvivere a questa giornata”), recita il testo di Complicated. Un pezzo che rispecchia in maniera piuttosto fedele il mood dell’opera.
Nella title-track Mac rinuncia totalmente al rap e su un soffice tappeto di suoni, quasi da ninna nanna, sfodera un cantato strascicato, vagamente springsteeniano. La ballata, insomma, è la vera specialità della casa. Echi dei Kings Of Convenience si avvertono in That’s On Me, piccolo gioiellino melodico al pari del pezzo che chiude l’edizione regolare dell’album, Once A Day.
Dal Paradiso degli artisti sarà giunta la benedizione lennoniana su Everybody, intelligente cover di un brano (originariamente denominato Everybody’s Gotta Live) dei Love, gruppo psichedelico degli anni Settanta: piano e voce per un esercizio adult rock che testimonia la maturità artistica dell’interprete.
E l’hip hop? Ne abbiamo giusto qualche assaggio. Blue World farà felici i fan della corrente alternativa del genere mentre Hands e soprattutto Woods si muovono su un terreno ibrido, a metà strada fra alt pop e rap dal sapore psichedelico. Impeccabile, in cabina di regia, il lavoro di Brion, compositore di grido in ambito cinematografico che ha collaborato anche con Kanye West (Graduation) e Frank Ocean (Blonde).
Nessun brano di Circles vi conquisterà al primo ascolto e nessuno di questi vi deluderà. È un album che va assaporato lentamente e metabolizzato. Chi non conosce (ancora) Mac Miller ha un’ottima occasione per farlo. E per entrare nel suo mondo di sogni infranti troppo presto.