Abbiamo analizzato la traccia “Sinnò Me Moro” per capire cosa passa per la testa di Noyz Narcos in questo momento della sua vita e della sua carriera.
È passato poco meno di un mese dal rilascio di “Enemy”, il nuovo album di Noyz Narcos che in poco tempo ha messo d’accordo tutti, “mods, punk, graffitari”. Citando “Inri”, non possiamo che constatare come effettivamente questa nuova era abbia contribuito ad un’omologazione generale di idee, di stili e di individui. Del disco ve ne abbiamo parlato qui. Quello che vogliamo approfondire oggi è la traccia che ha anticipato il progetto: “Sinnò Me Moro”.
La traccia si avvale di un beat nostalgico di Night Skinny che per l’occasione ha campionato la canzone omonima di Gabriella Ferri, spesso presente nell’immaginario artistico di Noyz Narcos. Un’artista tormentata che non è riuscita a sconfiggere mai i suoi demoni. Ha preferito piuttosto metterli tutti dentro la sua musica fino a quando la candela è bruciata da troppe parti. Il (presunto) suicidio è stato l’ultimo atto.
“Hardcore come Bob Maloney, G come Gabriella Ferri”
Manuel Frasca, da quel che possiamo capire, non c’ha più voglia di scrivere un altro disco. Dietro ci stanno troppe variabili, forse più contro che pro: il mercato musicale che cambia, così come cambiano i suoi consumatori. Per questo ha scelto di lasciare non semplicemente un prodotto col suo marchio impresso bensì un vero e proprio testamento: sulla sua vita, su Roma, sulla responsabilità che pesa, sulla coscienza sporca, sulla paura della morte, sui cambiamenti che in prima persona ha vissuto, fuori e dentro la musica. Al contrario di molti suoi colleghi che hanno colto l’occasione per reinventarsi e proporsi in una nuova veste al grande pubblico, Noyz Narcos ha deciso di rimanere l’outsider per eccellenza. Non solo per quel che riguarda il suo stile.
“Sinnò Me Moro” è più un addio che un arrivederci. Un saluto malinconico a quelli che sono stati i suoi sogni e le sue aspettative. Un funerale lungo 25 ore, nel quale ha avuto la possibilità di ripercorrere nel tempo la sua intera vita.
Pensate davvero che per il solo fatto di essere Noyz Narcos, scrivere un brano simile sia dovuto? Dietro un processo simile c’è tanta sofferenza, un sacrificio disumano nel quale sei costretto a mettere da parte la tua vita privata per creare qualcosa che non sia figlio soltanto di una necessità tua.
Per forzare un paragone, è un po’ come se foste costretti a partorire un bel figlio con gli occhi azzurri per il solo fatto che i tuoi genitori desiderano un regalo simile dal tanto amato figlio.
“Ogni str*nzo su sto mondo dovrebbe ascoltarla, lacrime d’inchiostro addosso, la mia penna parla”
Il passato di Noyz porta il nome del Truceklan che, col tempo, è divenuto quasi un fardello. Simbolo di una Roma oscurata dai media, poco attenzionata dalle luci dei riflettori, la crew in questione ha assunto anni fa un ruolo di guida spirituale per i cani sciolti delle strade della Capitale. Questo sfogo generazionale, nato quasi inconsapevolmente, sarebbe però diventato negli anni a seguire un segno distintivo nel quale è impossibile continuare a riconoscersi. Cambia tutto, cambiano le prospettive, la musica, la città in cui vivi. Spesso e volentieri Noyz ha sottolineato più volte quanto gli dia fastidio la richiesta di suonare determinati brani oggi.
“Gesù Cristo non ha mentito, e l’hanno crocifisso. Vuoi un quando dettagliato della merda che ho visto”?
Ed oggi invece? Il rap è diventato il genere di riferimento. Lo stesso Noyz Narcos si è trovato davanti a questa espansione senza limite di un’arte che per anni, da noi, è stata considerata come un sottogenere, così come i suoi artisti non potevano esser definiti tali. Oggi è però linguaggio universale, uno dei pochi strumenti in grado di unire migliaia di ragazzi, e non solo. Il problema è come avviene oggi questo processo. La moda, i social, i capi griffati, un desiderio spropositato di denaro.
“Niente scrigni, né gioielli. Del resto non è questo che sognano i pischelli come te?”
In una recente intervista ha inoltre affermato come i soldi siano stati la causa principale della fine di molti suoi importanti rapporti.
Va bene, penserete. Adesso, ormai, il buio affrontato è soltanto acqua passata. Chi di voi, di noi, non vorrebbe essere Noyz Narcos? Un monumento artistico che difficilmente dimenticheremo. Un artista che, alla soglia dei quaranta, può finalmente godere di tutto ciò per cui ha lottato per avere.
Invece no. Manuel Frasca – per stare al passo con tutte queste cose – è stato costretto persino a cambiare città, la Sua eterna Roma. Sono tre anni e mezzo che il Colosseo non è più fonte d’ispirazione di una serata notturna qualsiasi, con le sue mille luci e le sue strade deserte, e chi è di Roma sa bene cosa significhi. Il rap oggi è un lavoro come un altro. Così come è noto che – se vuoi stare dentro il business, dentro il vortice dell’economia – devi introdurti nei suoi poli principali, questo discorso è valido anche per la musica. Vivere nella Capitale non basta, figuriamoci da altre parti.
Dal sole di Roma si passa al grigio di Milano, cambia anche il clima interno oltre che quell’esterno. Non è che se cambi città a quasi quarant’anni è tutto più semplice, è un falso luogo comune. Come dire che se vanno via mamma o il papà quando non siamo più dei pischelli fa meno male. Noyz Narcos ha fatto, secondo il parere di chi scrive, uno degli album più belli del rap italiano e della sua lodevole carriera, e per farlo c’ha messo molto più impegno di quel che si ipotizza, c’ha sofferto sul serio per molte delle barre che lo compongono.
Per scrivere il suo testamento Noyz Narcos ha dovuto lasciare indietro la sua vita precedente. Il risultato?
“Me manca zona mia, le cose che ho lasciato, un bacio a mamma mia.. Anche stanotte dormo preoccupato”.