Dai freestyle agli album: Nerone ci racconta del suo ultimo album Gemini, in uscita tra poche settimane e di cosa vuol dire essere un freestyler.
Massimiliano Figlia in arte Nerone, non ha bisogno di molte presentazioni. Il suo percorso artistico inizia grazie alla sua passione per il freestyle, disciplina che con grande tenacia e determinazione l’ha portato ad essere uno dei rapper più forti e temuti della scena hip-hop nostrana.
Dopo aver partecipato alle più importanti battle di freestyle, come il Tecniche Perfette, raggiunge il successo grazie alla partecipazione nel 2014 ad una delle più chiacchierate e fortunate edizioni di Mtv Spit, programma condotto da Marracash, che lo decretò vincitore, dandogli la giusta vetrina e la fama tanto meritata.
Anche se lui stesso afferma: “tutti mi conoscono per i freestyle, soprattutto dopo Spit. Per quello proporsi come mc non è stato facile, all’inizio. Ma dopo aver prodotto sette dischi penso che la percezione di me sia cambiata.”
L’abbiamo incontrato a Monza, in un baretto vicino la stazione. Ad accompagnarlo c’era il suo dj e grande amico Biggie Paul, entrambi appena usciti dallo Studio di registrazione, dove attualmente sta lavorando al suo ultimo disco, che è in dirittura d’arrivo. Ci accoglie con un grande sorriso, che dice essere una delle sue armi vincenti perché per lui la parte triste o imbronciata di se stessi, la si dovrebbe mostrare solamente a poche persone, quelle più care e quelle che ti conoscono davvero.
Abbiamo realizzato un’intervista a Nerone per i lettori di Rapologia, scoprendo quanto sia importante lavorare continuamente senza mai fermarsi. A poche settimane all’uscita di Gemini, ecco cosa ci ha raccontato.
Ciao, benvenuto su Rapologia, ti facciamo presentare con le tue parole.
«Ciao, io non ho il computer! (prima dell’intervista ci confessò che non ha il pc a casa, ndr) Come mi posso presentare, mi chiamo Max, sono un rapper di ventisette anni e mezzo, che lavora con la musica da quando è poco più che maggiorenne, che non ha mai raccolto grandi frutti fino a che la televisione non ha messo in mostra le sue skills. E che adesso insegue il suo sogno.»
Tu parti dal freestyle…
«Io parto dal freestyle, mi è sempre piaciuto fare le canzoni, ma il freestyle è sempre stata la mia passione forte. Mi è sempre piaciuto farlo, ho fatto tutte le gare, sono andato in tutti i posti. A cui tempi era un bello spazio, una vetrina, una bella piscina prima che la televisione arrivasse a vederci qualcosa. Io ho vissuto gli anni in cui c’era sempre un contest di freestyle. Sebbene fossi in giro otto mesi l’anno col mio lavoro, ogni volta che tornavo, facevo le battle.»
Tu sei conosciuto per essere un campione in questa disciplina. Come si raggiunge l’eccellenza in freestyle?
«Esattamente come si raggiunge in tutte le cose. Con tanto allenamento, la passione e il non scoraggiarti mai perché può succedere di tutto. Ho comunque perso molte più gare di quante ne ho vinte. Non sono certo il mostro che se n’è andato sempre con l’en plein. Anzi. Il trucco è perderne tante. Perdere tante battle.»
Ne hai anche vinte tante.
«Sì però ne ho perse tantissime. Perdere le battle per voler smettere di perderle. A una certa basta perdere!»
Di solito un rapper che fa le battle, quando comincia a fare i dischi smette di fare le battle, tu no. Visto che ultimamente hai partecipato a Mic Tyson.
«In realtà io sì. Io ho partecipato a Mic Tyson per una serie di fattori esterni. Sono l’unico che partecipava con motivazioni diverse. Io non ho più niente da dimostrare, non ho più la fame che hanno gli altri freestyler e soprattutto sono l’unico che ha fatto dei dischi. Perché per fare dei bei dischi devi smettere di fare freestyle.
Tutti dicono questa cosa, ma come mai?
«Per il metodo di scrittura, perché con il freestyle ti va bene tutto subito, non rianalizzi, non torni sui tuoi passi, sostanzialmente non presti la cura e l’attenzione che una canzone merita rispetto a un freestyle. Allenarsi a fare freestyle ti fa fare dei brutti dischi. E scrivere tanti dischi ti fa fare dei brutti freestyle. Perché poi cerchi la rima tripla, cerchi la cosa che nessuno ha mai detto, quando in realtà è un flusso, dovresti essere musicale, sciolto, non sei più com’eri prima. Adesso sei molto più schematico, sei molto più “devo farlo figo per forza, la chiusura dev’essere estrema”, non è più così. Per me, almeno. Siccome questi ragazzi che fanno freestyle adesso sono dei secchioni di questa roba, è normale che io andando al Mic Tyson, ho beccato due di loro e mi hanno fatto la faccia come un pallone, giustamente. Io sono andato per levarmi la ruggine.»
Nella storia delle tue sfide, qual è l’avversario più ostico e quello invece che avresti voluto invece sfidare ma che invece non hai mai incontrato.
«Allora, avrei sempre voluto sfidare Ensi, ma non c’è mai stata l’occasione a causa dello switch generazionale. Io ho cominciato a fare Spit quando lui si è ritirato dalle gare, abbiamo fatto un sacco di freestyle insieme, però mai in veste di uno contro l’altro. Sia lui che Nitro, che sono due mie grandi amici, non sono mai riuscito a sfidarli. Quindi ti dico con i miei amici. L’avversario più ostico alle battle sono sempre e comunque io. Te stesso sei sempre l’avversario più temibile di tutte le battle. Basta un tanto così di ansia in più, basta una birra di troppo e puoi avere davanti anche un cestino, che se non sei in serata vince comunque l’oggetto inanimato che hai davanti. Il peggior nemico del freestyler è se stesso. E chiunque non ti risponde così è un bugiardo.»
Che ruolo ha il freestyle nel rap del 2019?
«Non lo so, non vorrei sputare sul piatto dove ho mangiato per anni ma secondo me ora c’è più granché. C’è tanto show, ma non c’è più concretezza. Un tempo un buon rapper e un bravo freestyler potevano essere la stessa cosa. Adesso invece è sempre più difficile. Ti faccio un esempio col calcio. Nel calcio ci sono un sacco di sponsor. C’è questo ragazzo di nome Sean, che è un mostro, passa le giornate nelle piazze con la telecamera e la palla tra i piedi e fa i tunnel a tutti. Però per quanto sia un fenomeno, non gioca nel Real Madrid. Fare freestyle non è una cosa in più del rapper. È una cosa a parte adesso. Si è guadagnato un’identità ma si è scisso secondo me.»
Dal freestyle passiamo agli album. C’è una linea di continuità o sono due sport diversi per te come identità?
«Sono due sport diversi, dipende sempre cosa vuoi fare. Io ho tante idee mi piace scrivere e preferisco ora fare i dischi, fare più album che i video, quindi ci vivo volentieri in studio. Io faccio due dischi l’anno da tre anni, penso di avere ancora qualcosa da dire e soprattutto il divertimento necessario per farlo. Finchè avrò forza, cose da dire e divertimento, farò sempre due dischi l’anno.»
Riscopriamo un po’ la tua carriera discografica.
«Partirei dal dopo Spit. Subito dopo il primo al quale ho partecipato, ho preparato un ep con Biggie Paul, si chiamava Numero Zero, tutto prodotto da lui, con giusto un paio di featuring della mia crew. Poi sono andato a fare il secondo Spit, quindi era ancora il periodo freestyle, ho fatto un ep che si chiamava 100k, prodotto da 2nd Roof. Però ero ancora nel periodo freestyle, non riuscivo a fare una super musica, ad avere un’identità. Dopo il secondo Spit ho smesso ufficialmente, e dopo e poi 100k ho cominciato a lavorare ai dischi.
E ho preparato una serie di ep che anticipavano i dischi dal titolo Hyper.
Il primo Hyper ha anticipato Max, il secondo ha anticipato Entertainer e adesso è fuori il terzo che sta facendo il suo giro.»
Come mai l’idea di fare due dischi all’anno? Solitamente un artista si concentra più su un’idea sola.
«Il primo anno è successo perché ci siamo trovati delle idee molto belle che però non c’entravano col disco. Erano dei banger. Cinque banger, c’era una traccia con Nex Cassel e Lazza, una con Jack The Smoker e Vacca, roba bella. E quindi abbiamo deciso di creare un ep a parte per valorizzarlo.
Il secondo anno è stato perché avevo un po’ di pezzi in eccesso, sono andato in sovrapproduzione e in più volevo dare la possibilità a qualche ragazzo che conoscevo, che non aveva la visibilità che avevo io di venire fuori. Quindi Hyper2 è stato così. Hyper3 invece è stato un vero e proprio disco, sono nove canzoni, sia nell’intro che nell’ outro sono io da solo, il resto sono tutti featuring con tutta gente che stimo e rispetto, di tutte le parti, giovani e non. Quindi dare un pre-disco secondo me è sempre giusto, anche perché la gente ultimamente lavora sui singoli, ma secondo me spesso, invece che strategia, sembra pigrizia. Comunque voglia di rimanere lì ma non avere troppa voglia di fare le cose. Io comunque trenta pezzi l’anno li butto sempre fuori. Preferisco lavorare su Spotify che su Youtube, anche per un discorso di fidelizzazione del fan. Nel senso. Deve uscire il disco? Se ho 150.000 ascoltatori e vado su Youtube, quando esce il disco gli ascoltatori saranno sempre quelli. Se invece faccio l’ep, quando esce il disco me ne trovo 250.000.»
È una professione per te?
«Assolutamente sì.»
Cioè lo vedi come il tuo lavoro?
«Sì. Non lavoro più che altro, cioè non ho un lavoro. Il giorno in cui fare rap lo vedrò come un lavoro smetterò di farlo. Io ho fatto un lavoro per una vita, che mi piaceva, ma il giorno che ho avuto l’opportunità di fare questo, che comunque mi dà i soldi necessari per sostentarmi, ho preferito switchare completamente. Posso dire che vivo di questa roba qua.»
Parlaci un po’ del tuo rapporto con Nitro, in giro dicono siate fratelli.
«Eh, sbagliano tutto. Ma poi mi chiedo, perché? Non è vero mai. Forse la somiglianza per il biondame, la barba.
Io e Nitro siamo amici da prima dei soldi, come si dice. Ci conoscevamo da sempre. Poi lui è venuto a Milano per lavoro e abbiamo avuto l’opportunità di stringere i già consolidati legami che avevamo. Quando è arrivato a Milano era solo, io gli ho aperto casa, come è giusto che si faccia.»
Ci vediamo a Monza perché sei appena uscito dallo studio. A che cosa stai lavorando?
«Dunque, quest’anno un disco è già uscito. L’altro esce tra maggio e giugno, si chiama Gemini, è tutto prodotto da Dj 2P e vanta delle collaborazioni di cui non posso parlarti, che se no si perde l’effetto sorpresa. Però ci siamo quasi.»
Cosa vuol dire uscire con un album rap in una scena come quella di adesso?
«Vuol dire avere un’identità. Vuol dire che io sono questo. Posso adeguarmi ai tempi, posso essere influenzato da sonorità differenti, ma la mia base è quella, io quello so fare e quello faccio. Cambiare non ha senso. Puoi migliorare, cambiare è crescere.»
C’è qualcosa di particolare in Gemini di cui vuoi parlare?
«È un bel film, il titolo parla del mio segno zodiacale, Gemelli, quindi genio e sregolatezza. Però sì, sono io. Io ho difficoltà a uscire dal mio immaginario e inventarmi le cose. Sono curioso di sapere quello che diranno del disco, quando uscirà. Abbiamo un’idea molto figa per la copertina che darà spazio alla fantasia di tutti.
Abbiamo già un po’ di date, tra cui:
- 20.04 @ Spazio Joy – MILANO
- 27.04 @ Mu Club – PARMA»
Hai un messaggio da dare a chi ti segue?
«Spendete i soldi! Venite ai live! (ride, ndr).
La musica ci sono sempre mille modi per viverla, cercate di scegliere quello che è giusto per voi e non quello che è giusto per gli altri.
Vai ai concerti, compra i dischi, leggi i libri, esci di casa. Che se esci di casa trovi me, se non sono in studio.»
Nerone ha le idee chiare. E ascoltarlo fa venire voglia di andare a casa per lavorare sui propri progetti. Tra album ed ep, è sempre in movimento, è sempre fuori, sempre in studio. E vi aspetta tutti sotto al palco nelle sue prossime date..
Non perdetevi assolutamente l’evento del 20 aprile al Joy di Milano, per il 4.20.