E Kanye West da David Letterman ci ha detto la sua un po’ su tutto.
Pazzo. Genio. Visionario. Idiota. Egocentrico. Popstar. Innovatore. Sopravvalutato. Artista. Negli anni, di Kanye West è stato detto tutto e il contrario di tutto, sono state date definizioni tra loro opposte che a volte hanno riguardato la sua musica e la sua arte, altre, invece, si sono concentrate di più sulla sua persona. O, forse, sul suo personaggio.
In effetti Kanye West è un universo a sé stante, regolato, proprio come succede negli anfratti cosmici, dall’entropia. Il caso o il caos, la regola contro le regole fa però sì che convivano in perfetto equilibrio, all’interno di questo disordine, spinte tra loro divergenti. Kanye West è stato ed è tutte le cose dette prima, alcune sicuramente più di altre, perciò diventa difficile per noi darne una definizione. Non appena concentriamo il nostro sguardo su un aspetto dalla sua personalità o della sua carriera, con la coda dell’occhio non possiamo non notarne un altro che sembra dipingerci un’immagine opposta. David Letterman, però, col telescopio della sua ironia, della sua intelligenza e della sua esperienza, è riuscito a catturare una fotografia nitida dell’universo Kanye West, più difficile da rendere rispetto a quella del buco nero di un paio di mesi fa.
L’occasione è lo show My Next Guest Needs No Introduction, la cui seconda stagione è uscita su Netflix il 31 maggio. Il format è quello di una lunga intervista davanti a un pubblico, marchio di fabbrica della carriera di Letterman, con incursioni del comico e conduttore all’interno delle vite del personaggio in questione. Il primo episodio del nuovo capitolo della serie ha proprio Kanye West come protagonista. La prima stagione, invece, aveva ospitato, tra gli altri, Barack Obama e Jay-Z – l’altra metà del Throne – , col quale era nata una chiacchierata che aveva toccato tutti i temi principali della sua carriera.
L’intervista a Kanye West è illuminante. L’artista di Chicago è un personaggio multiforme e che, proprio come tale, riflette la luce in maniera diversa a seconda di dove questa lo colpisce. Qui, proprio in questo momento, interviene la bravura di Letterman che riesce a illuminare i punti bui di Kanye, quelli sui quali non si va mai ad indagare, e abbassare le luci quando la sua esuberanza impedisce di tenere lo sguardo fisso su di lui senza essere abbagliati. È il conduttore a settare il flow della chiacchierata, a volte lasciando andare a volte tirando le briglie di un cavallo abituato a correre dove più gli piace. Gli argomenti della conversazione sono molteplici, dall’ora scarsa di chiacchierata viene fuori uno zibaldone di pensieri. Si parte dal rapporto di Kanye con la madre e di come ha vissuto la sua scomparsa; si passa poi al padre e ai suoi insegnamenti fondamentali per un Kanye bambino.
Dopo poco si passa ai temi più caldi e, allo stesso tempo, in un certo senso più attesi. Il primo è quello della salute mentale. L’I hate being bi-polar it’s awesome della copertina di Ye, l’ultimo disco di Kanye West, aveva fatto in un certo senso scalpore, aveva creato l’impatto desiderato, ma la voracità del web l’aveva masticato e risputato come semplice materiale da meme. Dietro, però, c’era ben altro. E così, per la prima volta, Kanye si apre davvero riguardo la sua instabilità, la sua bipolarità, mettendo in luce gli aspetti di questo problema che riguardano la sua esperienza. L’analisi è, com’era prevedibile che fosse, profonda.
Kanye sa di vivere questa situazione da una posizione privilegiata per la sua condizione economica, ma nonostante ciò insiste su un punto preciso della questione: la ricezione sociale di queste patologie. La sua visione è chiarissima e ricorre spesso a una parola per dire ciò: stigma. Ultimamente, grazie anche alle vicende personali di certe celebrità, si è iniziato a parlare di più di salute mentale, ma è ancora un tabù. Si continua ancora a derubricare chiunque abbia problemi di questo tipo come semplice “pazzo”, come per liquidare in fretta la questione. Usa, a questo proposito, un’immagine efficace. Se uno ha una caviglia slogata non gli si continua a tartassare il punto infortunato; se, invece, è la tua salute mentale a non essere più salda, vieni messo ancor più sotto pressione. Da come ne parla si capisce l’importanza che ha quest’argomento per Kanye e del suo impegno in quest’ambito.
La conversazione, poi, non può non virare sull’altro argomento caldo legato a Kanye West degli scorsi mesi: il suo presunto supporto a Trump. In realtà è proprio il rapper di Chicago a nominare per primo l’attuale presidente USA, senza che sia Letterman a condurlo lì. È il momento in cui la discussione si fa più accesa: i due sono in evidente disaccordo e il conduttore, con tutto il garbo possibile riservato al proprio ospite, non ha paura di dire la sua e di far notare certe incongruenze nei ragionamenti del suo interlocutore.
Ma, insomma, Kanye West è un supporter di Trump? In realtà lui dice di non aver mai votato, quindi quantomeno non ne è un elettore. La cosa sulla quale lui si concentra di più, in maniera provocatoria, è la mancanza di libertà concessa dai liberali. Il suo dover mettere qualsiasi cosa in dubbio gli impedisce di rifiutare Trump in maniera acritica, per partito preso, ma si scontra, a suo dire, con la totale assenza di dialogo proprio dai parte dei democratici. Parlare di Trump, insomma, non è neanche concesso, un dibattito non lo si può avere.
Ma quindi, dopo un’ora di intervista, chi è Kanye West? Difficile dirlo, ma siamo meno confusi di prima. È un visionario con le idee chiare, un sognatore che tenta di adattare la realtà a ciò che ha in testa e non il contrario.
C’è una cosa, però, che David Letterman riesce a tirare fuori per la prima volta forse in tutta la carriera del produttore di Chicago. Finalmente, lì su quella poltrona, a parlare c’è Kanye, c’è un uomo. C’è una persona, non un personaggio.