Andiamo alla scoperta di uno degli artisti americani più chiacchierati quest’anno dagli addetti al settore, Westside Gunn.
“Street dreams are made of these, niggaz push Beemers and 300 E’s. A drug dealer’s destiny is reachin a key, everybody’s lookin for somethin.. ” – Esordiva così Nas, nel ritornello di Street Dreams, dando la sua personalissima interpretazione del sogno americano. Sogno che – da desiderio di realizzazione – si trasforma presto in un desiderio di sopravvivenza, dettato dall’ostilità del mondo che ti circonda e da un sistema che non permette una mobilità liquida degli strati sociali come l’America stessa vorrebbe far credere al mondo intero. Presto, specialmente per i ragazzi afroamericani, il sogno di strada diventa la priorità, dando vita ad un circolo vizioso la cui fine la riescono a vedere solo in pochi. Nonostante l’apparente lusso che ne deriva e nonostante le cose sembra possano andare bene per un breve periodo.
Lo sa bene Jay-Z, che il suo impero aveva iniziato a costruirlo molto tempo prima di entrare in uno studio, su un marciapiede, spacciando morte ad ogni variabile di gente. Ma se non fosse stato per un imprevisto fortunoso che lo tolse dalla strada il giorno in cui avrebbe potuto rimanerci per sempre non avremmo potuto assistere alle gesta di un monumento simile. Stesso discorso per Nas, che ha preferito affrontare i suoi demoni attraverso la musica facendosi comunque portavoce del mondo crudele cui sembrava costretto a sottostare.
Vale lo stesso per Alvin Lamar Worthy, nato a Buffalo nel luglio del 1987. La Buffalo di quegli anni subiva una diffusione a macchia d’olio della criminalità e dell’anarchia figlie dei disordini abituali di una Grande Mela che provava a rimettere le cose a posto ma senza troppo successo. Ma non sembra esserci giustificazione agli occhi di chi nasce per strada, e in quella stessa strada ci cresce e magari ci muore anche.
L’infanzia di Alvin si sviluppa parallelamente al movimento Hip-Hop che vede proprio nel decennio 1987-1997 attraversare tutte le sue fasi più calde, dalla crisi “commerciale”, passando per l’assassinio di Tupac e l’entrata in gioco di alcuni dei game changer fondamentali della storia. Ma la musica, almeno inizialmente, sembrava interessare poco Alvin, le cui intenzioni artistiche sembravano riversate su altri fronti. La moda ad esempio, è sempre stata una cifra stilistica della vita di strada al contrario di quanto si possa pensare. I protagonisti che hanno fatto la storia ed il sangue nelle loro strade vestivano già Gucci, Versace ed Hermes, mentre chi non poteva permetterselo partiva già svantaggiato nella scala gerarchica della street society statunitense.
Discorso che ovviamente valeva anche per i rapper. Motivo per cui il futuro Westside Gunn iniziò ad interessarsi seriamente a questo lato parallelo del business dell’industria musicale dando vita ad una propria linea d’abbigliamento targata Griselda cui affiancò anche il managment del fratello, Conway, il quale aveva già da tempo capito che il microfono sarebbe diventato il suo scopo ultimo. Ma sarà proprio la storia del fratello che si intreccerà parallelamente con quella del Nostro nel 2012 e che darà una svolta definitiva alle loro vite.
Le conseguenze dello street dream sono violente, come il modo in cui si manifestano. Forse un regolamento di conti, forse l’aver pestato i piedi della persona sbagliata, fatto sta che Conway è vittima di un’esecuzione da parte di terzi che gli sparano a bruciapelo sulla nuca. Una storia molto simile a quella del ben più noto Curtis Jackson, il quale però subì danni ben peggiori, ma che vengono accomunati da un lieto fine. Entrambi sopravvivono, 50 Cent cambierà per sempre la sua pronuncia mentre Conway subirà una derivazione visibilissima alla sua bocca. Entrambi sono dei tratti che li distinguono dal resto.
E Alvin? Alvin non poteva credere che la m*rda dalla quale cercavano di tenersi tanto lontano avrebbe potuto colpire anche loro in modo irrimediabile. L’unica soluzione era prendere in mano la situazione, il suo destino, ma soprattutto un microfono. L’unico modo per sopravvivere ad un dolore simile era quello di dargli voce attraverso le barre, grezze e dolorose come proiettili, metafora del loro vissuto e della loro vita.
Drug dealers wear Hermes
Come ogni ragazzo afro-americano che si rispetti, Alvin il rispetto ha dovuto conquistarlo sul campo, per strada, sulla linea sottile che separa la libertà di quartiere dall’ora d’aria in galera. La figura che oggi incarna Westside potrebbe sembrare quella del rapper stereotipo, che cita Escobar e limita i suoi racconti alla vita di strada e poco altro. Ma quello che realmente è riuscito a diventare Westside è un simbolo.
Come molti altri colleghi lui e suo fratello sono cresciuti sotto l’influenza di mostri sacri come Rakweon e Kool G Rap, i cui storytelling non avevano l’intenzione di raccontare fiabe col lieto fine o morali con redenzione annessa. Gli OG di quei giorni narravano le cose per come stavano, senza alcun filtro e senza alcun timore di essere giudicati. Perché questa era la realtà che vivevano e in quanto tale doveva essere raccontata. Oggi Westside ne continua a rappresentare fedelmente l’attitudine e la fedeltà della narrazione cui si approccia.
In un’intervista ha detto che – una volta stanco di fare entra ed esci da galera – aveva promesso a sé stesso di approcciarsi alla musica come fosse una missione per la quale morire. Senza mostrare il suo volto, senza dare spiegazioni, senza dover piacere a tutti i costi. Il primo capitolo della sua storia è Hitler Wears Hermes, un progetto che racchiude dentro di sé ogni sua intenzione. La volontà di provocare, di irrompere nella scena e di provocare una rottura con tutto ciò che è in questa musica è politicamente corretto. Niente scene per famiglie, niente buoni propositi, niente morali di stampo filosofico. La vita cui è stato introdotto e quella che ha imparato a desiderare è stata caratterizzata da violenza, lusso e cattivi esempi.
Nel secondo capitolo della saga citata c’è un pezzo intitolato Eric B, che rappresenta il manifesto dell’arte di Westside. Le sue ispirazioni, lo storytelling nudo e crudo ma – soprattutto – la presenza nei versi della quasi totalità dei brand di lusso che fa contrasto con la vita incerta dei drug dealers. Ma di una cosa è certo e di questo vuole ringraziare Dio.
“Thank God thate gave Us drug dealers”
Oggi Westside Gunn ha il pieno merito di aver reintrodotto nell’ampio bagaglio dell’underground americano una serie di cifre che sembravano poter scomparire a causa della via via crescente distinzione col mainstream. Le barre sono tornate prepotentemente ad avere la meglio così come i beat, minimali e zeppi di sample raffinati che hanno riportato in auge un certo modo di volere ed intendere il rap.
Dentro queste premesse troviamo un immaginario potenzialmente illimitato e figlio di tutte le correnti cui accennavamo prima. Westside ha inteso la sua musica come un’arte è in quanto tale questa deve essere di difficile interpretazione, sfuggevole e visionaria. Non pensate di trovare delle tracce che vi raccontino una storia lineare, o delle emozioni in cui poter immedesimarvi. Nessuno sa cosa prova realmente quando si trova davanti ad un Kandiskij, la stessa sensazione che si può provare davanti ad una quantità e qualità di barre in grado di spiazzarvi ma anche di stupirvi.
Why do you did this, Chris?
“La World Wrestling Entertainment è profondamente addolorata di dover annunciare che oggi Chris Benoit e la sua famiglia sono stati trovati senza vita nella loro casa di Fayetteville (Georgia). Non ci sono altri dettagli per ora, oltre al fatto che la residenza di Benoit è attualmente oggetto di indagini da parte delle autorità locali.“ (Wikipedia)
Più o meno tutti coloro che appartengono agli anni ’90 hanno avuto a che fare con il wrestling una volta nella loro vita. Come dimenticare quelle gesta eroiche compiute su un ring davanti a migliaia di spettatori, in grado di intrattenere intere masse anche fuori dai confini americani. Ad un certo punto però si scopre l’altro lato della medaglia, quello della finzione che intreccia con la realtà un rapporto quasi segreto. Il wrestling – e la WWE- in particolar modo, è entertainment puro e crudo, ma c’è dell’altro dietro. Se ogni atteggiamento, relazione o evento è sì dettato da una sceneggiatura puntigliosa è anche vero che dietro le maschere di ipotetici eroi del mondo reale si nascondono storie e drammi di uomini comuni. Chris Benoit è uno di quelli, ma non solo.
Westside Gunn ha realizzato il primo brano con il fratello e lo ha intitolato Hall ‘N’ Nash proprio in onore di due storici personaggi del circuito. Ha da sempre dichiarato il suo amore verso questo mondo, parallelo a quello della moda, e forse dettato da metafore nelle quali trova ampio sfogo il suo personaggio. La sua musica è provocatoria, sfacciata, incurante della morale o di un potere costituito, è un punto di rottura con l’abitudine. Ma dietro l’artista c’è una persona come tante altre, che nonostante il suo status è costretto a fare i conti con la realtà giorno dopo giorno. Ed il rischio a volte è anche quello di cedere il passo, di sbagliare.
Non sempre vincere è la soluzione più frequente per chi sta in alto.
I am the Messiah of the rap game
Westside Gunn ha dichiarato come l’uscita del suo album d’esordio, FLYGOD, lo abbia reso definitivamente consapevole del suo ruolo di messia del rap. Ha ammesso come la sua musica sia autentica perché pregna della vita che gli gira attorno e piena di quell’essenza che soltanto gli OG sono riusciti a trasmettere. La firma con la Shady Records di Eminem è l’apice di questa scalata.
Di questo disco se n’è parlato parecchio, azzardando diversi paragoni. Primo fra tutti, Only Built 4 Cuban Linx, uno dei dischi più rappresentativi degli anni d’oro di New York nonché fonte principale dello stesso Westside che identifica la sua definitiva incoronazione nell’ideale passaggio di consegne tra lui e Raekwon. Ma se FLYGOD non è unanimemente considerato una pietra miliare dagli addetti ai lavori, ciò che è certo è ciò che per molti rappresenta.
FLYGOD rappresenta le fondamenta della carriera di Westside Gunn, che oggi approda con un sophmore album essenziale e concettuale, proprio come ci ha abituati. Un disco che – seppur di transizione a livello di crescita – contiene dentro sé tutti gli elementi per cui stiamo elogiando quello che a nostro parere è uno degli artisti più caldi del momento.
Supreme Blientele contiene al suo interno una buona parte della storia recente dell’Hip-Hop, sia per ciò che riguarda i produttori che per gli artisti. Pete Rock, 9th Wonder, Harry Fraud, The Alchemist, Daringer alle macchine. Jadakiss, Roc Marciano, Busta Rhymes, Conway, Benny The Butcher e Crimeapple al microfono.
Molte delle tracce portano il nome di wrestler professionisti ma non necessariamente trattano lo stesso contenuto. Come accennato prima, lo citano, lo utilizzano come metafora della loro vita. Le produzioni sono minimali e sporche, così come è la voce del nostro protagonista, il cui timbro ricorda molto quello di Lil Wayne e che difficilmente può esser confuso con quello di altri colleghi.
Le tematiche? In modo semplicistico si parla di spaccio e di spacciatori, di sparatorie, di morte ma anche di lusso e di moda. I temi sono ridondanti, ma la ricerca stilistica è sempre più raffinata. Perché Westside è un artista a tutto tondo e nulla è lasciato al caso, tantomeno i titoli o le cover. Supreme Blientele è un chiaro riferimento a Supreme Clientele di Ghostface Killah, e l’album è uscito ufficialmente con tre diversi titoli e tre differenti cover. Gli altri titoli sono Chris Benoit, appunto, e God is Greatest. Questo disco non rappresenta di certo il suo punto di arrivo, ma sicuramente è una firma pesante sulle pagine della storia recente del rap.
Westside Gunn può anche non piacere, per alcuni può risultare ripetitivo e monotematico, altri non sopporteranno il suo timbro grave. Ma il buon Alvin sta riuscendo dove in molti hanno provato senza successo. Riportare il rap della Grande mela ai vecchi fasti rinnovando gli stili, senza voler essere Jay-Z, Nas o Raekwon, perché già ci sono stati ed è necessario guardare avanti affinché in futuro si possa affiancare a questi nomi illustri quello di un ragazzo di Buffalo, che dalla polvere è riuscito a creare un impero personale targato Griselda.
Grafica di Matteo Da Fermo.