Ieri, come oggi, l’abbandono scolastico è spesso sia una causa che una conseguenza di un più ampio problema di fondo, quale?
“Considered a fool ‘cause I dropped out of high school/Stereotypes of a black male misunderstood” – Era il 1994 quando Notorious BIG esordiva con l’album Ready to die, destinato a diventare una pietra miliare dell’Hip-Hop. In uno dei pezzi più amati dal pubblico, Juicy, si parla di introspezione e di passato. Nonostante BIG avesse appena 22 anni, di storie di raccontare ne aveva… eccome. Ai tempi di Word Up! e delle sardine per cena, era già nelle trafficate strade di New York intento a sopravvivere. Da diversi anni ormai si guadagnava da vivere in quei caotici quartieri mentre la maggioranza dei suoi coetanei (soprattutto bianchi) si trovava a scuola.
Eggià, perché è lì che a 16-17 anni si dovrebbe trascorrere le giornate. Nella stessa introduzione di Juicy, BIG lancia qualche frecciatina, tra cui:
“Yeah, this album is dedicated
To all the teachers that told me I’d never amount to nothin’”
Insomma, il Signor Wallace ha sviluppato un rapporto complicato con il sistema scolastico, nonostante fosse molto sveglio e apprezzato dai suoi stessi insegnanti. Il motivo dell’abbandono? Molto semplice. Andare a scuola è un investimento fondamentale per il proprio futuro, ma come poter fare programmi per gli anni a venire quando non si riesce a mettere niente sotto ai denti o non si arriva a pagare l’affitto?
In America questo fenomeno si è concretizzato in tassi di abbandono scolastico allarmanti, soprattutto nella popolazione afroamericana e ispanica. Questo a causa degli elevatissimi tassi di incarcerazione della popolazione nera negli anni ‘70, che ha portato migliaia di giovani donne a dover crescere uno o più figli da sole, sopravvivendo con salari inferiori a quelli percepiti dalle donne di altre etnie (ed ovviamente a quelli degli uomini). Situazione che poi si è riversata a cascata negli anni successivi.
Sembra paradossale, ma un contesto simile si è riproposto anche nel Vecchio Continente a causa della crisi economica contemporanea.
Europa 2020, ben 10 anni fa, puntava alla diminuzione dei suddetti tassi fino al 10%, ma ad oggi tale risultato sembra fuori portata. Tuttavia, in Europa e in Italia, si è visto un sostanziale miglioramento.
L’ultimo rapporto dell’Eurostat dell’8 settembre 2018 ha mostrato come, per i giovani dai 18 ai 24 anni, ci sia stato un netto miglioramento. Le donne hanno già raggiunto il prestigioso obiettivo, abbassando il tasso di abbandono scolastico al 9,2%. I maschi si stanno avvicinando, collocandosi al 12,2%. E l’Italia?
L’Italia, partendo un po’ svantaggiata rispetto agli altri Paesi dell’UE, ha comunque recuperato terreno. Nel 2016 (e anche nel 2017) il tasso si è assestato intorno al 13,8%. È avvenuta una diminuzione di 6 punti percentuali in un decennio, frutto del lavoro (mai sbandierato) delle istituzioni e dei precedenti governi perché, come spesso capita, le notizie negative e le critiche vengono urlate, mentre le notizie positive vengono sussurrate.
Ma qualcosa d’importante su cui lavorare c’è ed è sotto gli occhi di tutti da anni. Sardegna (5,5%), Campania (5,1%), Sicilia (5,0%), Calabria, Puglia e Molise occupano i primi sei posti della classifica della povertà educativa in Italia (che comprende anche il tasso di iscrizione all’asilo). Al contrario, agli ultimi posti troviamo Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna. Guardando la suddivisione regionale del totale dei ragazzi e delle ragazze che abbandonano gli studi appare allarmante la condizione del Sud: Sicilia (23,5%), Sardegna e Campania (18,1%) hanno percentuali preoccupanti. È per questo che anche Save the Children si è mossa con il nuovo rapporto “Nuotare contro corrente. Povertà educativa e resilienza in Italia” che segue la campagna ‘Illuminiamo il Futuro’ per combattere la povertà educativa.
Qui l’analogia con la storia di Notorious BIG si fa rilevante: la dispersione è correlata alla povertà delle famiglie, infatti i ragazzi spesso lasciano le scuole medie o superiori per sostenere il proprio nucleo familiare.
Il governo, affiancato da tutte le istituzioni locali e giovanili, dovrebbe cercare maggiormente di invertire questo trend con aiuti e agevolazioni (ben diverse dai fallimentari piani di aiuto messi in campo negli ultimi anni), oltre a stanziare massicci investimenti non solo economici ma anche culturali, nella speranza di scongiurare un fenomeno che può avvantaggiare solo l’ignoranza e le associazioni mafiose nel lungo periodo. Il rap dal canto suo, vista l’enorme forza con cui riesce a parlare direttamente ai giovani, potrebbe farsi portabandiera di questa lotta, promuovendo l’importanza di una corretta istruzione e attaccando gli stessi stereotipi che ieri come oggi fanno parte del rap game.
Immagine in copertina di Matteo Da Fermo.