Fugees pt.1 – Escaping From What

Fugees Hip Hop Pillars

La prima parte della storia dei Fugees, veri e propri pilastri della filosofia Hip Hop internazionale

“Emancipate your mind, don’t set the limit. Reach the summit”

(Vocab)

I rifugiati per eccellenza si sono incontrati per la prima volta nel New Jersey, alla Columbia High School. In tenera età, Lauryn Hill, Prakazrel Michel (Pras) e Marcy formano un trio musicale chiamato Tyme. Avviene subito un cambiamento: il cugino di Pras, Wyclef Jean, anche lui natio di Haiti, sostituisce Marcy nel 1990. Il soprannome Tranzlator Crew che spunta fuori ogni tanto si riferisce al nome della loro band dell’epoca (chiamata così perché l’intento era quello di cantare in diverse lingue), che include Johnny Wise alla batteria, T Boss (Jerry) al basso e DJ Leon. Tre anni più tardi, dopo alcune esibizioni e demo registrati, il trio firma per la RuffHouse, distribuita dalla Columbia Records. È allora che il nome viene cambiato in Fugees, abbreviazione della parola utilizzata con connotazione dispregiativa per riferirsi agli Haitian-Americans (refugee). Oggigiorno con il termine Refugee Camp All Stars ci si collega al supporto di John Forte al trio, mentre con Refugee Camp Entertainment si include il rapper giamaicano Canibus. Nel 2009 lo US Census ha stimato che 830.000 Haitian Americans vivono negli Stati Uniti.

Facciamo un piccolo approfondimento per chiarire la scomoda posizione degli Haitiani.

Quando la Francia ha tentato di reintrodurre la schiavitù, gli ex schiavi si sono rivoltati guadagnando la loro indipendenza nel 1804, il primo stato dopo gli USA a farcela.

”And I say to myself, what a wonderful world”
But what the fuck was so wonderful about picking cotton – on a farm?”

(Nappy Heads)

Così nacque la Repubblica di Haiti. Da allora ci sono stati quattro periodi di maggiore emigrazione verso gli Stati Uniti. La prima ondata fu all’inizio del 19esimo secolo, quando in un clima di enorme instabilità politica la Germania stava avanzando delle pretese sull’isola e rischiava di controllarla, allora ci fu un’occupazione Statunitense che è terminata solamente nel 1943.

Negli anni 60 invece fu Duvalier a far scorrere il sangue nelle strade. Dopo aver violato la Costituzione, che non consentiva di ricoprire la carica di Presidente per più di un mandato, nel 1961 egli vinse nuovamente le elezioni (essendo peraltro l’unico candidato). Vinse per 1 milione e 300.000 voti a… zero. Attraverso i Tonton Macoute (le sue milizie), penetrati in tutti gli strati della società haitiana, Duvalier stabilì un regime del terrore.

Duvalier

Nel 1962 John F. Kennedy, per indebolire Duvalier, decretò la sospensione degli aiuti ad Haiti. Tali aiuti vennero tuttavia ripristinati dopo il suo assassinio. Il despota Haitiano tentò di convincere il popolo che la morte di Kennedy fosse legata ai contrasti che aveva avuto con Baron Samedi (la divinità traghettatrice dei morti) nella quale si era immedesimato dopo essersi svegliato da un coma di 9 ore. Dichiarò pubblicamente di aver fatto un sortilegio vudù contro Kennedy e che non era una coincidenza che fosse morto il 22 Novembre (il 22 era il numero preferito di Duvalier, essendo il giorno in cui era diventato per la prima volta Presidente). Regnò fino alla sua morte (1971), dopo essersi proclamato Presidente a vita tramite un referendum dove la sua proposta ottenne per il 99,9% voti favorevoli.

Poi nel 2004 venne rovesciato il regime di Jean-Bertrand Aristide. Dopo essere stato rieletto per un terzo mandato nel 2000, con un’astensione di massa stimata al 90%, ci furono diversi mesi di manifestazioni popolari e di pressioni internazionali. Allora Aristide venne obbligato a lasciare il potere in seguito ad un intervento delle forze speciali degli Stati Uniti, le quali instaurarono un governo con l’aiuto dell’ONU.

Più recentemente, nel 2010, un catastrofico terremoto di magnitudo 7,3 uccise più di 200.000 persone. Come se non bastasse, 10 mesi dopo si diffuse un’epidemia di colera. Giusto per darvi un’idea di questo tormentato popolo.

Tornando ai Fugees, dopo mesi di lavoro ed un piccolo colpo di coda, nel 1994 uscì il loro primo LP di stampo HipHop, Blunted on Reality, sotto la sapiente guida di Ronald Bell dei Kool and The gang. L’album ha partorito i singoli “Boof Baf” (una bomba), “Nappy Heads” e “Vocab” (contorta in certi versi), ma ha guadagnato poca attenzione nel panorama musicale Statunitense (venderà circa 150.000 copie), nonostante l’indiscussa qualità e lo stile canoro innovativo (ricco di extrabeat).

Blunted On Reality

Il disco inizia con “Introduction”, parlando di una profezia che si avvera ogni biennio e collocando l’anno domini nel futuro, esattamente nel 2017. L’alone di misticità è una componente preziosa del progetto e rimarrà praticamente l’ultima volta in cui viene esternata. Non a caso nelle prime tre canzoni del disco Lauryn parla sempre di orientamenti religiosi e non nasconde una profonda nostalgia per l’old school. Un esempio lampante è la canzone “Temple”. Laura parla delle religioni e del suo approccio eclettico.

“Well as an infant I was born into religion,
My mother called me Baptist but what she forgot to mention
Was just what baptist meant!”

Poi continua Wyclef concentrandosi maggiormente sulla falsità dettata dalla religione (“But to some Earth is Hell and Heaven’s death”), la quale accetta diversi comportamenti scorretti condannando altri semplicemente perché non compresi a pieno:

“My dad was a preacher, so rap music was pure devilism,
And if it wasn’t sayin’ “Thank You Lord!” I couldn’t listen”

Pras invece vede tutto sotto la lente d’ingrandimento del rastafarianesimo, inneggiando Jah e il suo operato.

Altro brano chiave è “Blunted”. Qui si parla di come i bianchi vorrebbero rendere illegale ed allontanare gli artisti dalla marijuana, la quale serve ad alcuni per arrivare ad un livello superiore di immaginazione e di spiritualità.

“See man, white man tryin’ to keep this away from us man you know I’msayin’? (Uh-hmm)
Cause they know when you grab this man
You just be ciphin’ knowledge man, knowledge as we buildin’ up man
That’s why they want no brothers to be out here man, you know what I’m sayin’?
That’s why they try to make it illegal man”

È presente anche una forte rivendicazione dei diritti degli Afroamericani stile “The Message e Public Enemy, con le tracce “Recharge” (“Cause the streets are like a jungle, they got me say/OH-AY-OH-AY-OH, cause Tarzan’s a black man”) e “Nappy Heads”, riferito alla capigliatura afroamericana:

“What about Martin? (THE NAPPY HEADS ARE COMIN OUT)
What about Malcolm? (THE NAPPY HEADS ARE COMIN OUT)
Rosa Parks? (THE NAPPY HEADS ARE COMIN OUT)”

Si deve obbligatoriamente concludere con “Refugees on the mic”, stendardo della loro lotta. L’inizio della canzone è una citazione presa dalla Bibbia (Giovanni 3:16): “For God so loved the world that he gave his one and only Son, that whoever believes in him shall not perish but have ever lasting life”. Logicamente poi si parla delle storie dei rifugiati Haitiani e delle enormi difficoltà nell’integrarsi nel tessuto sociale Americano, dei numerosi anni in cui i loro diritti sono stati calpestati e in cui la libertà era poco più di un miraggio. Le ultime parole recitano “Yo, free the Haitians”.

Grafica a cura di Manuél Di Pasquale