La mancanza di conoscenze nella critica italiana
Ho deciso di fare questo articolo perché, nonostante il fenomeno trap music inteso come rap di nuova generazione stia ormai sulla bocca di tutti, ancora oggi c’è tanta ignoranza nel giudizio. Il genere si sta evolvendo ad una velocità spaventosa e, a rimanere indietro, sono gli ascoltatori, ma soprattutto, i media e la critica.
Circa una settimana fa, ho sentito gli Arcade Boyz criticare l’ultimo pezzo di Dani Faiv, “Game Boy Color”, per la scarsità di contenuti nel pezzo, giudicando non abbastanza profondo il testo. È chiaro come la critica, o quanto meno chi in Italia cerca di creare consapevolezza del genere, non riesca ancora a distinguere i diversi “campionati” del rap game. Perché oggi il genere è vasto e offre innumerevoli spunti e possibilità che vanno dalla ricerca del contenuto e della scrittura raffinata, fino alla folle ricerca dello stile, della forma e della melodia senza badare più di tanto alla prospettiva lirica. E non si può pretendere da un determinato prodotto caratteristiche non ricercate e non volute.
Quello che sto dicendo potrebbe sembrare una banalità, invece, mi va proprio di ribadirlo per cercare di far cogliere meglio questa nuova concezione del genere che va aldilà del semplice concetto “dovete guidicare rap e trap in maniera differente”.
Mi spiego meglio: è uscito da poco il nuovo album di Gucci Mane e la rivista americana Pitchfork, specializzata in recensioni, ha fatto il proprio dovere. Il disco ha ricevuto buone props perché, riconoscendo il fatto che Gucci giochi nel campionato dello stile e della forma, ha apprezzato le collaborazioni inusuali, il ritrovato carisma dell’artista e le produzioni azzeccatissime che rendono “Mr.Davis” un album canonico, accessibile e godibile dall’inizio alla fine, più dei predecessori. L’aspetto contenutistico è stato quasi completamente tralasciato, non perché inutile ma quantomeno secondario/terziario nell’analisi di questo tipo di disco.
Critiche facili e mancanza di coraggio, o di consapevolezza
In Italia un album simile fatto da un veterano che parla degli stessi argomenti del precedente come sarebbe stato digerito dalla critica? Dipende dal rapper.
Vogliamo essere concreti anche in un questa affermazione? Bene, tiriamo in ballo “Gentlemen” di Guè Pequeno. Ad un orecchio interessato, non sarà sicuramente passato inosservato che, a livello tematico e lirico, l’album del peso massimo italiano sia indietro rispetto alle fatiche passate, ma è proprio qui il malinteso. Guè, che è un cultore del rap americano, ha deciso di giocare in quel campionato dell’ossessione per la forma che tanto sta funzionando. Ha puntato forte su sonorità trap latine di suo gusto, collaborato con i trendsetter della nuova generazione e se n’è fottuto dell’incisività e minuziosità della sua penna che invece, in passato, ci aveva lasciato grandi rime e figure retoriche ancora oggi ricordate da tutti gli appassionati del genere. L’album ha stravenduto e, nonostante tutto il mio pippone, ha pure preso marchette dalla critica italiana, più per il suo curriculum che per una logica coerenza.
Gente come Capo Plaza, SferaEbbasta, senza grandi lavori alle spalle, pur lavorando nella stessa direzione e con il medesimo concept artistico, vengono ammazzati periodicamente da critica e addetti, nonostante i molteplici feedback positivi dei ragazzi più giovani, forse i più capaci di comprendere questa nuova realtà dal lato della loro mancanza di conoscenza di come il genere veniva percepito fino a qualche anno fa.
Buoni propositi per il futuro
È il momento che tutti noi addetti ci rimbocchiamo le maniche e colmiamo questo gap di mentalità per far si che la critica si allinei finalmente con il pensiero e la consapevolezza artistica che i rapper stanno assimilando dall’estero e che noi dobbiamo capire e studiare per poter essere il più possibile capaci di spiegare e descrivere questa cultura con sano raziocinio, magari smettendo di dare addosso alle nostre nuove leve solo perché vogliono gareggiare nella competizione che più piace ai giovani e soprattutto perché, per sfondare nel campionato dei cosiddetti “contenuti” e della lirica, bisogna risultare veramente interessanti e credibili, e di Lamar non ne nascono tutti i giorni…