È fuori oggi INFERNUM, l’ultima titanica (e riuscitissima) impresa di Murubutu e Claver Gold.
Se in questo momento vi si chiedesse di pensare ai grandi nomi della letteratura italiana del Novecento, potrei scommettere sull’altissima probabilità che uno dei primi a saltarvi in mente sia quello di Italo Calvino. Scrittore e intellettuale estremamente prolifico, Calvino fu un egregio sperimentatore di generi letterari più diversi – tranquilli, non staremo qui a enumerarli –, e proprio questo suo eclettismo artistico gli valse la celebre definizione di “scoiattolo della penna”, coniata nientedimeno che da un certo Cesare Pavese.
Italo Calvino però non fu solo un sublime narratore, ma anche un acuto saggista: al 1991 infatti – sei anni dopo la sua scomparsa – risale Perché leggere i classici, una raccolta di saggi il cui titolo (una domanda quasi retorica per qualcuno) ha già in sé l’essenza dell’opera stessa.
Per Calvino, un classico è “un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire”, un qualcosa che non nasce e muore nel proprio tempo, ma riesce a risultare vivo e parlante nonostante il passare di esso, pur mantenendo la propria aura di sacralità inviolabile.
Non può quindi sfuggire a questa definizione quella che ad honorem (e non solo) è considerata l’opera più importate della nostra storia letteraria, la Divina Commedia. Il capolavoro dantesco è infatti il classico per antonomasia: antico ma contemporaneo, inarrivabile ma non intoccabile. Non esiste infatti altra opera che nei secoli si sia prestata meglio alle (re)interpretazioni critiche di varia natura, che non solo ne hanno assicurato l’immortalità e l’imperitura memoria, ma non hanno fatto altro che confermare quanto il messaggio e il genio di Dante siano ancora estremamente attuali anche dopo 700 anni e quanto l’opera intera sia una gigantesca selva fittamente intrisa di significati, alcuni limpidi e manifesti, altri nascosti (e tali rimasti) dietro le pieghe delle allegorie più articolate e indecifrabili.
La morale di questo (doveroso, scusate) asciugo da studentessa di Lettere è quindi che re-interpretare la Divina Commedia è cosa (quasi sempre) interessante e gradita, ma rimane comunque il più difficile dei compiti: è infatti un’impresa ai limiti del titanico, che richiede una più che buona dose di conoscenza dell’originale, uno studio dettagliato e instancabile, un’innata sensibilità lirica e morale, e un rispetto che non è esagerato definire ossequioso.
Ah, e coraggio. Tanto. Soprattutto se nel 2020 invece che farla parlare, vuoi farla rappare.
Un’impresa titanica che – ad oggi – solo due fuoriclasse delle parole in rima potevano permettersi di compiere con risultati che ci fanno presagire di avere già fra le mani il disco dell’anno.
Stiamo ovviamente parlando di Murubutu e Claver Gold, che dopo anni di pezzi con i più svariati e ricercati riferimenti letterari, si sono confrontati (per la gioia di tutti noi) con il Golia della poesia.
Lo hanno fatto con INFERNUM (o INFERNVM), il joint album pubblicato oggi (per ora solo in digital store) per Glory Hole Records, e come Davide ne sono usciti vincitori.
Come suggerisce il titolo, quello proposto dai due rapper – il cui sodalizio è già sulla carta garanzia di straordinaria qualità – è un viaggio nell’inferno dantesco, rivisitato in chiave assolutamente moderna, e iniziato non a caso lo scorso martedì – anzi, Dantedì – con Paolo e Francesca, il brano ispirato a “Quei due che ‘nsieme vanno e paion sì al vento esser leggieri”.
I trentaquattro canti sono condensati in undici tracce che ripercorrono fedelmente la catabasi dantesca, e ciascuna di esse porta il nome di un luogo o di un dannato: dall’Antinferno di coloro che “visser senza infamia e senza lodo” (il cui ritornello di Davide Shorty parafrasa letteralmente i versi danteschi), si arriva al Cocito dove Lucifero, “l’angelo più bello del Paradiso”, giace nella “natural burella”, passando in rassegna alcuni fra i penitenti più celebri e caratteristici dell’aldilà di Dante, il cui peccato diventa la tela di partenza per dipingere nuove storie e dare vita a nuovi personaggi, senza però dimenticare mai l’insegnamento del maestro. Il suicidio di Pier Delle Vigne, notaio di corte di Federico II, è qui quello di un adolescente che decide di volare via al termine di un toccante racconto di bullismo, e Taide, da “sozza e scapigliata fante”, diventa una malinconica prostituta che non può non ricordarci anche la Bocca di rosa di De André (“Lei che fa l’amore forse un po’ per piacere, un po’ per passione”).
Per conoscere invece le storie di Caronte, Minosse, Malebranche e Ulisse, ascoltate l’album.
A fare da prologo ed epilogo alla narrazione, dall’ingresso nella Selva oscura al Chiaro mondo da cui si rivedono le stelle, le produzioni oscure del Tenente e gli scratch inconfondibili di Dj FastCut.
Tra parafrasi, citazioni e riletture, INFERNUM di Murubutu e Claver Gold si candida ad essere uno dei progetti culturalmente e liricamente più grandiosi e ambiziosi del rap italiano, che non solo attualizza, rimaneggia con estrema cura e dedizione e rende accessibile a chi abbia voglia di ascoltare un testo tanto complesso quanto affascinante come l’Inferno, ma potrebbe quasi porsi come strumento didattico per le nuove generazioni (sul serio, se fossi una prof userei questo album per spiegare la Divina Commedia. Pensateci.). Chissà, magari sarà in grado di far diventare anche il dantista più incallito un appassionato di rap e un rappuso un fervido lettore di Dante.
Ecco INFERNUM di Murubutu e Claver Gold: buon ascolto.